Orologio Nisini

Ci saremmo senz’altro visti nella sala a forma di orologio di Alfredo Del Nord, avremmo parlato per un’oretta, e alla fine ci saremmo accorti del passare del tempo dal panorama cambiato di fronte a noi.

Il tempo umanoHo letto “Il tempo umano”, nuovo romanzo di Giorgio Nisini, e come sempre mi sono fatta trascinare dalla forte suggestione della sua scrittura. In particolare dal fascino della minuzia e ricchezza dei dettagli, a partire dalla ricostruzione della villa di Alfredo Del Nord, tenebrosa e perturbante nella sua bellezza, come sempre lo sono i luoghi e gli scenari, ma anche i personaggi e le figure di Giorgio Nisini, scrittore che seguo con ammirazione e fiducia.

L’invito è rivolto anche a voi, e mentre aspettiamo insieme con Giorgio Nisini che lo scorrere del tempo muti il panorama sotto i nostri occhi per la geniale invenzione del proprietario della villa, immergiamoci nell’atmosfera di “Il tempo umano” e nella spietata e acuta scrittura di Giorgio Nisini.

Torni in libreria con “Il tempo umano”  (HarperCollins), dopo aver esordito nel 2008 per Perrone con “La demolizione del mammut“, vincitore del premio Corrado Alvaro opera prima e finalista del premio Tondelli, al quale sono seguiti due romanzi per Fazi, “La città di Adamo“, selezione premio Strega 2011, un riconoscimento importante per un autore alla sua seconda prova, e “La lottatrice di Sumo” per Fazi nel 2015. Con Giorgio Nisini abbiamo già chiacchierato dei romanzi precedenti QUI.

Un lungo percorso, testimoniato dall’accuratezza con cui trama e struttura narrativa sono intrecciati in tutti i tuoi romanzi, sostenuti da una chiara e lucida compostezza stilistica e dalla maturità e spessore di pensiero che supporta la narrazione.

Come si è evoluto questo tuo percorso narrativo dal 2008 a oggi, 2020 con “Il tempo umano”? C’è una linea di continuità o il nuovo romanzo segna una nuova fase?

Foto di Giorgio Nisini dal suo profilo Facebook
Foto di Giorgio Nisini dal suo profilo Facebook

I miei primi romanzi hanno ruotato intorno al tema del dubbio, tanto che io stesso ho parlato di “trilogia dell’incertezza”. Anche ne “Il tempo umano” il dubbio continua ad avere un ruolo centrale, ma il piano dell’attenzione si è spostato verso l’analisi delle ossessioni d’amore e della percezione del tempo. Non mi interessa una narrativa che interpreti e documenti il presente, né una narrativa che lo denunci o lo sveli. M’interessa una narrativa che metta in scena delle storie, non solo per raccontarle, ma per far sì che attraverso quel racconto si metta a fuoco qualcosa della realtà che ci sfugge. L’ho detto molte volte: voglio mostrare il visibile per vedere l’invisibile, ed è questo tentativo che lega tutti i miei romanzi. In questo senso “Il tempo umano” non rappresenta una svolta con il passato, ma un ulteriore tassello di una grande macronarrazione. 

 

Una caratteristica della tua narrazione è di mostrare l’invisibile come visibile. In questo io continuo a vedere una linea di continuità tra tutti i romanzi che hai scritto, e di cui sono avida e appassionata lettrice.

Come in “La lottatrice di Sumo”, più forse che nei romanzi precedenti, c’è un mistero da interpretare più ancora che da svelare. In “Il tempo umano” se il mistero “visibile” è la strana incisione sull’orologio dalla forma ovoidale particolare che Alfredo Del Nord ottiene come regalo dal padre, scelto da lui stesso su una bancarella in una fiera: Dea Nigra tempus solum; il mistero “invisibile” che muove e gestisce le relazioni e le esistenze dei personaggi, e che finirà per catturare nella sua rete anche il protagonista e la voce narrante del romanzo, Tommaso Serradimigni (che cognome difficile!), sono “in realtà” le parole con cui il venditore ha consegnato l’orologio al giovane Alfredo:

“Questo è un orologio del tempo” continuò l’uomo. “Ricorda: un orologio del tempo. Trattalo con amore e rispetto. Solo così, un giorno, impedirà alla morte di fare il suo corso.”

Un orologio e il tempo umano, segnato irreversibilmente dalla morte: chi dei due nasconde il mistero del tempo?

RISPOSTA: Il mistero del tempo sfugge alla comprensione umana, sebbene da sempre i più grandi filosofi, da Aristotele a Bergson, abbiano tentato di afferrarne la natura. In realtà oggi la fisica conosce molte più cose di questo concetto – sappiamo ad esempio, grazie alla teoria della relatività, che il tempo scorre diversamente a seconda delle condizioni, più veloce in montagna e più lento in pianura, oppure che nelle equazioni fondamentali della gravità quantistica questa variabile sparisce del tutto. Ma è davvero possibile una realtà in cui il tempo non esiste? Per noi umani è impossibile sperimentare una realtà del genere, visto che il tempo è forse l’elemento che più radicalmente ci condiziona: su di esso si basa la nostra memoria, la nostra identità, la nostra speranza nell’avvenire. In questo senso tra tempo umano e chi, quel tempo, lo misura, e dunque un orologio, non c’è contrapposizione, ma continuità. In questo romanzo ho provato a sondare il tempo non solo mettendo al centro un grande produttore di orologi, Alfredo Del Nord, ma anche esplorando le varie geometrie con cui esso entra nella nostra vita: un tempo verticale, quello che ci costringe a scavare dentro noi stessi, uno orizzontale, che rappresentiamo su di una linea retta per visualizzare gli eventi che accadono, quello circolare e ciclico, che si ripete nella sua infinita stagionalità.

 

Prima di affrontare l’altro binario della narrazione: quello del doppio e dell’ossessione in amore, mi vorrei soffermare su Alfredo Del Nord.

Personaggio complesso, dalle molteplici sfumature come spesso sono i padri nei tuoi romanzi. Anche in questo caso penso in particolare all’artista di “La lottatrice di sumo”. Padri chiusi nella torre d’avorio del proprio talento, che li rende sfuggenti e fascinosi.

Alfredo Del Nord è un uomo di successo, talentuoso, geniale. La casa è lo specchio di Alfredo, in modo particolare la sala strutturata per funzionare come un orologio; e gli orologi sono creazioni in cui il suo genio e il gusto per la bellezza del tempo trovano alta realizzazione.

Mi hanno colpito i dettagli e i particolari con cui hai ricostruito nel romanzo sia la vita di Alfredo Del Nord che le sue creazioni. Tanto minuti e precisi da sembrare reali, non solo realistici.

Hai avuto tra le mani gli orologi della Dea Nigra? Sei stato ospite nella villa di Del Nord? nella tua immaginazione o sono frutto di esperienze assemblate nel romanzo? 

RISPOSTA: È vero, nei miei romanzi ci sono spesso dei padri geniali che vivono dissociati nel loro universo solipsistico. Anche nel mio secondo romanzo, “La città di Adamo”, raccontavo la storia di un imprenditore che aveva creato una tra le più grandi aziende agricole italiane. In questo caso il solipsismo patologico di Alfredo si canalizza in un’ossessione che lo condiziona fin da quando era bambino: quella per il tempo. Tutta la sua vita è una parabola di messa a fuoco di questa ossessione, ma non come potrebbe farlo un fisico teorico o un filosofo, ma un narratore-artigiano. Alfredo non costruisce semplicemente orologi, e dunque oggetti che sono diventati famosi per la raffinatezza del loro design e per la precisione tecnologica, ma contenitori di storie. Ogni orologio Dea Nigra nasce da un episodio nella vita di Alfredo che si riflette negli ingranaggi e nelle linee, come ad esempio il DNA, progettato per raccontare la particolare modalità di correre di una mezzofondista americana, oppure gli orologi dedicati alle grandi eroine tragiche del passato, Andromaca, Antigone e Ismene. Tutto il suo mondo non l’ho sperimentato direttamente – non sono mai stato a Villa Del Nord, non ho mai toccato un vero Dea Nigra – ma l’ho generato assemblando tante ville, tanti orologi, tanti personaggi che ho incontrato nella mia vita.

 

Chapeau! Perché la ricostruzione è perfetta e ricca di fascino.

Oltre al tempo, con la leggenda del marchio di fabbrica della Dea Nigra, il secondo filone della narrazione è l’ossessione amorosa strettamente legata al tema del doppio.
E anche in questo filone di indagine hai saputo rendere visibile l’invisibile, spostando la tua indagine oltre la soglia solita e abituale dell’introspezione psicologica. A partire dal protagonista, che spingi a scavare nei suoi pensieri più oscuri e profondi. In questo modo l’amore che tu racconti è pieno di intuizioni fulminanti e cariche di spessore. Da sé Tommaso spinge il suo sguardo all’altro, che siano le compagne che si succedono nella sua vita o le coppie che lo circondano. Ciascuna di loro gli dà dell’amore e della relazione amorosa un ulteriore tassello di un molteplice infinito puzzle, che Giorgio Nisini con brillante capacità di analisi configura sotto gli occhi dei lettori.
“Il tempo umano” batte in sincrono con l’amore? E ci può essere tempo umano che non contempli l’amore, inteso come relazione con l’altro che porta a contatto con la parte più nascosta di sé? In definitiva non è questo che accade a Tommaso, ma anche alle due sorelle Del Nord? Non è questo che Giorgio Nisini vuole mostrare, più che dimostrare, in “Il tempo umano”: non come si vive la relazione amorosa, ma cosa si manifesta della nostra personalità in essa?

RISPOSTA: Rispondo partendo da una citazione, non mia, ma di Massimo Onofri, che in una recensione a “Il tempo umano” ha parlato di “stilnovismo patologico”. Del resto in una scena del libro Tommaso parla con Beatrice di Cino da Pistoia, ma il riferimento letterario ha qui qualcosa di epifanico: riguarda il futuro di Tommaso e Beatrice, che vivranno l’amore come un’esperienza assoluta e malata che li condurrà, in diverso modo, al confine di se stessi. Attenzione, però: non mi interessava mettere in scena una storia d’amore, o provare a dare un mio punto di vista su questo sentimento così complesso. L’amore non si può capire: ci aiuta semmai a mettere a fuoco qualcosa di oscuro che è dentro di noi. Attraverso Tommaso volevo analizzare alcune dinamiche di furor amoroso per raccontare non tanto un amore, ma le sue conseguenze, per dirla alla Sorrentino, proprio come fa Dino Buzzati in “Un amore” o Alfredo Oriani in “Vortice”. Sul rapporto “amore” e “tempo” torno di nuovo su Onofri, che mi sembra abbia colto pienamente il nucleo di questa relazione: «l’impressione del lettore è che il vero tema [del libro] sia questo: l’inesorabile dialettica tra dissipazione e tesaurizzazione, attraverso cui la vita (l’amore) e il tempo coincidono».

 

Un prologo, un epilogo, quattro tempi che si sviluppano in vent’anni (dal 1997 al 2017), intervallati da capitoli che riguardano Alfredo Del Nord e che estendono ulteriormente la scansione temporale della storia narrata. Una struttura precisa e articolata, scandita dal passaggio dalla prima alla terza persona e dalla diversa focalizzazione della narrazione.

A quale architettura pensavi per “Il tempo umano”? e quale effetto ti interessava ottenere?

RISPOSTA: Volevo che il lettore sperimentasse un’esperienza del tempo non compatta e non lineare, sebbene all’interno di un perfetto meccanismo cronometrico. È l’eterna lotta tra un tempo astratto e inafferrabile e il tentativo umano di misurarlo e quantificarlo. Ho inserito così rallentamenti d’azione, accelerazioni, ellissi, ma anche ritorni in flashback su piani temporali già visitati, che ho ripercorso attraverso punti di vista differenti. Il tentativo, come ho già detto, era quello di esplorare le varie geometrie con cui il tempo entra nella nostra vita: ci sono momenti più lenti, più veloci, momenti di ritorno che ci fanno sentire parte di un ciclo. I passaggi dalla prima alla terza persona sono stati funzionali anche a questo. Provate a rivedere un video in cui siete presenti in scena, anche un semplice filmino di compleanno. Il ricordo di quel momento (ciò che avete provato, le cose che avete visto, le persone con cui avete parlato) sarà probabilmente diverso da quando lo avete vissuto: noterete dettagli che vi erano sfuggiti, spariranno altri che vi erano sembrati importanti, tutto vi apparirà più lento o più veloce. Non solo il tempo è relativo, ma la realtà stessa.

Chiacchierando (di nuovo)… con Giorgio Nisini
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