Dieci buoni motivi

di Ezio Sinigaglia

per NON leggere L’imitazion del vero

imitazione del vero

1. Perché la prima parola del romanzo è “Viveva” e l’ultima “vivevano”: in mezzo la bellezza di cento pagine per aggiungere una sola sillaba. Che spreco!

2. Perché è scritto in un italiano che si finge antico e, con questa scusa, costringe il lettore ad autentiche acrobazie in mezzo a mille ostacoli: un rigurgitare di aggettivi, avverbi, subordinate, incisi, e una costruzione che, posponendo il verbo alla fine di ogni frase, fa trattenere il respiro per minuti interi. Che toboga!

3. Perché – diciamo la verità – fosse davvero italiano antico! In tal caso potremmo almeno apprezzare la paziente ricerca filologica dell’autore. Ma non è così. Nemmeno i filologi possono dirsi soddisfatti da una lingua come questa, dove parole moderne si intrufolano in mezzo a una prosa arcaica come un tavolo degli anni Cinquanta in un negozio di antiquariato. Che imbroglio!

4. Perché si tratta di una storia profondamente immorale: un uomo adulto riesce con l’inganno a far l’amore con un ragazzo del quale l’autore si guarda bene dal precisare l’età. Che porcheria!

5. Perché – diciamo la verità – non è certo questo il primo libro a mettere in scena storie tanto perverse. Ma almeno gli altri autori hanno sempre avuto il buon gusto di costruire per questi amori impossibili un finale tragico, con effetti catartici anche per la coscienza del povero lettore. Invece questa storia immorale ha un lieto fine, proprio come se l’autore la trovasse perfettamente lecita. Che faccia tosta!

6. Perché, per colmo di immoralità, tutti i gesti più sconci sono descritti con parole alate o rappresentati con metafore poetiche e sublimi, come per celebrarne la bellezza e l’innocenza. Che scostumatezza!

7. Perché – diciamo la verità – passi per l’italiano pseudo-antico: ma il latino! Un id est qui, una praeceptio morum là… il ricorso alla lingua del diritto mira a farci credere che tutto licet, e addirittura che il misfatto oportet. Che turpitudo!

8. Perché questo romanzo sembra farsi beffe del codice che regola al giorno d’oggi il tacito patto fra autore e lettore, quasi volesse gridare ai quattro venti la propria assoluta inattualità: così, oltre ad essere scritto, come abbiamo visto, in una lingua che si finge antica, è anche ambientato in una città immaginaria e in un’epoca indeterminata, senza nessun rispetto per quella precisione di dettaglio che caratterizza oggi qualsiasi romanzo storico, persino i thriller di terz’ordine. Che superficialità!

9. Perché il protagonista del romanzo, Mastro Landone, ci viene presentato come un geniale inventore di macchine, ma le macchine che inventa sono quanto di più inutile si possa immaginare: ad esempio, “macchine che mandavano fumo, altre che producevano rumori come di cavalli al galoppo” e, per finire, una botte che non contiene assolutamente nulla, se non l’inganno intorno al quale ruota l’intera vicenda. Sorge dunque spontaneo il sospetto che altrettanto ingegnosa e inutile sia la macchina stessa del romanzo. Che vuotaggine!

10. Perché, non contento di avere costruito per questa storia immorale un finale scandalosamente lieto, l’autore ne inventa anche un secondo, falso, ipocrita e edificante. Che ambiguità!

Dieci buoni motivi per NON leggere “L’imitazion del vero”