di Adriana

Ginzburg Strout

Gli esilaranti aneddoti su Cono, con cui nel nostro ultimo incontro ci ha deliziate Sfera, sorella dello stesso e della più giovane Piramide, tutti figli di due famosi matematici, mi hanno riportata a qualche mese fa nell’atmosfera di un libro che voglio suggerirvi, una illuminante lettura per adulti e ragazzi.

Quanti episodi nella vita di ciascuna di noi, capitati per caso, o quante battute del tutto estemporanee hanno portato a nomignoli o espressioni diventati patrimonio lessicale della nostra storia famigliare. Andate indietro nel tempo, fino alla vostra infanzia. Affioreranno pensieri e ricordi, certo “esili barlumi e schegge di quanto vissuto e udito”. Vi torneranno in mente espressioni o epiteti caratterizzanti le persone della vostra vita o voi stesse, e sarà sufficiente che venga fuori quella espressione in modo del tutto casuale per condividere di nuovo con le persone coinvolte quella complicità di vissuto che altri non saranno in grado di cogliere. O basterà ascoltare un estraneo pronunciare una frase in un contesto del tutto insignificante per stringere forte nel vostro cuore ciò che insignificante non è.

A questo vi condurrà Lessico famigliare di Natalia Ginzburg.

Noi siamo cinque fratelli. Abitiamo in città diverse, alcuni di noi stanno all’estero: e non ci scriviamo spesso. Quando c’incontriamo, possiamo essere l’uno con l’altro, indifferenti o distratti. Ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una frase: una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte, nel tempo della nostra infanzia. Ci basta dire: “Non siamo venuti a Bergamo per fare campagna” o “De cosa spussa l’acido solfidrico”, per ritrovare a un tratto i nostri antichi rapporti, e la nostra infanzia e giovinezza, legata indissolubilmente a quelle frasi, a quelle parole. Una di quelle frasi o parole, ci farebbe riconoscere l’uno con l’altro, noi fratelli, nel buio di una grotta, fra milioni di persone. Quelle frasi sono il nostro latino, il vocabolario dei nostri giorni andati, sono come i geroglifici degli egiziani o degli assiro-babilonesi, la testimonianza di un nucleo vitale che ha cessato di esistere, ma che sopravvive nei suoi testi, salvati dalla furia delle acque, dalla corrosione del tempo. Quelle frasi sono il fondamento della nostra unità familiare, che sussisterà finché saremo al mondo, ricreandosi e risuscitando nei punti più diversi della terra, quando uno di noi dirà – Egregio signor Lipmann, – e subito risuonerà al nostro orecchio la voce impaziente di mio padre: – Finitela con questa storia! l’ho sentita già tante di quelle volte!

La riflessione che, inevitabilmente, questo libro induce è rivolta non solo al nostro passato più lontano, ma anche alla nostra vita recente o presente, nei vari contesti che ci appartengono. Si tratta di una costruzione quotidiana e inconsapevole e di una gelosa custodia via via che il tempo scorre. Del resto, il nome del nostro gruppo ne costituisce un esempio. Parlando di Comodine, ripenso subito all’inizio della nostra relazione, quando eravamo Comodini, al Burbaca, a quel “Che tristezza i comodini senza libri!”, insomma alla nostra storia. Penso che anche a voi capiti questo e non è necessario parlarne per ripercorrere mentalmente questi fatti ed intenerirsi per essi.

Sapete, secondo me, Beppino, l’indimenticabile padre di Natalia Ginzburg, vedendoci nei nostri incontri parlare di libri, avrebbe sicuramente detto “Ma cos’hanno quelle che stanno sempre lì in un angolo a ciuciottare? Cosa sono tutti quei fufignezzi?” “I fufignezzi erano… i segreti; e non tollerava veder la gente assorta a parlare, e non sapere cosa si dicevano.” “Parleranno di Proust- gli diceva mia madre.”

E, se avesse assistito ai nostri attacchi improvvisi di watsappite, avrebbe esordito sicuramente con “Sempre questo vaniloquio!”.

Un romanzo è una noia? Allora è “un sempiezzo”.

Fra tutte noi, lui, uomo di scienza, avrebbe avuto indubbiamente parole di stima per Donatella, Anna e Federica G, dato che in casa sua non entravano che biologi, scienziati e ingegneri. Aveva, invece, una certa repulsione per il mondo dei letterati. Se si occupavano di politica, forse, avrebbero avuto qualche possibilità in più. Gli unici argomenti di suo interesse e metro di valutazione delle persone erano, infatti, la scienza e la politica. Insomma, come avrete potuto intuire, Beppino è un personaggio, ma sarebbe più giusto dire una persona, che difficilmente riuscirete a dimenticare.

Lessico Famigliare, però, è anche altro. Siamo nei primi anni del fascismo. La famiglia Levi (il cognome di origine di Natalia Ginzburg) è fortemente antifascista e con questa famiglia vengono in contatto figure che hanno fatto la storia politica e culturale di quegli anni: Turati, Anna Kuliscioff, Adriano Olivetti, Pavese, Leone Ginzburg, Balbo e tanti altri. Tutti ti sembrano di casa, persone comuni, e tu stessa hai la sensazione di frequentarli e di partecipare alla definizione della Storia. Assisti, quasi in prima persona, alla nascita e alla crescita della casa editrice Einaudi, che diventa, anche quella, affettuosamente famigliare.

Accanto a questo magnifico romanzo di ricordi, vorrei suggerirvi un’altra lettura superlativa, Amy e Isabelle di Elizabeth Strout (una buona parte di noi ha già avuto modo di apprezzarla). Questo libro occupa un posto privilegiato della mia libreria, ma era fermo lì da circa due anni, in attesa del suo momento. E il momento per un libro arriva molte volte non perché siamo noi a stabilirlo, ma perché lui, per una sorta di intuizione, percepisce il nostro bisogno, prima ancora che questo sia chiaro a noi stesse. È uno scegliersi reciproco.

E per la seconda volta, dopo I fratelli Burgess, mi sono rivolta alla Strout per rifugiarmi nella mia comfort zone. Per quanto l’autrice abbia affrontato e sia magistralmente riuscita a trasferire situazioni di grande impatto emotivo (nessuna madre di figli adolescenti potrà mai rimanere impassibile dinanzi a tali accadimenti e a quello che è il corso naturale della vita), in tutto il romanzo, tuttavia, aleggia una soavità che avvolge, quasi un delicato abbraccio. Penso proprio che questa sia la peculiarità con cui Elisabeth Strout coccola i suoi lettori. Ti ritrovi a far parte di queste storie per la normalità e la banalità dei dettagli, banalità che, paradossalmente, non risulta essere un dettaglio da poco. Amy e Isabelle è un libro di relazioni, tra le quali domina quella più viscerale di tutte, la linea nera sempre presente tra una figlia adolescente e una madre, che, usando le parole di Valeria Parrella, sono “l’una dell’altra, tutto l’universo affettivo”.

Chi era Amy?…Chi era sua figlia? Chi era stata per tutto questo tempo?.

Shirley Falls era piena di infelicità, quella notte. Se Isabelle Goodrow avesse potuto scoperchiare il tetto di certe case e sbirciare nelle loro profondità domestiche, avrebbe trovato un assortimento di umane sofferenze.

Ma

in una stanza di donne alla deriva c’era stata e c’era ancora una grande gentilezza,

pur con

segreti che ognuna si sarebbe portata dietro da sola.

Ma che ci potevi fare? Solo tirare avanti. La gente tirava avanti; lo faceva da migliaia di anni. Facevi tesoro della gentilezza che ti veniva offerta, lasciandotela filtrare dentro il più possibile, e con gli anfratti che restavano oscuri cercavi di conviverci, sapendo che col tempo si sarebbero potuti trasformare in qualcosa di quasi sopportabile.

Amy sarà pronta a decollare e Isabelle dovrà accettare di poter solo pilotare l’astronave.

E così il cerchio si chiude. Questi due libri possono tornare al loro posto dopo un periodo di sospensione sul mio comodino virtuale. Dovrò riportare in biblioteca la bella edizione cartonata di Lessico Famigliare, ormai un po’ ingiallita dal tempo e dalle mani di quanti hanno girato quelle pagine. Mi ha fatto compagnia nei mesi scorsi in questa condizione di attesa, quasi a voler far parte di un tutto che in fondo tutto non è mai stato. Amy e Isabelle può ritornare nel suo angolo speciale, dove intanto si è creata confusione. Un paio di libri che mi sono stati restituiti e non sapevo dove collocare, un libro meraviglioso che ho comprato dopo averlo letto in prestito, i due volumi di Chimamanda che sentivo di voler avere, Alda Merini, Mariolina Venezia, un libro che non mi è piaciuto affatto e qualcos’altro riposto lì temporaneamente aspettando altra destinazione. Prima o poi metterò ordine in quell’angolo e troverò la sua logica. Intanto, se sposto gli occhi un po’ più in basso, vedo i due volumi di Camurri. Non sono spessi, riuscirò a leggerli facilmente. Sì, i prossimi saranno loro.

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