di Antonello Saiz

Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo"
Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”

 

 

 

 

 

 

 

LUGLIO, IL MESE DEI RITORNI E DEI LIBRI PER L’ESTATE

Zaino 7 luglio

E’ iniziato luglio, mese di ritorni tra gli scaffali ma anche mese in cui progettare letture da intraprendere durante le vacanze estive. Luglio mese anche di ritorni di belle presenze in libreria: dopo un anno esatto è tornata ai Diari a fare la libraia per un giorno Federica Montevecchi, che ha appena curato per la piccola biblioteca di Adelphi “Empedocle” di Giorgio Colli.

E’ stato piacevolissimo poter ospitare Federica dopo la bellissima serata filosofica di un annetto fa avevamo presentato proprio “Sull’Empedocle di Giorgio Colli” pubblicato da Luca Sossella Editore nella collana Numerus. Federica Montevecchi, filosofa e saggista, è autrice, fra altri, di “Giorgio Colli. Biografia intellettuale”, Bollati Boringhieri, “Empedocle di Agrigento”, Liguori. Ha lavorato con Vittorio Foa e con lui ha scritto “Sulla curiosità”, Einaudi, e “Le parole della politica”, Einaudi. Collabora con riviste specialistiche e quotidiani, ma soprattutto è una nostra cara amica.

Giorgio Colli, nato nel 1917, è stato un esempio raro di indipendenza e originalità intellettuale: filosofo, filologo, organizzatore editoriale, ha attraversato anni decisivi della storia italiana dando contributi alle case editrici Einaudi, Boringhieri e Adelphi. Negli anni Cinquanta, curò la collana dei classici della filosofia per Einaudi. Traduttore dell’Organon di Aristotele e della Critica della Ragion Pura di Immanuel Kant, nonché – consegnandosi alla memoria del mondo intero – curatore con l’allievo Mazzino Montinari dell’edizione critica delle Opere di Friedrich Nietzsche. Di rilievo internazionale l’edizione critica delle “Opere” e dei carteggi di Friedrich Nietzsche, da lui realizzata a partire dagli anni Sessanta con la casa editrice Adelphi. All’università di Pisa Colli ha insegnato Storia della filosofia antica per trent’anni, dal 1948 al 1979, anno della sua morte. “Sull’Empedocle di Giorgio Colli” riflette sulla interpretazione colliana del filosofo-poeta presocratico dell’amore e dell’odio, considerato esponente di un mondo in cui la razionalità non può dar conto di se stessa, al contrario di ciò che pensano i moderni, perché alla sua radice sta un ‘alogon’, un’immediatezza vitale inattingibile e inesprimibile rappresentativamente. Si tratta di un’interpretazione in cui è possibile rintracciare temi della dottrina teoretica di Colli sull’espressione e soprattutto l’intendimento della filosofia come espressione di pensiero ed di azione. Questa edizione de “Empedocle” di Giorgio Colli per Adelphi, curata da Federica Montevecchi è una vera chicca.

Come testimoniano i due studi qui riuniti, per Gior­gio Colli la ricerca filologica sui testi del pensiero greco è fin dall’inizio – in sintonia con la lezione di Nietzsche – inseparabile dalla riflessione teoreti­ca. E centrale, nel suo percorso speculativo, si rive­la subito Empedocle, sul quale Colli si concentra già nella tesi di laurea, e di frequente negli scritti successivi. All’interno di una cornice costituita dal complesso rapporto fra sostanza e divenire, fra uni­tà e molteplicità – nodo metafisico essenziale per comprendere la grecità e il pensiero stesso –, Colli mostra come per Empedocle non vi siano due real­tà, una trascendente rispetto all’altra, ma noume­no e fenomeno avvinti, e come la radice metafisica, l’interiorità di ogni realtà individuale, sia costituita dal suo impulso vitale a congiungersi con il tutto e a ritrovarsi in esso. Empedocle è dunque un misti­co che vive e considera come inseparabili la dimen­sione mortale e quella immortale, aspetti polari di una medesima natura la cui trascendenza è irridu­cibile a una spiegazione razionale.

L’abbiamo conosciuta con “La lettrice di Cechov”, il suo bellissimo e pluripremiato esordio nella forma romanzo, che ha mostrato tutto il suo talento di scrittrice. E’ tornata in libreria, sempre per Nottetempo, la scrittrice marchigiana Giulia Corsalini con “Kolja. Una storia familiare”.

Giulia Corsalini, vive nei dintorni di Recanati,la patria di Leopardi, insegnante ed appassionata di letteratura russa, docente e autrice di saggi di critica letteraria, fra cui ”Il silenzio poetico leopardiano” e “La notte consumata indarno. Leopardi e i traduttori dell’Eneide”, ambienta le sue storie, ricche di rimandi letterari, tra la sua terra e l’Ucraina. Koljia è una storia di famiglia, anzi di famiglie e con una scrittura esatta e sobria ci viene raccontata la commovente storia di una coppia di separati che ospita al mare tre ragazzini ucraini innescando una serie di situazioni.

Un’estate, nella casa di un paese sul mare, una coppia separata da anni ospita tre bambini ucraini: sono Nataša e i fratelli Kolja e Katja, approdati in Italia dal loro orfanotrofio per trascorrere delle “vacanze di risanamento”. Natalia e Marcello si trovano cosí a tentare di rimettere insieme i pezzi del loro rapporto compromesso, per affrontare un’esperienza che si dimostra fin da subito spiazzante: cosa si aspettano da questi bambini estranei, difficili da decifrare e già segnati dalla vita? E cosa possono dar loro, quale illusione di concordia e fiducia, se sono i primi a non orientarsi piú nelle loro esistenze bloccate e deluse? Alla fine di una stagione divisa per tutti tra tenerezza e spaesamento, ogni cosa sembra tornare come prima, ma con un nuovo carico di dubbi e aspettative sospese: i bambini nel loro lontano orfanotrofio, Marcello ripiegato sui suoi studi latini, Natalia riassorbita dal suo temperamento ombroso. Fino a quando, durante il conflitto scoppiato in Ucraina, si perdono le tracce dell’irrequieto, fragile Kolja; e per la coppia la ricerca del bambino si allarga a interrogativi divenuti impellenti sulla responsabilità, sul senso dell’essere genitori e sulla difficile – possibile? – costruzione di una famiglia irregolare, che raccolga in sé il delicato equilibrio di cinque destini incerti e intrecciati.

“La lettrice di Cechov” può essere considerato un romanzo dedicato all’amore per la letteratura, che ci ricorda quanto quest’ultima possa essere salvifica e fondamentale per colmare i vuoti dell’anima. Questo libro delicato, elegante, profondo e intenso nella narrazione, ha vinto il Premio Internazionale Mondello, il SuperMondello 2019, il Premio nazionale di narrativa Bergamo e il Premio Gli Asini.

Nina è una donna ucraina, di lingua russa, che arriva in Italia per accudire una signora anziana. Nel suo paese ha lasciato il marito malato e l’amata figlia Katja, a cui spera di poter assicurare un futuro, la laurea in medicina, il matrimonio.La sua solitudine si divide tra le faccende domestiche e il risveglio di una passione per gli studi umanistici e per Cechov in particolare, che la spingono a frequentare l’istituto di slavistica dell’Università cittadina dove conosce il professore di Lingua e Letteratura russa, Giulio De Felice, che le offre un contratto temporaneo di docenza.La loro relazione, in gran parte inespressa e fatta di piccole occasioni tristemente mancate, finisce tuttavia per trattenerla in Italia, compromettendo il rapporto con la figlia. Intanto, l’arrivo di un nuovo ricercatore offre a De Felice l’occasione di lasciare che Nina torni nel proprio paese. Seguono anni di vuoto e silenzio, improvvisamente interrotti da un invito di De Felice che reclama la sua presenza a un convegno su Cechov.

Dopo “Andarsene”, lo scrittore boliviano Rodrigo Hasbún torna in libreria con “Gli anni invisibili”. Pubblicato sempre da Sur nella traduzione di Giulia Zavagna. Gli anni invisibili, ambientati tra Houston e la Bolivia, accadono tra due fasi dell’esistenza: l’adolescenza e la soglia dei quaranta. Nel bel mezzo scorre la vita, con la sua luminosità e le sue crepe. Un romanzo sui fantasmi della giovinezza e il disincanto della maturità, sugli anni che definiscono per sempre chi siamo.

Dopo anni trascorsi senza vedersi né sentirsi, due vecchi amici si ritrovano decisi ad aprire il vaso di Pandora del loro passato in comune. Così, mentre in un bar di Houston bevono un bicchiere dopo l’altro, la mente torna in Bolivia, alla fine del liceo e al tragico marzo di ventun anni prima, fatto di innamoramenti tumultuosi, genitori assenti, sogni e incertezze che in un paio di settimane hanno sconvolto per sempre le loro vite. Li vediamo, ragazzini – tra canzoni urlate a squarciagola, confidenze sussurrate e bevute fuorimisura –, entrare poco a poco in un vortice di eccitazione e violenza che culminerà in una notte impietosa, dalla quale nessuno saprà salvarsi.
È possibile risalire al momento in cui siamo diventati noi stessi, agli anni invisibili che definiscono per sempre chi siamo? Sono solo alcune delle domande a cui cercano di rispondere gli umanissimi protagonisti di questo romanzo, in cui Rodrigo Hasbún racconta i fantasmi dell’adolescenza e il disincanto della vita adulta con una prosa asciutta e spietata, dal ritmo incalzante, costruendo una storia in cui non possiamo che riconoscerci.
Rodrigo Hasbún (Cochabamba, 1981) nel 2007 è stato selezionato dall’Hay Festival come uno dei migliori scrittori latinoamericani sotto i 39 anni, e nel 2010 la rivista Granta l’ha scelto come uno dei 22 migliori giovani scrittori in spagnolo.È autore di racconti e dei romanzi El lugar del cuerpo (2009) e Andarsene uscito per Edizioni SUR nel 2016 e sempre con traduzione di Giulia Zavagna.
Andarsene è un denso, intrigante romanzo che unisce mirabilmente realtà storica e finzione letteraria.
Un efficace montaggio di episodi e voci permette di seguire le vicende della famiglia Ertl dagli anni Cinquanta agli anni Settanta. Hans Ertl, cineasta tedesco che sotto la direzione di Leni Riefenstahl aveva glorificato l’estetica nazista, finita la guerra si rifugia in Bolivia con la famiglia, inseguendo il sogno di una spedizione archeologica. La moglie e le tre figlie non usciranno indenni dalle incolmabili assenze di quel padre, eppure Monika, la più grande e audace delle tre, finirà per ereditare il carattere anticonformista di Hans e lanciarsi verso un obiettivo molto più temerario, abbracciando la rivoluzione e finendo col passare alla storia come «la vendicatrice di Che Guevara». Tra i poli opposti di queste due figure vigorose corrono i rapporti con gli altri personaggi, grandi fallimenti e piccole tenerezze familiari, in un romanzo che ha il passo e la forza delle storie memorabili.

Dopo “La Città di morti” e “Il fiore della notte” torna il libreria anche Herbert Lieberman, un grande maestro dimenticato del crime americano, riscoperto da Minimum fax attraverso i suoi romanzi, duri e realistici, con virate horror, della trilogia newyorkese che vede alternarsi due personaggi che si incrociano diventando ora protagonisti ora comprimari. Nel 1986 la casa editrice Sperlig & Kupfer aveva provato a pubblicare un noir di Liebrman “Il fiore della notte ” ma non ebbe un gran seguito e l’autore era caduto nel dimenticatoio. La Francia invece lo ha sempre amato assegnandogli, per il romanzo “La città di morti” il premio più importante dei polizieschi, Il Gran Prix de la Litterature Policiere. Forse i suoi romanzi molto duri e realistici con puntate horror erano giunti troppo preso in Italia. Il titolo del nuovo libro è “Caccia Alle Ombre”, un thriller adrenalinico e potente, una nuova indagine per il tenente Frank Mooney e l’anatomopatologo Paul Konig. IL detective del dipartimento di polizia di New York, Frank Mooney, è per natura un anti eroe: cinico, gran mangiatore, appassionato e scommettitore alle corse dei cavalli, deluso ma per fortuna ha raggiunto la pace dei sensi in quanto ha sposato una ricca ristoratrice che si prende cura di lui e… soprattutto condivide la passione per le corse dei cavalli.

Per il tenente di polizia Frank Mooney, reduce dalla lunga e difficile indagine raccontata nel precedente romanzo, Il fiore della notte, la vita continua a essere una serie infinita di problemi e complicazioni, anche personali. Finché non viene completamente assorbito dal caso forse più difficile e straziante della sua carriera: la caccia a uno stupratore e omicida seriale che la stampa ha soprannominato «Ombra Danzante». Nonostante gli sforzi di Mooney e dell’intero dipartimento di polizia di New York (incluso Paul Konig, l’anatomopatologo protagonista del thriller Città di morti) l’Ombra Danzante ha già accumulato un numero notevole di vittime, e come sempre sono entrati in campo anche il sindaco e i suoi scherani, che pretendono una soluzione rapida e un colpevole da dare in pasto all’opinione pubblica. Le cose, pero?, si complicano quando Mooney comincia a sospettare che l’Ombra abbia a sua volta un’ombra: un copycat che ne imita perfettamente i delitti. C’è quindi il rischio concreto che gli assassini da assicurare alla giustizia siano due.

Altro ritorno, in questo inizio d’estate, di uno dei romanzi più belli e tesi di William Goldman: esce per Marcos y Marcos “Il Maratoneta”. Un nazista che passeggia per il distretto dei diamanti a New York, presidio ebraico: ecco la visione da cui è partito Goldman per scrivere questo romanzo e poi il film con Dustin Hoffman e Laurence Olivier.Trovato il cattivo, il peggior cattivo immaginabile, ha messo in pista Babe, un ragazzo puro, che corre e studia Storia per i suoi ideali di libertà.Il criminale nazista lo tortura, la donna amata fa il doppio gioco e persino suo fratello non è chi diceva di essere. Babe non sa nulla dei loro traffici loschi ed è fedele a se stesso. Alla violenza e alla doppiezza, oppone l’eroismo della resistenza.

Babe la sera si allena a Central Park: sogna di correre la maratona come il suo idolo, Abebe Bikila. Di giorno studia Storia per imparare a sconfiggere la tirannia. Ma si innamora di una donna troppo bella per essere sincera, e persino l’amatissimo fratello non è quello che sembra. Vittima inconsapevole di intrighi e tradimenti, Babe finisce nelle grinfie di un crudelissimo nazista, che ha fatto fortuna estorcendo diamanti agli ebrei. La scena della tortura con tecniche da dentista è entrata nella storia del cinema; la passeggiata di un nazista clandestino tra gli ebrei, nel distretto dei diamanti di New York, è la visione che ha spinto Goldman a scrivere questo romanzo e poi il film. L’aspetto più indimenticabile però è l’onestà profonda di Babe, la purezza che lo rende invincibile.

Il celebre sceneggiatore statunitense William Goldman, premio Oscar per i film Butch Cassidy e Tutti gli uomini del presidente ha scritto anche una favola ambientata a Venezia, con protagonisti i gondolieri dal titolo “Il silenzio dei gondolieri” e sempre edito da Marcos y Marcos. Il recupero narrativo questo racconto di una dolcezza infinita si deve al traduttore Dimitri Galli Rohl, che ha scoperto il libro pubblicato da Goldman con lo pseudonimo S. Morgenstern. “Il silenzio dei gondolieri” è una favola moderna, nata dal genio di Goldman che pare l’abbia scritta folgorato dalla bellezza di Venezia durante un soggiorno.

Il protagonista è il gondoliere Luigi, mago delle manovre impossibili tra i canali, ma estremamente stonato, in un’epoca in cui i gondolieri erano i migliori cantanti del mondo.
Riuscirà Luigi a trovare il riscatto, coronare il suo sogno e conquistare il cuore di Venezia per sempre?
C’è sempre un’aura di magia attorno alle storie di William Goldman, pardon, alle storie di S. Morgerstern!

Di William Goldmann era stato pubblicato “La principessa sposa” nella traduzione di Massimiliana Brioschi per Marcos y Marcos che da pochi mesi è tornato in una nuova edizione speciale. Una fiaba da grandi questo in cui un celebre sceneggiatore è disperatamente a caccia di una copia del romanzo chiave della propria infanzia. Quel romanzo gli aveva spalancato orizzonti impensati, rivelato uno strumento strepitoso: la lettura. Darebbe un occhio pur di trovarlo, vorrebbe regalarlo al figlio viziato e annoiato, sperando che il prodigio si ripeta. Quando ne agguanta una copia, si rende conto che molti capitoli noiosi erano stati tagliati dalla sapiente lettura ad alta voce del padre. Decide di riscriverlo. Togliere lungaggini e divagazioni. Rendere scintillante la “parte buona”. La magia si realizza. Il risultato è straordinario. Il libro è stato adattato in un film del 1987 diretto da Rob Reiner, dal titolo La storia fantastica.

Si parte da una cotta clamorosa, un amore eterno tra un garzone di stalla e la sua splendida padrona, che sembra naufragare a causa di una disgrazia marittima. C’è poi il di lei fidanzamento con un principe freddo e calcolatore. Poi c’è un rapimento, un lungo inseguimento, molte sfide: il ritmo cresce, l’atmosfera si arroventa. Il trucco della riscrittura – arricchito da brillanti “fuori campo” dell’autore – l’incanto di personaggi teneri o diabolici, i dialoghi perfetti, fanno crescere il romanzo a livelli stellari. Disfide, cimenti, odio e veleni, certo. Ma anche vera passione, musica, nostalgia. Si corre a trecento all’ora su un terreno tutto nuovo che abbraccia classico e stramoderno, fiabesco e farsesco, ironico e romantico.

Tra le novità ai Diari è da segnalare anche il ritorno con “La Luna Viola” del nuovo libro di Andrea Serra, appena pubblicato nella Collana Golem di Miraggi Edizioni.

Che cosa accadrebbe se uno studioso di filosofia volesse far colpo su una donna che odia la filosofia? E se un padre che volesse raccontare una fiaba alle sue figlie avesse come amici i più grandi filosofi della storia?
Una prosa brillante, dialoghi inaspettati e personaggi dai buffi soprannomi ci trasportano nel prodigioso mondo della Luna Viola, il femminile originario che con il suo colore tra l’umano e il divino riunisce due nature e ricongiunge gli opposti del maschile e femminile.
Muovendosi con leggerezza e poesia, fra abissi di autoironia e lievi profondità, Andrea Serra ci racconta la sua vita di padre nel ventesimo secolo, alle prese con una moglie che sembra la nemesi della sua vorticante immaginazione e due bambine, Luna e Viola, molto vivaci. Una fiaba filosofica ricca di storie avvincenti, saggezza e magia, con tanto di Dizionario lunatico dei nomi e degli incantesimi per apprendisti filosofi della Luna Viola finale.

Andrea Serra è seguito su FB da migliaia di persone per i suoi racconti umoristici, episodi seguitissimi, che hanno per protagonisti sua moglie, una coatta romanaccia, e le “due Temibili sorelle Serra” , le sue figlie, che sono diventati il suo primo libro, con il titolo di “Frigorifero mon amour”. Il libro molto divertente con il tema di fondo della lotta allo spreco alimentare è sostenuto dal Banco Alimentare, che combatte lo spreco alimentare ridistribuendo ogni giorno alimenti a migliaia di famiglie in difficoltà sul territorio nazionale.

Il protagonista del libro, Felice, è un marito e un papà che, vessato dalla moglie e dalle temibili figlie, deve fare i conti con la fuga del proprio frigorifero, esasperato dallo spreco di cibo cui assiste quotidianamente.Da quel momento Felice (ma sempre meno) proverà in tutti i modi a ricongiungersi con l’amato elettrodomestico. Alla fine di un turbine di eventi travolgenti: la morte improvvisa della caldaia, le sedute devastanti dal dentista, i week-end deliranti con le figlie e le colleghe fissate con le diete e lo shopping, sarà costretto ad affrontare una rocambolesca quanto grottesca discesa agli Inferi per ritrovare il suo amato frigorifero e il senso della propria esistenza.

Nello Zaino di Antonello: Luglio, il mese dei ritorni e dei libri per l’estate