San Giovanni in Villa

Dove ci saremmo potute incontrare con Maddalena Fingerle? In un posto speciale, nascosto tra le pagine di Lingua Madre:

È sabato mattina e decido di portarla in un posto speciale della mia infanzia. Percorriamo via Grappoli che è una via che a me piace tantissimo perché si può piluccare e Mira mi sorride perché mi illumino quando la pronuncia. Passiamo davanti al Batzen Häusl che in italiano è il Ca’ de Bezzi e ho sempre paura che cada a pezzi, proseguiamo, Mira è stanca e mi chiede se manca molto. Le dico che ci siamo quasi, infatti arriviamo davanti alla chiesa di San Giovanni in Villa e lo so che vista così non è niente di che, ma bisogna guardarla bene per capire. E poi dentro è veramente meravigliosa, ci sono affreschi di diverse fasi, alcuni di influsso giottesco, e le dico che li ho visti una volta sola ma ancora me li ricordo per quanto sono belli. La chiesa ovviamente è chiusa, come sempre, ma non ha importanza, ciò che Mira e Maëlys devono sapere è quello che raccontava Luisa a Jan e a me, quando eravamo piccoli: c’è una scala di pietra che porta in alto, dà sulla strada e sale fino a una porticina. Non bisogna aprirla perché dietro c’è una strega cattiva.

È tempo di aprirla quella porticina insieme ai personaggi del fulminante esordio di Maddalena Fingerle, insieme a quanti di voi ci vorranno seguire.

 

Lingua MadreCon Lingua Madre, pubblicato dalle edizioni ItaloSvevo, Maddalena Fingerle è la vincitrice dell’edizione del 2020 del Premio Italo Calvino. Un riconoscimento di qualità che ha presentato ai lettori nel corso degli anni i nomi più interessanti della narrativa contemporanea.

Maddalena Fingerle mostra una freschezza di lingua e di costrutti narrativi, uniti a una pregnante lucidità di analisi nel dentro di una famiglia disfunzionale e di una comunità vincolante e nel fuori di una città dagli orizzonti aperti e liberi qual è presentata Berlino.

Il titolo nel suo gioco allusivo e ambiguo, ben evidenziato dalla copertina di Maurizio Ceccato con la separazione netta delle due parole: Lingua Madre, vela e svela l’originalità dello sguardo e del punto di vista straniante, e per questo molto mitteleuropeo, della voce narrante.

Cos’è la lingua madre per Maddalena Fingerle?

 Foto di Julia Mayer
Foto di Julia Mayer

RISPOSTA: La lingua madre per me è la lingua in cui si impara a pensare o – come direbbe Paolo, il protagonista del romanzo: a parlare in testa. È, a differenza di una lingua straniera appena imparata, piena di associazioni mentali e ricordi, legata a voci, volti e spesso anche a un concetto di famiglia o di casa. La mia lingua madre è l’italiano e, crescendo a Bolzano, dove si parla un italiano che sento lontano dal mio e un dialetto sudtirolese che nei primi diciott’anni non capivo, forse ho sviluppato una sorta di insicurezza (ma al tempo stesso anche fascinazione) nei confronti del linguaggio, per cui spesso temo di non capire o essere fuori luogo, spesso resto affascinata dal modo che alcune persone hanno di pronunciare le parole. L’italiano che sento più aderente al mio concetto di lingua madre è effettivamente il linguaggio filosofico di mia madre, ma anche la parlata romana di mia nonna e la dizione delle voci radiofoniche. Il tedesco invece l’ho imparato e, nonostante lo sappia parlare, manca spesso la componente più emotiva o spontanea, tant’è che nelle situazioni di grandi emozioni la voce mi esce in italiano, più che in tedesco.

 

Paolo, protagonista e voce narrante di Lingua Madre, è bolzanino come te e ha con il linguaggio un rapporto intimo e ossessivo che traduce in relazione con gli altri. La madre e la sorella gli sporcano le parole e lo costringono a prendere distanze sempre più siderali; il padre chiuso nel suo mutismo o afasia, lo costringe a diventare asmatico, pur essendo l’unico che condivide con lui la cura delle parole, appiccicando cartellini con i nomi degli oggetti; infine Mira, la ragazza conosciuta a Berlino nella nuova vita e nuova lingua che Paolo sta costruendo libero da ogni vincolo, compreso quello dell’italiano, sarà capace insieme con i suoi amici di pulirgli le parole.
Eppure questo non è sufficiente. Come se la lingua madre finisse sempre per risucchiarlo nelle strettoie e nelle feritoie che per Paolo sono la gabbia in cui si sente costretto e alienato.
È micidiale la lingua? C’è una strategia o un rimedio perché le parole permangano pulite e non si sporchino?

RISPOSTA: Per Paolo non c’è una distinzione netta tra persona, luogo e lingua. Infatti le parole si sporcano perché pronunciate dalla madre che è falsa e lo ferisce; e questo succede a Bolzano, costrutto socio-politico in cui si rispecchia l’ipocrisia della madre attraverso un bilinguismo di facciata. È qui che nasce il cortocircuito: dal suo dolore, dall’incapacità di nominarlo, dalla confusione dei piani per spostamento. La lingua madre lo fa ripiombare in questa mania perché l’ossessione per la parola si muove proprio su questa confusione. L’innamoramento capovolge i suoi schemi mentali, pulendo il linguaggio; potrebbe sembrare una strategia, ma di fatto resta un’illusione dietro alla quale rimane l’ossessione, solo che è rovesciata dal negativo dello sporco al positivo del pulito nella visione dicotomica nella quale Paolo resta imprigionato. La lingua è quindi per lui micidiale nello stesso modo in cui lo possono essere la madre, la sorella, gli insegnanti e la città, ma è anche l’unico filtro, insieme a quello letterario, che gli permette paradossalmente di evadere dall’oppressione del contesto familiare, di distrarsi e di spostare il pensiero. Un mondo di parole pulite significherebbe un mondo ideale: privo di violenza, falsità, ipocrisia e dolore – Paolo aspira a questo, e ci crede per davvero.

 

La lingua di Maddalena Fingerle in Lingua Madre è fresca, pulita, ironica e aderente al vissuto. Sprofondiamo nella mente di Paolo e attraversiamo i luoghi e gli spazi in totale simbiosi con lui, proprio in virtù della lingua e anche dell’assenza della Lingua Madre con cui affrontiamo con lui le strabilianti vicende berlinesi e quel senso di appagamento che nasce dalla sensazione di libertà.

Una lingua mimetica, che mette in luce connessioni e legami, suscitando riflessioni e strappando il sorriso. Una lingua che è capace anche di farsi burla e parodia, come nei confronti del Grande Scrittore, amico della madre di Paolo.

Dove hai attinto questa “novità” linguistica che è impronta fondamentale del romanzo, e che si piega a essere anche scalpello introspettivo per personaggi e situazioni? In rottura o in adesione a ciò che Maddalena Fingerle ha scritto, ma anche studiato fino a Lingua Madre?

RISPOSTA: Avevo bisogno di una lingua mimetica, aderente e funzionale al personaggio in evoluzione per una questione di credibilità, dato che nel romanzo è Paolo a parlare. Così il linguaggio di Paolo figlio non poteva essere lo stesso di Paolo innamorato né quello di Paolo padre. È una scelta che va di pari passo con la prima persona e che deve fare i conti con la deformazione del reale (seppur immaginato) da parte del personaggio. Tutto ciò che succede doveva essere filtrato dalla sua voce e dal suo modo di vivere gli eventi. È qualcosa che avevo sperimentato attraverso la scrittura di racconti, ma che risulta più complessa da gestire nella lunghezza. Credo sia stata la parte del lavoro che più mi ha divertito e sulla quale ho avuto la fortuna di ragionare insieme al direttore editoriale della collana Incursioni, Dario De Cristofaro, in fase di editing. La difficoltà maggiore che ho incontrato è legata proprio alla voce che a volte cedeva rivelando la mia. Per quanto riguarda la lingua ho lavorato soprattutto con le letture scomposte e confuse dei libri che ho immaginato leggesse Paolo di nascosto, quelli dell’Indice dei Libri Proibiti di Giuliana Prescher, la madre che gli vietava di leggerli. In quest’ottica ho utilizzato una tecnica, in una sorta di omaggio ironico all’Adone di Marino, che amalgamasse le sue letture sotto forma di citazioni velate, per esempio di Langer, Mauthner o Marino stesso. Sotto forma di svelamento ci sono citazioni anche esplicite, nei momenti emotivi, durante i quali Paolo è in difficoltà e attinge ai ricordi letterari per reagire alle situazioni, come nel caso di crisi in cui cita Tasso o nel momento dell’incontro amoroso in cui cita, appunto, proprio Marino. La letteratura per Paolo è ciò che rende dicibile il vissuto, filtrandolo. Attraverso la citazione ciò che lo spaventa e lo agita può diventare bello e piacevole. Inevitabilmente questo modo di scrivere si confronta con ciò che ho studiato io e con una tradizione letteraria italiana e tedesca, ma volevo che fosse in funzione del personaggio, e non puro vezzo o divertimento personale (anche se il divertimento non è certo mancato): doveva avere un senso all’interno della narrazione. Poi può diventare un ulteriore gioco per chi conosce i testi, ma è uno strato in più, che può arricchire la lettura, ma che non è necessario per la comprensione del testo.

 

Conosciamo Paolo da ragazzino e lo seguiamo con partecipazione, a tratti divertita talvolta preoccupata spesso accorata, fino alla soglia della maturità. A un passo dalla vita adulta. Passo che sembra lo getti nello sconforto e fa tornare a galla tutta l’inadeguatezza che aveva provato già da ragazzo.
Del tutto diverso il processo formativo e di crescita di Jans, compagno di scuola che da ragazzino era ancora più “sfortunato” di lui, e che Paolo al suo rientro a Bolzano troverà “accasato”, soddisfatto e apparentemente realizzato, anzi potremmo dire pienamente realizzato nell’ottica dell’ipocrisia e della convenzionalità di cui Bolzano è rappresentativa.
Paolo, Mira e la comunità di giovani di cui la ragazza fa parte a Berlino, Jans sono in qualche modo rappresentativi di una generazione? O l’etichetta generazionale non ti interessa e con loro eri più interessata ad altro?

RISPOSTA: Anche le amiche e gli amici berlinesi e Jan sono deformati dallo sguardo di Paolo. I primi sono totalmente idealizzati, i secondi appunto etichettati (termine che ricorda l’operazione linguistica e afasica del padre sugli oggetti) come borghesi. È una suddivisione in bianco e nero analoga a quella di pulito e sporco relativa alle parole. L’aspetto generazionale l’ho sentito soprattutto nella ricerca linguistica di quelle scene, che doveva avere tratti ironici, ma al tempo stesso essere genuina e seguire la fascinazione di Paolo per quel modo di esprimersi, distante dal suo. Quello che mi interessava delle amicizie berlinesi però effettivamente era altro: con loro Paolo impara a essere com’è, senza bisogno di celare o nascondere le sue stranezze, perché lì si sente accettato, tant’è che le amiche e gli amici per lui parlano pulito. Non c’è più, nel periodo berlinese, l’oppressione, ma la libertà. L’ossessione si capovolge, i suoi giudizi si smussano, lui si ammorbidisce e si lascia andare. È la parte più distesa e serena proprio per questo motivo, perché per la prima volta Paolo non si vergogna di essere così com’è, ma trova nell’altra/o altrettante stranezze che non giudica. Si sente finalmente a casa, accettato e apprezzato, e inizia così a respirare per davvero.

 

Siamo giunte con passo spedito all’ultima domanda.
In mezzo a noi metterei Mira, la ragazza piena di alternative, solare ed equilibrata che si innamora di Paolo. Come già la lingua anche l’amore è un farmaco illusorio per curare l’asma linguistico di Paolo.
Mira, come già il nome, brilla nelle tue pagine.
Chi è? Cosa trova in Paolo e che cosa cerca dentro di sé?

RISPOSTA: Mira è una ragazza milanese con tantissimi capelli ricci e rossi di cui Paolo si innamora e che noi conosciamo attraverso i suoi occhi: è sapone di Marsiglia, la persona che riesce a pulirgli le parole trasformandole. Con loro cambia anche lo stato d’animo del protagonista e il suo modo di vedere le cose. Mira è bella, bellissima, secondo il concetto che ha Paolo della bellezza, che va di pari passo con il modo di parlare e di pensare; è attenta all’altro, sincera, delicata, appunto: pulita.

 

Un’ultima domanda alla scrittrice: e adesso Maddalena Fingerle dov’è diretta?

RISPOSTA: Sono così grata per la professionalità, per la correttezza e per l’umanità che ho trovato sia nel Premio Calvino sia nella Italo Svevo che più che guardare dove sono diretta quasi quasi preferisco fermarmi un secondo e dire grazie. Per ora so solo che continuo a leggere e a scrivere, senza prendermi troppo sul serio, ma con una serietà rispettosa nei confronti di queste attività che mi divertono molto.

Chiacchierando con… Maddalena Fingerle
Tag: