di Federica Pergola

Federica

 

 

 

Noi diversi

Noi diversi

Considerato uno dei più importanti romanzi della letteratura serba contemporanea, Noi diversi trascina il lettore all’interno di due narrazioni parallele, che si alternano per poi intersecarsi.

Una donna a cui manca il gene responsabile della trasformazione della bilirubina (malattia che la porta ad avere una colorazione della pelle giallastra e un’aspettativa di vita molto bassa) si trascina da casa al lavoro nascondendosi dietro sciarpe e cappelli, e si concede un unico svago settimanale in discoteca, dove le luci stroboscopiche le permettono di mimetizzarsi…

“circa un bambino ogni due milioni nasce senza quel gene. E quel bambino sono proprio io. Una su due milioni”.

Un docente della facoltà di matematica sta scrivendo una tesi di dottorato sulla teoria della probabilità, ma è in realtà alla ricerca di un senso (e di un’assoluzione) ad un evento traumatico accadutogli nella sua infanzia.

Quando ero bambino per diversi anni le rondini sono venute a fare il nido sotto al tetto, e io tutto agitato salivo in soffitta per osservarle di nascosto da una finestra rotonda; per questo mi ricordo le travi di legno nella penombra, e il vento che mormorava in mezzo a loro. (…) Crescendo mi rivolsi alla matematica. Più quel mondo si faceva astratto, più mi piaceva. La simmetria mi riempiva di serenità. Mi tranquillizzava sapere che tutte le cose al mondo , seppur non semplici, erano comunque logiche e collegate tra di loro; e che A, con una breve sosta su B e C, conduce fino a D , come quando alle stazioni di posta cambiavano i cavalli e le carrozze per poter portare a termine il viaggio”

Entrambi sono soli, in un mondo che, per motivi diversi, abitano con difficoltà.

“Scrivo sulla solitudine perché la vedo ovunque attorno a me” ha dichiarato Veselin Markovic.

Lei: “Vivo in una società civilizzata, dove la gente si limita a fissarmi, a bisbigliarsi all’orecchio e a tirare i bambini in disparte. Al posto del sibilo delle frecce, ascolterò commenti stupidi e abili scuse per avermi fatto perdere il lavoro. La differenza non è piccola. La meschinità è sempre meglio della barbarie, no?”

Lui: “Oh, questo lei non l’avrebbe mai ammesso, mi guardava invece dritto negli occhi, di tanto in tanto annuiva, mostrando di essere d’accordo con le mie parole in modo incondizionato, e mi faceva qualche domanda sensata, ma io sapevo cosa pensava davvero. Mi ascoltava, e intanto si chiedeva perché sprecassi il mio tempo in simili inezie. Avrebbe voluto che avessi un lavoro  “solido”, come disse una volta, il che significava un lavoro ben pagato. Avrebbe voluto che mi trovassi finalmente una ragazza, insieme a tutto il resto delle cose che ogni madre mediocre si augura per i propri mediocri figli. Quando mi arrabbiavo per la sua incapacità di comprendere, mi dicevo: ha sessant’anni, e vorrebbe vedere suo figlio “sistemato”. Come se in questo mondo si possa mai essere al sicuro”.

Leggendolo, non ho potuto non riandare con la memoria al primo episodio del Decalogo di Krzysztof Kieslowski. Il Decalogo (1988/1989) è una serie di dieci cortometraggi che raccontano degli episodi di vita quotidiana ispirati ai dieci comandamenti. Il primo: Io sono il Signore Dio tuo. Non avrai altro Dio all’infuori di me, ricorda moltissimo la storia di Vladimir, il protagonista maschile di questo accattivante romanzo.

Anche lì c’è un professore universitario (in quel caso è un fisico, non un matematico), anche lì c’è un lago, e una lastra di ghiaccio; anche nel film avviene qualcosa di tragico; anche lì è grande lo spazio dedicato alla possibilità (o meno) di calcolare le probabilità di accadimento di un evento; e anche in quel caso si parla tanto di Dio…

mi dissi che era stato Dio a salvarmi. Non c’è altra spiegazione

Dio l’avrebbe salvata? (…) E perché mai un dio dovrebbe creare una situazione dalla quale poi è costretto a salvarla? Il suo dio cambia idea, forse?

Pensai: forse sono destinato a qualcosa, e Dio in questo momento mi sta mandando un segno. Stupidaggini! Non ho salvato il mondo. Non ho nemmeno salvato mia moglie. Ho solo continuato a vivere e basta”

Ma le analogie riguardano solo lo spunto narrativo, perché il romanzo si allarga in una storia più ampia, che vira verso il racconto poliziesco, anche se la detection che accomuna i due protagonisti è tutto sommato incentrata su loro stessi: sul loro passato, la loro identità, il loro isolamento e sulla loro diversità.

Infine, mi piace chiudere con una frase dello stesso Veselin Markovic, intervistato a proposito della composizione e dello stile della sua scrittura:

“La letteratura non è pubblicistica ma arte. (…) Capita che per diversi giorni, o persino intere settimane, io non scriva nemmeno una riga, ma non esistono giorni in cui io non legga. Per fortuna, il mondo è pieno di buoni scrittori”.

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Noi diversi, di Veselin Markovic, traduzione di Anita Vuco, a cura di Daniela Di Sora, Voland, pp. 397, €18,00

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