Mancava e ora non manca più nella mia galleria di traduttrici preferite Gaja Cenciarelli, e ho scelto di confrontarmi con lei su un titolo importante e una scrittrice imprescindibile. Ringrazio Gaja Cenciarelli per avermi accolto nel suo studio di traduzione e per avermi aperto le porte della scrittura di Flannery O’Connor.

Cenciarelli O'Connor

Gaja Cenciarelli, scrittrice e traduttrice, firma per Minimum fax la traduzione di Il cielo è dei violenti, il capolavoro di Flannery O’Connor, pubblicato in America per la prima volta nel 1960.

Possiamo parlare di “capolavoro” per questo romanzo senza paura di scivolare in un clichè, ma con l’intenzione di fotografare un dato di fatto sia all’interno dell’opera della scrittrice che del panorama della letteratura americana?

Certamente possiamo parlare di capolavoro. Flannery O’ Connor è una maestra della forma breve. I suoi racconti sono capisaldi della letteratura di tutti i tempi. Ha scritto solo due romanzi, Il cielo è dei violenti (The Violent Bear It Away) e La saggezza del sangue (Wise Blood), ma sono due romanzi che lasciano senza fiato, che non rispondono ad alcuna domanda, semmai ne pongono. I romanzi che, da lettrice, preferisco.

 

Gaja Cenciarelli ha all’attivo numerose traduzioni, e tante ancora ne aspettiamo da lei: cosa rappresenta nel suo studio di traduzione Il cielo è dei violenti? In questa fine dell’anno 2020, in cui imperversano liste e classifiche, la traduzione di Gaja Cenciarelli sta accumulando i primi posti in molte di loro: significa qualcosa per lei come traduttrice?

Significa moltissimo. Dà un senso ai sacrifici, ai fallimenti, e soprattutto al tempo solitario e lunghissimo che dedico alle traduzioni. Bianciardi diceva “Tradurre è un mestiere micidiale”, ed è vero. Naturalmente non voglio paragonare chi traduce libri a coloro i quali svolgono mestieri usuranti, tuttavia le traduttrici e i traduttori sanno bene quanto sia invisibile e poco compreso il nostro lavoro. Ecco, questo romanzo dell’autrice che io ormai chiamo affettuosamente “la mia Flannery” ha fatto riguadagnare al mio lavoro la giusta posizione, ha restituito il baricentro che meritava a un impegno troppo spesso svilito, considerato ancillare rispetto alla scrittura.

 

Il cielo è dei violenti era già stato pubblicato in Italia nel 1965 nella traduzione di Ida Omboni, che aveva già tradotto nel 1968 La vita che salvi può essere la tua, e che insieme a Marisa Caramella tradurrà nel 1990 l’edizione Bompiani di Tutti i racconti.

Come si è regolata Gaja Cenciarelli sia nei confronti della precedente traduzione che della traduttrice che finora ha tradotto più libri di Flannery O’Connor?

Non ho assolutamente consultato le traduzioni precedenti. Non volevo essere influenzata, volevo che Flannery O’ Connor trovasse la sua voce tramite le mie scelte. Altrimenti che senso avrebbe avuto una ritraduzione?

 

Il cielo è dei violenti è un romanzo violento, di forza introspettiva e visionaria: tre generazione di Tarwater: lo zio Francis Marion Tarwater, profeta rigido e irriducibile, chiuso nel suo mondo e nelle sue convinzioni; il nipote, figlio della sorella, che invano ha cercato di riconoscere come proprio erede nella missione profetica che si è assegnato e che ha segnato nel profondo, guastandogli la vita come lotta irriducibile tra conflitti e lacerazioni; e il giovane pronipote, figlio della sorella del nipote, morta tragicamente in un incidente stradale, quando è nato il bambino, che diventa contesa tra i due uomini, prozio e zio. Il giovane Tarwater è il personaggio più tragico del romanzo, anche per il suo dibattersi incessante tra una lacerazione profonda della sua identità, tra fiamme fughe e visioni che sa appiccare e non spegnere.

Voci dal forte timbro maschile, in cui l’assenza delle donne è come il segno di un modo rude e violento. 

Di quale cura ha bisogno la traduzione di un romanzo così cupo e fiammeggiante? Come è riuscita Gaja Cenciarelli a vestire i panni, spesso sudici e imbrattati, di questi tre uomini all’apparenza così scorzosi, ma fragili e nudi nei tormenti della loro anima?

La cura è sempre la stessa, ogni volta che ci si avvicina a un testo. Non cambia molto, sono una professionista, devo accudire come si deve e come è richiesto tutti i libri che traduco.

Diciamo che in questo caso ho provato più emozione, e grande è stata l’ansia da prestazione.

 

C’è un forte afflato spirituale, che è poi il rovello narrativo e il nodo stretto e avviluppato, della scrittura di Flannery O’Connor. Nell’incisiva prefazione, Marco Missiroli la spiega così:

Flannery O’Connor ha scritto un purgatorio che ci racchiude tutti, togliendoci di mezzo il ricatto dell’inferno e la chimera del paradiso. Elogio delle anime grigie, nel girone degli esseri umani dove il perdono vale quanto la vendetta e dove i silenzi sono l’unica fede. Rimane da chiederci che fine ha fatto la felicità: è nascosta nelle mani di Francis, mentre scava una fossa, sradica una corteccia, si copre gli occhi, si immerge in un fiume. I suoi gesti sono la preghiera di questo romanzo che non potremo dimenticare.

Che cosa, invece, non potrà dimenticare di questo romanzo Gaja Cenciarelli? Nella veste di traduttrice o in quella di lettrice?

Niente. Non potrò dimenticare niente in nessuna delle due vesti. Ho tradotto questo romanzo che era appena iniziato il lockdown totale, il 6 marzo 2020, e ho passato il tempo tra queste pagine, con questi personaggi. Il Cielo è dei violenti mi ha salvato in più di un senso.

 

Oltre i personaggi, è la natura, intesa come mondo, a sfoggiare nelle pagine le penne di pavone di una scrittura raffinata e sobria, portentosa e immaginifica. Cieli cangianti e dai colori accesi; il lago dai riflessi minacciosi; il bosco con i suoi intrighi, il parco cittadino che si squarcia segnato dai raggi del sole. Una tavolozza inedita, in cui ogni dettaglio ha un suo preciso valore, narrativo e simbolico, che rimanda spesso all’acqua e al fuoco.

Gaja Cenciarelli dove intinge e attinge la cromaticità della traduzione? Perché leggendo Flannery O’Connor attraverso le tue parole mostri di avere una piena destrezza e consapevolezza del quadro che vai dipingendo, conservando ai paesaggi una brillantezza piena di originalità.

I paesaggi, come ogni altra parte del romanzo, devono risplendere della lingua usata dalla O’ Connor. Io ho fatto solo il mio lavoro: con attenzione, con cura, rispettando le scelte dell’originale. La natura, nella O’ Connor, è sovrana: è la coprotagonista della storia, in ogni senso. La voce che le si attribuisce in traduzione deve essere appropriata.

 

Quale studio è stato necessario per poter accedere al mondo rurale e spirituale di Flannery O’Connor? È bastato leggere Il cielo è dei violenti? è servito leggere altro della scrittrice e cosa? O ancora hai dovuto integrare con altre letture, non solo letterarie, ma più specialistiche?

No, niente altro che il testo originale. E poi, certo, la conoscenza della letteratura americana, ma quella fa parte del mio bagaglio culturale da sempre.

 

Ci sono delle domande che avresti voluto porre alla scrittrice mentre traducevi? Credi che la tua traduzione sarebbe stata diversa se avessi potuto farlo? E ancora cambia la postura della traduttrice quando sa che deve vedersela con un testo che “dice tutto” perché non è più possibile il confronto diretto, il chiarimento con chi l’ha scritto?

Confrontarsi con l’autore di un libro è sempre un rapporto che arricchisce. A me è successo – un paio di volte, non di più – ed è stato bellissimo. Avrei voluto poterle parlare, ma non per sottoporle i miei dubbi: per chiederle da dove le arrivava tanto genio. C’è da considerare – tuttavia – che molto spesso i traduttori non possono parlare con gli autori, quindi mi sento di rispondere che no, non sarebbe cambiata né la mia traduzione, né il mio approccio a essa.

 

Cosa hai provato quando hai tradotto l’ultima parola di Il cielo è dei violenti, o invece il lavoro più duro arriva proprio in quel momento?

Ho provato smarrimento e paura quando ho consegnato. Smarrimento perché il romanzo non era più mio, non stavo camminando più con lui. Paura perché ho temuto di non essere stata all’altezza.

 

Interviene mai la scrittrice Gaja Cenciarelli quando traduce, e in particolare quando traduce una scrittrice riconosciuta e ammirata come Flannery O’Connor?

Dipende da cosa si intende con “intervenire”. Se ciò significa ignorare le richieste del testo originale per sfogare il primadonnismo della scrittrice no, questo mai. Quando traduco sono una traduttrice. Semmai è la traduttrice che ha insegnato tanto alla scrittrice.

Nello studio di Gaja Cenciarelli, traduttrice di “Il cielo è dei violenti”