di Antonello Saiz

Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo"
Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”

 

 

 

 

 

 

 

Un libro e una canzone per rifiorire.

Zaino 9 giugno
Vedere una libreria animarsi e rifiorire il sabato mattino è salutare. Isabella e Nicola di prima mattina, mentre sanifichi con la varechina, ti portano nuovi amici; Giulia che arriva in bici; Irene e Andrea col piccolo Davide; Paola passa a raccontare i libri letti questa settimana; il Giova’s coi suoi libri della Keller e Mattioli; Andrea con le api ricamate sulla mascherina che ha visto la diretta con Margherita Loy e prende la Dinastia dei dolori; Anna Maria fuori sullo scranno da senatrice legge le poesie di Silvio D’arzo; Tiziana e Giovanni arrivano da Varese finalmente nella loro Libreria; e poi Rocco suona Bella Ciao e Liliana fa la seconda voce con il piccolo nipotino Bartolomeo contento, o canta Via Del Campo solo per Federica.

Ci sono tanti modi di fare Cultura e ci sono tanti posti in cui andare al Sabato mattino. C’è chi fa la fila fuori dai negozi dei vestiti e c’è chi ha scelto la bella umanità di una libreria che fa Cultura dal basso!


Sabato 6 giugno ai Diari, per tutto il giorno, abbiamo ospitato Rocco Rosignoli coi suoi libri di poesia e col disco nuovo, che con la chitarra ha fatto tante suonatine (ovviamente sempre in sicurezza !) in libreria. Un modo per vivacizzare una giornata e prenderci altri pezzi di normalità. Già la normalità a un mese dalla Riapertura della Libreria e usando i libri e le nuove uscite per rifiorire.
Rocco Rosignoli,cantautore, strumentista, arrangiatore, si è distinto in questi anni anche per la sua attività di scrittore e poeta. Porta le sue canzoni in tutta Italia, sui palchi. Si fa interprete del canto sociale e politico, ma anche della grande canzone d’autore. Chitarra, violino, mandolino, bouzouki. Il polistrumentista meraviglia il suo pubblico con le storie che canta e racconta, coi suoni che sa tessere coi suoi strumenti, con le sue canzoni e le sue poesie. Per un sabato ha incontrato i lettori per un firmacopie dei suoi libri Professione confusa e Zeppelin, Il foglio editore, presentati recentemente in libreria.

Professione confusa è una silloge rapsodica, musicale che sorprende e commuove a ogni sua pagina. Alternando ironia, dramma, cinismo e pietas, Rocco Rosignoli inanella forme poetiche libere e ingabbiate come i movimenti di un’unica sinfonia orchestrale: poliritmia, registri stilistici, argomenti e punti di vista si snodano lungo una trama dettata dall’emozione. A Luglio 2019, a dieci anni dalla sua prima edizione, è entrata in stampa la nuova edizione di Zeppelin – Prosimetro anacronistico. Un’edizione riveduta e corretta, con una nota introduttiva del poeta Alberto Manzoli, che dieci anni fa assemblò le poesie costruendo un percorso coerente. Sono stati aggiunti in appendice dei componimenti del 2007-2008, versi e prose poetiche coevi alla stesura di Zeppelin, che all’epoca non erano stati inclusi nell’edizione.
In Zeppelin- Prosimetro anacronistico Rocco Rosignoli fa accenno dichiaratamente a Leonard Cohen come ispiratore e maestro. Leonard Cohen è autore di un libro presente ai Diari, edito da Minimum fax Romanzi -Il gioco preferito – Beautiful Losers nella traduzione di Chiara Vatteroni e Francesca Lamioni.

Il gioco preferito, pubblicato originariamente nel 1963, è un esuberante romanzo di formazione, paragonato dalla critica al Ritratto dell’artista da giovane di Joyce, che narra la giovinezza di Lawrence Breavman, figlio unico di una ricca famiglia ebrea di Montreal e alter ego dell’autore, dalla reazione alla morte del padre al controverso rapporto con la religione e la cultura ebraica; dalle scorribande notturne con l’amico Krantz alle ambizioni letterarie, le avventure sessuali e infine la scoperta dell’amore.
Beautiful Losers, scritto in Grecia nell’estate del 1965, quando Cohen attraversava il tormentato periodo di crisi spirituale che si sarebbe concluso di lì a poco con l’inizio della sua trionfale carriera di cantautore, ruota attorno a tre personaggi – il narratore, la moglie defunta e un amico – coinvolti in un triangolo amoroso e ossessionati dalla figura di una santa pellerossa vissuta nel Canada del Seicento. Più che seguire una trama lineare, si sviluppa come un flusso di coscienza o una serie di illuminazioni, attingendo ai temi che saranno cari al Cohen musicista – la religione, il misticismo, l’eros, la critica alla società contemporanea – e traducendoli in una prosa visionaria e psichedelica che riscosse l’ammirazione, tra gli altri, di Lou Reed.

Sempre edito da Minimum Fax di recente è Lettere scontrose – 52 lettere e una risposta dello scrittore controcorrente, sulfureo e disincantato che è Giovanni Arpino. Il 28 ottobre 1964 debuttava sul Tempo una nuova rubrica con la firma di Giovanni Arpino che inviava «lettere gradite e sgradite, a destinatari diversi, uomini e donne alla ribalta della cronaca». Finalmente raccolte in un libro, queste lettere ci raccontano gli anni Sessanta e, grazie alla penna di un grande autore, sono uno spunto per parlare di tutto ciò che ci rende umani, vivi.

Lettere scontrose è un libro inedito che riaffiora dal cuore degli anni Sessanta come una regalia favolosa. Raccoglie gli articoli di una rubrica che Giovanni Arpino tenne per il settimanale Tempo tra la fine di ottobre del 1964 e il novembre del 1965, mai pubblicata in volume. Sono lettere scomode, irriverenti, a volte accorate, altre profetiche, ma sempre pervase da «un’elementare esigenza di giustizia e un minimo di civile indignazione». A mettere in fila i destinatari si ottiene la nomenclatura scintillante dell’intero decennio, da Moro ai Beatles eppure questo libro ci parla e ci impressiona come se fosse indirizzato ai lettori del futuro per la destrezza e la precisione dello stile, la vocazione assoluta del miniaturista, la radiografia spietata della nazione afflitta in eterno dagli stessi mali. Per uno scrittore di razza come lui, le contingenze sono qui soltanto un pretesto per esaminare l’animo umano, inchinarsi al talento degli irregolari come Totò (il solo che gli rispose) e contestare il potere, che si tratti di sdegnarsi con il presidente della Corte d’Assise di Francoforte per la mitezza delle pene comminate ai responsabili di Auschwitz o di suggerire alla Loren di pagare le tasse, o di ragionare dell’amore per l’America, e della natura dell’amore in genere, con Jacqueline Kennedy. Perché Arpino discorre sempre in difesa di ciò che resta umano a dispetto di tutto, crede nella Storia come attualità e ci ricorda che scrivere è un lavoro da dannati. Le «lettere scontrose» sono i suoi scritti corsari, il testamento perduto di una generazione.

Arpino merita di figurare tra i classici del XX secolo. Sebbene abbia al suo attivo sedici romanzi e quasi duecento racconti, i suoi libri per anni non sono stati più ristampati e risultavano introvabili se non in qualche bancarella dell’usato, eppure parliamo di un autore in grado di vendere centotrentamila copie nel solo anno di uscita de La suora giovane. Per fortuna una casa editrice attenta, come Minimum fax, che pubblica la migliore collana sul mercato italiano, denominata minimum classic, di alcuni eccezionali capolavori della letteratura statunitense da molti anni fuori mercato in Italia, da un paio di anni ha deciso di ripubblicare Giovanni Arpino. Ha iniziato ripubblicando Sei stato felice, Giovanni l’esordio in narrativa di Giovanni Arpino.

Leggere l’esordio di un classico è come assistere a un fenomeno naturale. In fondo, scrisse Calvino per tutti, il primo libro è il solo che conta, e forse bisognerebbe scrivere quello e basta. Sei stato felice, Giovanni è il grande strappo che Arpino diede alla sua vita. Aveva ventitré anni e alloggiava in una pensioncina di Genova, lurida e malfamata. Ci mise venti giorni. Venti giorni per inventare una voce. E un paesaggio. Per dire addio agli amici, alla giovinezza, agli amori impossibili, alle tante allegrie e disperazioni di ogni età precaria. Per gettarsi alle spalle gli Hemingway e gli Steinbeck, Vittorini e Pavese, il cinema francese e il lungo intervallo della guerra. Il primo libro di Arpino è un libro di congedi. Una storia da ultima sbronza, in attesa dell’età adulta e del porco avvenire. L’avventura di chi portava la solitudine come un berretto e si sentiva un proiettile disperso, un reduce, anche se non ricordava più da cosa. Il suo protagonista sa che deve muoversi, cercare un lavoro. Ma intanto si ubriaca, litiga, si innamora, contrae debiti e sfortune. È pigro, crudele e prodigo. Non può che abitare un porto, averne l’odore, appartenere a un’umanità di marinai, di prostitute, di vagabondi. Un porto che si chiama Genova, con quell’aria svelta e sottile di mare, ma che potrebbe essere Buenos Aires o essere qualsiasi altro posto. Perché Sei stato felice, Giovanni è un libro che parla con parole vere, prepotenti e insostituibili.

Nato a Pola nel 1927 e morto a Torino nel 1987 a sessant’anni abbattuto dal cancro e dalle centinaia di sigarette al giorno fumate, Giovanni Arpino è il magnifico raccontatore di storie inventate e straordinario osservatore di fatti e romanziere che vinse lo Strega e il Campiello, e il giornalista che convinse Montanelli e il Giornale perché era un commentatore di fatti a 360 gradi. Uno scrittore prestato alla carta stampata. Fu scrittore di romanzi, racconti, poesie, opere teatrali, libri per ragazzi, epigrammi. Importante anche il suo contributo al cinema: Divorzio all’italiana di Pietro Germi è tratto liberamente dal suo Delitto d’onore; per Renzo e Luciana, l’episodio di Boccaccio ’70 diretto da Mario Monicelli è tratto da L’avventura di due sposi, Arpino collabora direttamente alla sceneggiatura; poi il successo come “ispiratore di storie per il cinema” con Il buio e il miele, dal quale Dino Risi prende spunto per Profumo di donna.
Uno scrittore impossibile da incasellare, fuori da ogni corrente scuola o chiesa, e dunque difficilmente “giudicabile”. Vittorini ritenne il suo primo romanzo, Sei stato felice, Giovanni (1952), superiore a I ventitré giorni della città di Alba di Fenoglio.

Nel 1971 riceve il Premio Andersen per la fiaba Zio computer. La fiaba, il racconto per bambini, il fantastico, furono il suo orizzonte dopo i primi successi. Arrivò a dichiarare che: “La fiaba è il massimo genere per antonomasia”. Di una collana per ragazzi sarà curatore per Rizzoli, ma di fiabe e racconti per ragazzi è ricco il suo curriculum. Con Randagio è l’eroe vince il Premio Campiello del 1972.

Randagio è l’eroe è un romanzo breve e primo capitolo di una trilogia del fantastico , che continua con Domingo il favoloso e si conclude con Il primo quarto di luna (1976). Due i protagonisti, più una “spalla”: Giuan, sua moglie Olona e il loro amico Frank. Tutti e tre appartengono alla schiera di coloro che vivono ai margini, sentendosi diversi, portatori di messaggi differenti rispetto a quelli dipinti o incisi sui muri da apparenti contestatori dell’ordine, nient’altro che incitatori di caos e dicitori del nulla. In una città nuda, dai riflessi metallici, dagli altissimi edifici vertiginosamente lontani dagli angoli deserti e assolati di quartieri privi di vita, Giuan si muove di notte in bicicletta per trasformare in messaggi d’amore le scritte lasciate dai sedicenti ribelli all’ordine costituito. In nome di una sorta di anarchia dell’amore, non della violenza.

Del fantastico, del fiabesco, si riempie anche il suo romanzo Domingo il favoloso, uscito in tredici puntate, tra il dicembre del 1973 e marzo del 1974, sulla Domenica del Corriere con il titolo Correva l’anno felice, impreziosito da originali acquarelli di Italo Cremona, pittore e illustratore con forti tendenze surrealiste. La vita varia e impenitente del protagonista, espedienti quotidiani, viltà e onore, lo riempiono. Un giocatore di carte, come lo stesso Arpino, che sui tavoli ha speso tanto del suo patrimonio. La Torino satanica è la cornice ideale per le avventure di Domingo, moderno picaro, maestro di trucchi e astuzie, autore di truffe grandiose. Un romanzo assolutamente originale da leggere, assolutamente.

Tutto è irregolare in Domingo. Il viso, «costruito su triangoli, sporgenze, ombre scoscese»; il passo sbilenco di volpe; i quarant’anni lunghi e stretti come il suo profilo. Vive di invenzioni, cabale e furberie perfette, è il re dei picari, dei puttanieri e dei bugiardi, un ladro solitario e originale, un artista della truffa. Ha una fidanzata eterna e angelica che possiede un camioncino e vende torroni tra una baracca per il tirassegno e un ottovolante. Domingo è l’ultimo esemplare umano a non adattarsi al mondo: sente l’aria di vetro in cui si muove; la sua pena è la faccia del mondo che si sgretola.Finché, un giorno, una spina lacera «l’involucro ammuffito del suo cuore» e lo porta a giocarsi il destino con un lancio di dadi: rapisce una giovanissima zingara, nata con il cuore spostato da una parte. La ragazza ha la cera azzurrata di una candela che si spegne, le labbra color delle more e un sorriso d’ala di rondine. Tra coltelli, premonizioni e inseguimenti, in una Torino notturna e luciferina che ricorda la Parigi surreale di Boris Vian o la Mosca di Bulgakov, le ore passate con lei gli restituiscono il precipizio della vita e l’avventura di cui non ha perso la smania.Con una lingua irregolare e fantasiosa quanto il suo personaggio, Giovanni Arpino offre il suo omaggio più riuscito al genere fantastico e compone una favola misteriosa come una mappa dei segni incisi su una mano. Domingo il favoloso è una storia di stregonerie e di angeli custodi, che celebra il sopravvivere dell’incantesimo in un mondo disincantato.

Primavera è forse il libro di cui più abbiamo bisogno di leggere tutti in questo momento. Torna con uno dei progetti grafici più belli dell’editoria italiana (Riccardo Falcinelli) questa quadrilogia innovativa, ispirata alle stagioni, e arrivata al terzo capitolo delle stagioni di Ali Smith e pubblicata da edizioni Sur nella traduzione di Federica Aceto.
Ali Smith ci regala un’altra storia di confronto fra diversità, di accoglienza e di speranza. Ali Smith è una delle autrici più amate del catalogo SUR. Dopo L’una e l’altra, Hotel World (Beat), e Voci fuori campo, Autunno ha inaugurato un’ambizioso esperimento letterario: una quadrilogia che indaga sul contemporaneo, seguendo il susseguirsi delle stagioni.

Richard è un regista televisivo ormai anziano; la sua migliore amica, la geniale sceneggiatrice con cui ha lavorato ai suoi film più belli, è morta da poco, e lui è stato ingaggiato per l’adattamento dozzinale di un romanzo di successo; solo e sconfortato, è fuggito da Londra ed è in pieno stallo esistenziale. Brittany è una giovane donna che lavora come agente di sicurezza in un centro di detenzione dove vengono stipati gli immigrati senza documenti in (vana) attesa di rimpatrio; il suo impiego la sta disumanizzando sempre di più: il saluto che fa alle siepi dell’ingresso all’inizio e alla fine di ogni turno sembra il suo unico momento di dolcezza e sollievo. Nella vita di entrambi piomba però Florence, una dodicenne dalle origini misteriose e dall’irresistibile carisma, e l’incontro avrà effetti letteralmente miracolosi – o forse solo profondamente umani.Nel terzo volume della sua tetralogia ispirata alle stagioni (che all’uscita nel Regno Unito è arrivato subito al primo posto nella classifica dei bestseller), Ali Smith ci regala un’altra magistrale storia di confronto fra diversità, di accoglienza e di speranza, che è al tempo stesso una fotografia del presente e una parabola universale. La sua voce, pulsante di amore per la realtà ma anche potentemente fantasiosa e letteraria, è quella di una scrittrice indispensabile per i nostri tempi.

Libro della Domenica ai Diari è stato Il silenzio dell’acciuga di Lorena Spampinato edito da Nutrimenti.

Lorena Spampinato, giovanissima, una laurea in Scienze politiche, editor e ufficio stampa, scrittrice, ha scritto una storia narrata con raffinatezza e passione, eleganza e maestria e che arriva dritta, come un pugno nello stomaco.

Tresa è stata educata dal padre al silenzio e al rigore. In tutto lei deve assomigliare a Gero, il suo fratello gemello: stessi abiti e stessa compostezza. Del suo essere femmina a nessuno sembra importare, fino al giorno in cui suo padre parte per lavoro e lascia lei e Gero da una zia. Da quel momento il rapporto con il fratello si fa turbolento: la zia infatti riconosce in Tresa il suo essere futura donna creando distacco tra le loro immagini e i loro corpi. Gero non sembra accettare questo mondo di femmine e si sottrae con rabbia all’abbandono del padre.
La casa della zia assomiglia a un antico museo e né Tresa né Gero capiscono bene che lavoro faccia, sanno solo che esiste un terreno dove un giorno lei li porta e li fa lavorare durante l’estate. Per Tresa è quasi una liberazione, la scuola infatti è diventata gabbia e supplizio, tutti lì la chiamano Masculina, perché come le acciughe non è aggraziata né adatta alle tavole dei ricchi. Il terreno e la casa saranno per Tresa le scenografie del primo pericoloso innamoramento, della scoperta del corpo, della vergogna e soprattutto dei segreti. Continua infatti a vigere in famiglia una regola solida: non dire. Tresa dovrà nel silenzio costruire sé stessa, capire cosa è il dolore e cosa il confronto, cosa è una donna e cosa la crescita. Con questo romanzo Lorena Spampinato, attraverso una lingua musicale, elegante e una scrittura schietta, racconta, ora a tinte cupe ora brillanti, l’ingresso di una bambina nel temibile mondo degli adulti e dei loro misfatti.

Nella traduzione e cura della nostra Silvia Lumaca trovate ai Come diventare newyorkesi del grande scrittore O. Henry pubblicato da Mattioli 1885. Questa raccolta di racconti pubblicati nel 2020 sono per la maggior parte inediti. Considerato “La risposta americana a Guy de Maupassant” lo scrittore scoperto in Italia da Cesare Pavese è oggi venerato tra i primi maestri delle “short stories”, dei “racconti brevi” che hanno fatto poi la fortuna di tanti scrittori. Fu amato molto e studiato da Vittorini che lo inserì nella celeberrima Americana. O. Henry, pseudonimo di William Sydney Porter (Greensboro, 11 settembre 1862 – New York City, 5 giugno 1910), è stato uno scrittore statunitense. I 400 racconti da lui scritti sono celebri per essere ricchi di spirito e giochi di parole, e per il sapiente uso dei finali a sorpresa. Il periodo più prolifico di Porter come scrittore iniziò nel 1902, quando si trasferì a New York per essere più vicino ai suoi editori. In quella città scrisse 381 racconti, e per oltre un anno ne scrisse uno alla settimana per il New York World Sunday Magazine. Il suo umorismo, la sua caratterizzazione dei personaggi, e le articolazioni delle sue trame furono adorati dai lettori, anche se spesso stroncati dalla critica. In ogni caso iniziò a crearsi una reputazione a livello internazionale, e si ritiene che sia stata la sua opera ad innalzare il racconto a distinta forma d’espressione letteraria. Il 5 giugno 1910 Porter morì per una cirrosi epatica unita alle complicazioni derivanti dal diabete e dalla cardiomegalia.

“Senza un soldo, come un poeta dovrebbe essere, ma con l’ardore di un astronomo che scopre una nuova stella nel coro della Via Lattea, o di un uomo che ha improvvisamente visto dell’inchiostro sgorgare dalla sua penna stilografica, Raggles girovagava nella grande città.” (O. H.)

Altri libri per rifiorire e rinascere in questo periodo sono quelli della scrittrice di origini bulgare, Bianca Bellová, pubblicata in Italia dalla casa editrice Miraggi. Laureata presso l’Università di Economia di Praga, lavora come traduttrice dall’inglese e scrive per diverse riviste, fra cui Salon Práva. Ha coltivato la passione della scrittura fin da bambina, ma ha esordito come autrice nel 2009, con Sentimentální román (Romanzo sentimentale), che le ha conquistato da subito molti lettori in Patria. A questa prima prova hanno fatto seguito Mrtvý muž (L’uomo morto, 2011), tradotto anche in Germania e Celý den se nic nestane (Non capita niente tutto il giorno, 2013). Il suo quarto romanzo, Jezero (Il lago, 2016), un romanzo di formazione, ha conseguito un importante premio in Repubblica Ceca, il Magnesia Litera, mentre un riconoscimento internazionale è giunto nello stesso anno con l’assegnazione del Premio letterario dell’Unione Europea nel 2017. Bellová è autrice, oltre che di romanzi, anche di racconti, alcuni dei quali inclusi in diverse antologie.
Il suo quinto romanzo, Mona, è uscito in Repubblica Ceca nel settembre 2019 e a giugno finalmente, tanto atteso, arriva nelle nostre librerie. Lo trovate ai Diari da questa settimana nella splendida traduzione di Laura Angeloni.

Non sono lunghi i libri di Bianca Bellová, ma ogni volta ti sembra di aver letto un libro di mille pagine, per tutta la vita che hai visto scorrere nel mezzo. È un aspetto che mi ha colpita enormemente da lettrice, e ancora più da traduttrice, perché quando traduci senti il peso di ogni parola sulla pelle.La peculiare, profondissima, forma d’amore tra Mona, infermiera in un ospedale travolto dalla guerra, e Adam, il giovane soldato che arriva dal fronte con una grave ferita alla gamba, fa qui da collante a grandi temi umani e sociali. La violenza con cui la dittatura e le guerre irrompono nella vita della collettività e del singolo, la condizione della donna, l’infanzia rubata dalla crudeltà degli adulti. Ma anche, più semplicemente, i rapporti che sbiadiscono, le distanze che aumentano, l’ado­lescenza, col suo carico di strafottenza e apatia che a volte si porta dietro. Nel buio e nella devastazione della guerra, in un ospedale infestato dalla vegetazione della giungla e dalle urla dei pazienti, Mona e Adam trovano un’ancora di salvezza: la parola.
E sono proprio le parole a diventare protagoniste. Quelle che, incise con una calligrafia segreta sulle pareti terrose di uno scantinato-r­ifugio, salvano Mona bambina dal senso di perdita e solitudine, e quelle che, annotate su un quaderno nascosto sotto il materasso, salvano Mona adolescente dalla desolazione di un collegio-prigione. E infine quelle raccontate al capezzale di Adam, che salvano Mona adulta dalla resa e dall’apatia, restituendole la consapevolezza della donna che è. Con il racconto che ripercorre la storia delle loro vite, i protagonisti si prendono cura di loro stessi e dell’altro. Parole salvifiche. Quelle che Bianca sa scolpire con tanta precisione e premura. Tradurre Bianca Bellová, ormai lo so, è come farsi prendere per mano, con fiducia. Perché lei non si perde mai, va avanti a intagliare fino a condurti alla fine della sua storia. E alla fine, ormai so anche questo, troverò sempre uno spiraglio di luce.

Nami è il protagonista del romanzo “Il Lago” di Bianca Bellová. Lo seguiamo dai suoi 3 fino ai 17 anni, crescere, resistere in un ambiente inospitale, uomini compresi. Diventa grande, ce la fa da solo, e trova qualcosa di più importante di una via di fuga, della sopravvivenza. Un romanzo che è “Una storia vecchia come l’umanità stessa”, la storia di un ragazzino che diventa uomo in un ambiente naturale e umano ostile.

Lo seguiamo correre, fuggire, desiderare, avere paura, sperare, emozionarsi, spaccarsi schiena e cuore. Resiste, da solo, sulla riva inquinata del lago che si secca e muore, al deserto, alla brutalità, alla non speranza. Nami è un eroe, e la sua impresa è restare umano. Nami, un ragazzino che non ha più nulla, e nessuno, compie il suo viaggio solitario, brutale, quasi animale, sulle sponde di un grande lago che si prosciuga catastroficamente, dove le persone sono esse stesse resti di se stesse, malate e perse.
Un romanzo duro e ruvido: un ragazzo diventa uomo in un corpo a corpo con un ambiente apocalittico e allucinato.
Parte perché deve cercare, e torna a casa per poter trovare.
Perché la vita alla fine del mondo può finire subito dopo che sia incominciata, ma non è detto.
«Il lago è un romanzo di ferite e cicatrizzazioni, perdite e riscatti, brutalità e tenerezza.
La storia del cammino attraverso cui, nelle varie fasi di crescita e consapevolezza, il bambino Nami diventa uomo.» (Laura Angeloni)

Chiudo lo Zaino questa settimana condividendo il pensiero e la riflessione di un altro libraio, Arturo Balostro, che lavora in una libreria di catena:

“A poco più di un mese dalla riapertura delle librerie, nasce in me il forte bisogno di condividere una riflessione. Nell’era preCovid ho assistito spesso, ahimé, alla chiusura definitiva di librerie. E al conseguente coro di lamentele e abbracci virtuali di lettori colpiti da tanta brutalità. Durante il lockdown molti si sono spesi a favore della riapertura anticipata delle librerie elencando una serie di ragioni: alcuni erano d’accordo, altri no, ma non è questo il punto.
Il punto: le librerie vantano fortunatamente molti clienti, lettori più o meno forti, che le sostengono. Bene. È a loro che mi rivolgo, facendo notare che a breve, quando ritroveremo un barlume di normalità, molte attività commerciali (laddove ovviamente non lo avessero già fatto) tireranno una riga e faranno i conti. E, come potrete immaginare, il colore dominante sarà il rosso. Chiedo quindi sommessamente a chi ama le librerie di sostenerle ora, di frequentarle e di comprare libri in libreria. Fatelo, portate i vostri sorrisi e la vostra solidarietà nelle librerie fisiche, luoghi in cui, oltre ai sorrisi, potrete trovare librai competenti e appassionati. Agite ora, questo è il momento.
Perché il fiume di lacrime quando sarà troppo tardi non servirà a nessuno. Perché l’alzata di scudi a favore di una libreria che chiude, le prese di posizione tardive, le raccolte di firme online non serviranno a nulla: vi regaleranno solo molti “mi piace” e molti cuoricini su Facebook.”

Nello Zaino di Antonello: Un libro e una canzone per rifiorire