L’incrocio si trovava a circa ottocento metri dalla sua abitazione. Si usciva di casa, si girava a sinistra, si percorrevano circa duecentocinquanta metri di strada in leggera salita e dopo qualche metro ci si trovava sulla Statale 49 della Pusteria. A destra, dunque in direzione Austria, c’era un rifornimento di benzina e più avanti il Sacrario militare ai caduti.

Mi sedetti su un muretto, mi preparai una sigaretta e aspettai che facesse buio. Il fumo mi scioglieva la stanchezza e conciliava l’attesa con lo sforzo di concentrazione.

Mentre aspiravo lunghe boccate, mi guardavo intorno e cercavo di rivedere la scena, ripensando alle parole della telefonata. Mi immaginai le sagome di Martin e Johanna sul ciglio della strada, quindi provai a figurarmi quanto teorizzato dalla Procura: dolo d’impeto. Ovvero, Martin, in preda a un’eccitazione incontrollabile, tenta di violentare la ragazza, lei si oppone e lui le mette le mani al collo.

Sacrario militare ai caduti.

Mi siederei su quel muretto accanto all’avvocato De Vitis con Giovanni Accardo e Mauro De Pascalis. Il primo scrittore e insegnante, il secondo avvocato e docente. Entrambi co-autori di Solo tredici chilometri, da poco in libreria ma che ha già riscosso un vivo interesse di pubblico. Osserveremmo insieme la scena del delitto all’imbrunire per confrontare impressioni e sensazioni sulla tragica morte di Johanna e l’accusa a Martin di essere l’efferato assassino.

Solo tredici chilometriDopo aver scritto Il diavolo d’estate per Ronzani, [QUI la chiacchierata insiemeGiovanni Accardo torna nuovamente al romanzo di genere con Solo tredici chilometri, scritto insieme a Mauro De Pascalis, pubblicato da Edizioni alpha beta Verlag.

Solo tredici chilometri, come si legge nella nota finale, è un romanzo che prende spunto da una vicenda di cronaca. Gli Autori vi si sono ispirati rispettosamente quanto liberamente.

Vorrei soffermare l’attenzione sui due avverbi: rispettosamente e liberamente, perché a mio avviso chiariscono il carattere ibrido e dunque originale, con cui Solo tredici chilometri si inserisce nel genere del thriller legale.

Perché nel rispetto della verità dei fatti e di come sono accaduti, il libro si avvicina a un reportage o un saggio sulla giustizia e il funzionamento dei tribunali; mentre liberamente presuppone la volontà di attingere al romanzesco e alla narrazione, con i quali coinvolgere i lettori, che stanno accogliendo il libro con grande favore.

Che genere di libro volevano scrivere Giovanni Accardo e Mauro De Pascalis? Rispettosamente potrebbe essere attribuito a De Pascalis, che nel romanzo interpreta sé stesso, e liberamente a Giovanni Accardo, che è lo scrittore ufficiale della coppia?

scrittore, docente, saggista e organizzatore di eventi culturali a Bolzano.

RISPOSTA: Cominciamo da rispettosamente, avverbio riferito innanzitutto alla vittima, Johanna Pichler, perché se è vero che l’avvocato De Vitis ha il compito di salvare, se ciò sarà possibile, Martin Scherer da una pesante condanna, in quanto accusato di essere l’assassino di Johanna, è anche vero che mai si dimentica che una ragazza di 19 anni è stata assassinata. Non c’è uno scrittore ufficiale ma due autori, di cui uno, De Pascalis, ha messo a disposizione una storia giudiziaria di cui era a conoscenza e le sue esperienze giuridiche, mentre io mi sono dedicato di più all’aspetto formale, preoccupandomi della struttura, della lingua e di costruire dei personaggi a partire da una storia realmente accaduta. Noi crediamo di avere scritto un romanzo che è insieme un legal-thriller e un romanzo di formazione, cioè il racconto di un’inchiesta giudiziaria e di un processo e al tempo stesso un percorso di formazione umano e giuridico del giovane avvocato De Vitis. Liberamente, perché fatti e personaggi sono stati romanzati, ma partendo da una storia che secondo noi aveva molto da insegnare ai lettori.

 

In apparenza il fatto di cronaca e il legal thriller sembrano stridere tra di loro: dell’uno si sa già chi è l’assassino, o lo sanno coloro che si sono appassionati a seguire il caso, nel secondo la suspense e l’intreccio sono fondamentali per ottenere il coinvolgimento del lettore.

Io sono stata una lettrice privilegiata e fortunata di Solo tredici chilometri perché non conoscevo il fatto di cronaca, e mi sono trattenuta dalla curiosità di ricercare i fatti reali, sia per il piacere di leggere la vostra ricostruzione romanzata senza interferenze, sia anche perché ritengo che la Letteratura abbia in sé la verità, al di là delle circostanze in cui nasce e su cui si poggia.

A lettura terminata, sono stata completamente appagata al punto che per me la vicenda era quella da voi proposta, con i temi e le suggestioni che avete saputo suscitare nel lettore.

Durante la scrittura avete affrontato la questione? È stato per voi motivo di riflessione che il fatto di cronaca avesse suscitato un certo scalpore e grande seguito rispetto a quelli che potevano essere i vostri più diretti lettori? E con quali espedienti narrativi avete cercato di catturare la curiosità del lettore che fosse già a conoscenza di come il mistero legato alla morte tragica di Johanna si fosse risolto?

RISPOSTA: Non ci siamo preoccupati minimamente del fatto di cronaca, sia perché era passato molto tempo, sia perché la nostra costruzione romanzesca va ben oltre quello che qualunque lettore di cronaca nera può aver letto. Il lettore non ha avuto accesso ai verbali degli interrogatori o alle perizie, ad esempio, che noi però abbiamo usato molto liberamente, per cui un testimone del processo reale, nel romanzo è diventato un personaggio che mette in scena quello che nel dibattimento ha soltanto raccontato e lo mette in scena magari in un contesto diverso, interagendo con un altro testimone o con un personaggio completamente inventato, seguendo unicamente le ragioni narrative. Tra l’altro, avendo letto sia i verbali che la rassegna stampa, posso assicurare che quello che si legge sui giornali oltre ad essere una minima parte dei fatti, spesso è pieno di imprecisioni che rasentano la disinformazione. Infatti l’avvocato De Vitis entra più volte in conflitto con i giornalisti, gli rimprovera le numerose imprecisioni, addirittura le notizie inventate o palesemente false. Al lettore abbiamo offerto una storia avvincente e dei personaggi che la muovono, agganciandolo con una domanda, che è la stessa che si pone De Vitis sin dal primo incontro col suo assistito nel carcere di Venezia: Martin è innocente, così come dice? Anzi, le domande sono due: quello che mi ha raccontato è la verità? Per conoscere le risposte il lettore dovrà seguire l’avvocato nelle sue ricerche. Il nostro avvocato, infatti, è anche un investigatore che va nei luoghi, incontra i testimoni, fa domande, s’interroga lui stesso, fino ad essere completamente travolto dalla vicenda. E nasce da qui la domanda fondamentale che vogliamo che si facciano anche i lettori: che cos’è la verità in un processo? È possibile raggiungerla? La verità processuale coincide con la verità dei fatti o è altra cosa? Più che una domanda, come vedi, sono una serie di domande che nascono l’una dall’altra. Farsele, secondo noi, è un ottimo esercizio di coscienza civile.

 

Alla fine del romanzo la verità dei fatti è stata ripristinata, ma solo parzialmente perché erano rimasti insoluti due misteri… che com’è ovvio e giusto non saremo certo noi in questa sede a svelare, ma saranno i lettori che ancora non si sono immersi in Solo tredici chilometri, e che saranno invogliati, speriamo!, da questa nostra conversazione.

Una scelta coraggiosa e del tutto originale all’interno del genere, caratterizzato dal rassicurante ripristino dell’ordine sovvertito dal fatto di sangue. 

Quale volontà ha accompagnato la decisione narrativa di lasciare alcuni elementi nel buio del mistero, pur nella soddisfazione garantita al lettore di risolvere il caso? e come si è sentito il narratore limitandosi nell’onnipotenza dovuta al suo ruolo di far combaciare tutte le tessere del puzzle?

RISPOSTA: Nella realtà della vicenda a cui ci siamo ispirati, ci sono due misteri che rimangono insoluti, uno dei quali nonostante diverse perizie tecnico-scientifiche abbiano provato a risolverlo, spesso complicandolo. Trattandosi di un romanzo, avremmo potuto tranquillamente inventare la soluzione e rassicurare il lettore, per così dire, invece non l’abbiamo fatto per far passare il messaggio che talvolta un processo, specie se, come nel nostro caso, è indiziario, non riesce a trovare la spiegazione a tutte le domande, ed ecco che ritorna il tema della verità processuale. Il processo ha cercato di avvicinarsi alla realtà nel modo più verosimile possibile, portando la Corte nei luoghi degli avvenimenti, ma come siano andati realmente i fatti, alla fine lo sanno soltanto i diretti interessati. L’onnipotenza del narratore è morta o parecchio scemata già un secolo fa, quando anche la fisica, con la teoria della relatività di Einstein o il principio di indeterminazione di Heisenberg, ma direi anche con le scoperte di Freud sul funzionamento della nostra psiche, ci ha costretti a ripensare all’idea che la realtà sia quella che vediamo, mentre essa è solo una porzione e spesso ingannevole.

 

Un’altra novità all’interno del genere è il protagonista. Avvocato-detective come è caratteristico del legal thriller, che racconta in prima persona, altro elemento abbastanza tradizionale del genere, ma con uno scarto significativo: non solo è persona reale che ha vissuto in prima persona il fatto delittuoso come difensore della persona ritenuta colpevole, ma è anche uno dei due autori. Quella prima persona vira dunque verso il memoir e l’esperimento diventa molto interessante.
Non è la prima volta che accade per te come narratore perché Un’altra scuola (Ediesse) era il diario di un docente che stretti legami aveva con la tua autobiografia. [QUI la prima chiacchierata con Giovanni Accardo su Un’altra scuola]
Ma questa volta non eri tu, era un altro e per di più co-autore di Solo tredici chilometri.
Come hai vissuto dal punto di vista della scrittura la creazione del personaggio romanzesco, l’avvocato De Vitis, e il confronto con l’alter ego in carne e ossa, l’avvocato De Pascalis?

RISPOSTA: Solo tredici chilometri non è un memoir né un reportage narrativo ma un romanzo, perciò nessuno dei personaggi narrati esiste nella realtà, solo i luoghi sono reali. La vita dell’avvocato De Vitis, penso alla sua storia con Francesca, non corrisponde a quella dell’avvocato De Pascalis. Così come non credo che alla Procura di Bolzano abbia mai lavorato una Pm di origine siciliana arrivata da Brescia, come Caterina Capizzi del romanzo. E non credo nemmeno che all’Università di Padova ci sia o ci sia stato un professor Efisio Serra, di origine sarda e docente di Procedura penale. Il mio compito, partendo da una vicenda di cronaca realmente accaduta, è stato quello di trasformarla in romanzo, non solo costruendo un intreccio il più possibile avvincente, ma cercando di dare alla storia un significato ben preciso che coinvolgesse i lettori. Il risultato, a leggere i numerosi commenti che ci arrivano quotidianamente, è stato raggiunto, su tutti basti quello di uno dei maestri del noir, ovvero Massimo Carlotto: «Me lo sono bevuto. Mi è piaciuto molto, ti rimane dentro, è disturbante.»

 

Ed eccoci all’ultima domanda.
All’interno del genere e per concludere la conversazione che in virtù di un interlocutore di grande competenza e spessore come Giovanni Accardo ha preso una piega letteraria illuminante e vibrante, che è uno dei miei pallini da lettrice: sempre più la narrativa di genere in Italia predilige la serialità. Numerosi gli esempi che potrei fare e dunque meglio non farli.
Ci avete pensato? Potremmo aspettarci un nuovo incarico letterario dell’avvocato De Vitis?

RISPOSTA: L’affetto e la stima che mi lega a te mi spinge a fare una confessione: ho scritto il romanzo con momenti in cui ero convinto e altri in cui perdevo completamente l’interesse. È stata una lunga gestazione, anche perché era la prima volta che scrivevo insieme ad un altro, un altro che non aveva mai scritto e che perciò non aveva il punto di vista e le aspettative dello scrittore, e questo ci ha portato a scontrarci più volte, ad esempio sull’importanza della lingua e dello stile, ma anche sul tasso di “finzionalità” da dare alla storia e ai personaggi. Inoltre, non essendo una storia mia, cioè nata dal mio immaginario e dalle mie inquietudini, mi riusciva difficile gestire il distacco, che invece si è rivelato estremamente formativo. Quindi ho dato l’ok alla stampa senza alcuna aspettativa e invece il romanzo si sta rivelando un successo, siamo infatti alla seconda edizione. Perciò non posso che ringraziare Mauro per avermi regalato questa storia e la possibilità di scriverla. In tanti ci hanno chiesto e ci chiedono un altro romanzo con protagonista l’avvocato De Vitis, che è piaciuto molto per la sua passione, il suo idealismo, la sua ingenuità. Se ci pensi quello che Solo tredici chilometri ha di diverso rispetto al genere è l’assoluta mancanza di violenza. Insomma, per rispondere alla tua domanda: Mauro De Pascalis mi ha già proposto un’altra storia, io ci sto pensando, ma credo che l’entusiasmo con cui i lettori ci hanno letto e ci stanno leggendo meriti che venga scritta.

Chiacchierando (ancora una volta) con… Giovanni Accardo