di Federica Pergola

Federica

 

 

 

Il volontario

Foto di Federica Pergola
Foto di Federica Pergola

Ma, durante le lacrime, in che lingua si esprimeva mai?

Forse era polacco. Il dialetto ibrido di una città che dieci diversi imperi avevano conquistato mentre marciavano verso altre terre. Meno di un’ora prima, un volo della airBaltic aveva rigurgitato i suoi passeggeri da un gate nelle vicinanze. L’aereo era partito da Riga, perciò il bambino poteva essere lettone.”

E’ un bambino di circa cinque anni, perduto (abbandonato?) all’aeroporto internazionale di Amburgo, quello che piange nelle prime pagine di questo libro.

Ma la sua storia dovrà attendere. Prima, Salvatore Scibona – con questo romanzo finalista al National Book Award, ma già vincitore del Young Lions Fiction Award, del Pushcart Prize, dell’ ‘O Henry Award e del Whiting Award – ci porta indietro di qualche decennio, quando Vollie Frade, dell’Iowa, decide di arruolarsi nei marine e viene catapultato in Vietnam.

Gli ordini per i convogli erano chiari, semplici: Non vi fermate. Una lunga colonna di camion, venti, cinquanta, a volte anche cento camion, uno dietro l’altro. Se bucavi una gomma, non ti fermavi. Continuavi a guidare.(…) Se un problema meccanico o una mina terrestre danneggiavano un mezzo, lo accostavi di lato e continuavi ad andare. Se ostruiva il passaggio lo spingevi giù dal dirupo, e chissenefrega se dentro c’era tua madre. (…) Tre uomini furono scaraventati in aria dall’esplosione, ma avevano ancora le gambe perciò schizzarono via, con strisce di carne penzolanti dall’uniforme bruciacchiata – l’automatismo del corpo di un marine, che schizza via senza bisogno di capire il perché- e montarono sul retro del mezzo di Vollie. Il convoglio si fece largo traballando in mezzo al villaggio di cartone, oltre i tetti di lattine, schiacciando di tutto, sacchi di riso o persone, sotto gli assali inclinati, ma non si fermò”.

Lì, al campo di addestramento, imparerà a farsi beffe delle domande (“Ti insultavano e ti picchiavano e ti umiliavano finché non ti spremevano fuori l’ultimo grammo di quello che si chiama pensare con la propria testa”); parteciperà ad una missione fantasma nella giungla cambogiana; verrà fatto prigioniero, e diventerà “l’uomo che ne è uscito vivo dopo che tutti gli altri erano morti” .

“Sprofondò nel letto con le ossa indolenzite, strabico per la fatica, e sognò Wakefield. Il soldato di prima classe Herschel “Dormiglione” Wakefield. Un sogno che all’inizio consisteva nella mera intuizione della presenza di Wakefield nel buio famelico, poi nel suo respiro debole, malato, poi nel suo odore, che avrebbe potuto essere indistinguibile da quello di loro tre – Wakefield, il tenente e lui stesso- se non vi si fosse insinuato un principio di decomposizione, e poi nella consapevolezza che lui sarebbe sopravvissuto, mentre gli altri due no perché lui voleva vivere più di quanto non lo volessero loro” .

Ma le vite (ed i nomi) di Vollie sono tanti. Per recidere qualunque legame col proprio passato si unirà ad una cellula clandestina dei  servizi segreti, per scoprire che nulla è più difficile di dimenticare

“A lungo, dopo che Vollie Frade era scomparso quasi del tutto dalla sua mente, sua madre e suo padre- a cui aveva voltato le spalle per affrontare il vuoto che gli appariva come la sua vera casa – avrebbero continuato ad abitare nel suo mondo interiore, con una dolcezza terrificante. L’odore dei loro capelli, il modo in cui russavano…  (…) Poi vennero le notti in cui non riusciva a dormire per il dolore o quelle ancora peggiori in cui dormiva e faceva sogni di tortura: l’aguzzino era lui. (…) Il dolore era la retribuzione finale per i suoi errori, per la sua crudeltà, per le morti che aveva causato, le morti che aveva ignorato, le morti che non aveva impedito, le morti che aveva osservato, muto e immobile, lasciandole semplicemente accadere…E una volta che capì di poter vivere nel dolore, capì anche che l’avrebbe fatto”.

Nello spazio di quattro generazioni, e facendoci spostare dal Midwest alla Cambogia, da New York a Los Alamos, Scibona intreccia passato e presente, la grande storia e le scelte degli uomini, mentre il suo talento ci avvince sia quando descrive un istante –

Il ruscello che alimentava la pozza proseguiva a valle nel suo  letto cosparso di pietrisco. Gli sterpi, la chamisa e i fiori inghiottirono il sole. Tutt’intorno, digradando verso ovest, le rocce giacevano nelle loro formazione attuale mentre il vento le lambiva, modellandole, con il lento paziente invisibile lavoro che in ogni momento le trasformava per sempre. Cominciò a piovere”

-che quando parla di esseri umani; delle loro origini, delle loro radici, degli errori e delle colpe, propri o ereditati dal passato

“Poi uscirono dal tribunale e Louisa seguì il pick up di Tilly per quasi duecentocinquanta chilometri, desiderando che lui notasse la sua Chevette che lo tallonava…in modo che lei potesse accostare, uscire dalla macchina e confessargli di avere commesso un errore, quella notte nel deserto, quando lui le aveva chiesto di fare parte della sua vita. Aveva detto di no, e avrebbe dovuto dire di sì. Avrebbe voluto che lui glielo chiedesse di nuovo…Questa volta- per favore- lei avrebbe detto di sì”.

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Il volontario di Salvatore Scibona, traduzione di Michele Martino, 66THAND2ND, pp. 439, €20,00

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