di Giovanni Accardo

scrittore, docente, saggista e organizzatore di eventi culturali a Bolzano.
scrittore, docente, saggista e organizzatore di eventi culturali a Bolzano.

 

 

 

 

 

 

 

Un libro di storie e di persone, un’umanità che arriva da tutte le parti del mondo col suo carico di dolori e speranze, di sogni e di paure, di fallimenti e voglia di ricominciare, spinta dalla povertà e dalla ricerca di un lavoro, dal desiderio di costruire un futuro per sé e talvolta anche per i propri figli. Un mosaico di storie che si può leggere come un romanzo e dove il lettore attento e sensibile potrà ritrovare qualcosa di sé, qualcosa che risuona se non nella sua memoria, in quella della sua famiglia. Io, ad esempio, ci ho ritrovato mio nonno paterno che nel 1930 è emigrato dalla Sicilia a Casablanca, dove ha lavorato come barbiere, ci ho ritrovato mio padre emigrato a Zurigo nel 1956 per lavorare in una fabbrica di truciolati, e ci ho ritrovato mia mamma, che negli anni ’60 insegnava nelle scuole popolari in provincia di Agrigento, dove adulti analfabeti (contadini, pastori, muratori, casalinghe) si trovavano alla sera per imparare a leggere e a scrivere. Michela Fregona, La classe degli altri, edito da ApogeoE proprio di adulti da alfabetizzare e portare poi al diploma di scuola media o superiore racconta il libro di Michela Fregona, La classe degli altri, edito da Apogeo. «Donne che hanno affrontato due, tre gravidanze; che hanno cresciuto figli; che li hanno diplomati e sposati; uomini che hanno passato mezzo mondo sopra a un camion; gente che ha cambiato casa vita lingua città continente lavoro», sono i protagonisti di questo testo ibrido che parla di scuola senza essere un libro di pedagogia, che mette in scena esperienze didattiche senza essere un manuale, che racconta senza essere un romanzo e ci fa conoscere mondi, usanze e tradizioni senza essere un trattato di antropologia. E nello stesso tempo è tutte queste cose insieme, perché riflette e si interroga sulla didattica più efficace, narra vicende che sembrano inventate e che invece sono drammaticamente vere, descrive usi e costumi di altri mondi.

Le vicende sono ambientate a Belluno, in un CTP, che non è un centro temporaneo di permanenza dove trovano primo alloggio profughi e rifugiati, ma il Centro Territoriale Permanente per l’educazione degli adulti. Tuttavia l’ambiguità dell’acronimo forse è meno casuale di quel che si crede, visto che gli adulti da alfabetizzare sono soprattutto immigrati che dopo otto ore di lavoro in una fabbrica o in un’azienda, entrano in classe per imparare il congiuntivo o l’uso del plurale, la storia antica o l’analisi di un testo poetico. Teresa, Vito, Gioia, Gherghina, Matteo, Analyn, Julio César, Irina, Miscél, Romina sono alcuni degli studenti che il lettore incontrerà e di cui conoscerà non solo le difficoltà di vivere e lavorare in terra straniera, ma il mondo da cui sono partiti e al quale sono saldamente legati. A prendersi cura di loro con passione e generosità sono un gruppo di insegnanti costretti a lottare con tutte le insensatezze della burocrazia, con le difficoltà spesso create dai datori di lavoro degli studenti e con le durezze di altri insegnanti che faticano a trovare la giusta relazione con questi allievi particolari. Se punto centrale di qualunque apprendimento è la relazione, il rapporto di fiducia che deve scattare tra chi insegna e chi deve imparare, in questo caso diventa l’elemento essenziale, accanto all’empatia, quella indispensabile capacità di mettersi nei panni dell’altro. «L’empatia più immediata è sempre quella che arriva dall’avere condiviso una disgrazia», scrive la voce narrante, a commento di un triste episodio che vede per protagonista Matteo.

In un periodo storico in cui la classe dirigente italiana, di destra come di sinistra, vede essenzialmente la scuola come un luogo che forma futuri lavoratori, è incoraggiante e persino commovente leggere di lavoratori che vanno a scuola per imparare e farsi una cultura, per diventare innanzitutto dei cittadini. E dovrebbe essere da esempio per i tanti insegnanti che passano le giornate a lamentarsi della disciplina o del disinteresse dei propri alunni, vedere con quanta determinazione le insegnanti e gli insegnanti del CTP fanno di tutto per non perdere neanche uno studente, per appassionarlo e dare un senso alla dura fatica del suo andare a scuola. La classe degli altri è un libro di vera resistenza in una società che sempre di più vede gli immigrati come dei nemici, gli insegnanti come dei lavativi e la scuola come una spesa da tagliare o contenere.

Testo ibrido, dicevo prima, la cui lettura è estremamente godibile e anche appassionante grazie alla cura linguistica e allo stile con cui Michela Fregona l’ha scritto, ricco di neologismi che trasferiscono sulla pagina la forza della lingua parlata, una punteggiatura che ritma le corse quotidiane di studenti e insegnanti, ma anche la babele linguistica a cui dare ordine. Libro da far leggere ai politici e ai burocrati che si occupano di scuola, così almeno scoprono di cosa è fatta veramente. Da far leggere a quei genitori che spesso denigrano gli insegnanti, a quei giornalisti che assecondano i luoghi comuni, come quello che vuole gli insegnanti in perenne vacanza, da far leggere agli insegnanti, per trovare spunti e stimoli alla loro pratica quotidiana.

Giovanni Accardo legge “La classe degli altri”
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