di Antonello Saiz

Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo"
Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”

 

 

 

 

 

 

 

Maggio dei libri

Zaino 2 giugno

Un maggio insolito, strano per i libri e le librerie. Sembra, apparentemente, che si vadano a riconquistare piccoli spazi di normalità ovunque. E i libri? E la lettura? E tutta quella priorità e importanza che veniva data ai libri durante le settimane della grande emergenza sanitaria? Sembrano lontani anni luce quei giorni e, come volevasi dimostrare, tutto è rientrato nell’ordinaria amministrazione: dei libri e delle librerie non se ne parla più e gli inviti a frequentare le farmacie dell’anima scemati di colpo. I famosi forni da assaltare per accaparrarsi il pane dell’anima sono solo una bella e lontana illusione. Per chi è in trincea, invece, e sempre sulla frontiera come noi, i problemi restano tanti ma pure la voglia di esserci e resistere, anche a dispetto di quegli editori che scrivono per chiedere e reclamare un rendiconto al più presto “considerato il clima di normalità che stiamo vivendo…”.
Noi continuiamo con caparbietà a escogitare alternative alla sopravvivenza e a cercare di tamponare l’eterna emergenza senza fare troppi i lamentosi, nel tempo in cui la priorità è lo spritz con gli amici all’ora dell’aperitivo!
Ci siamo inventati a questo giro #AmazonSaiz Autografato dall’autore: scrivendoci è possibile far arrivare a casa dei lettori in tutta Italia “Il nome della madre”, l’ultimo romanzo di Roberto Camurri, edito da NN Editore, con tanto di dedica personalizzata, dal momento che l’autore è residente a Parma.

Il nuovo romanzo di Roberto Camurri è già stato venduto in Olanda e uscirà a fine anno per De Bezige Bij, che ha già pubblicato anche il suo precedente “A Misura d’Uomo”, sempre con la traduzione di Manon Smits. Roberto è stato con noi tutto il giorno di sabato 30 maggio a fare il libraio per un giorno. Con ingressi contingentati e nel numero di due alla volta ha autografato il nuovo libro, ma ha anche consigliato letture.

Roberto Camurri è nato nel 1982, undici giorni dopo la finale dei Mondiali a Madrid. Vive a Parma ma è di Fabbrico, un paese triste e magnifico di cui è innamorato forse perché è riuscito a scappare. È sposato con Francesca e hanno una figlia. Lavora con i matti e crede ci sia un motivo, ma non vuole sapere quale. Scrive da pochi anni, anche se avrebbe voluto scrivere da sempre. “A misura d’uomo” è stato il suo primo romanzo. Si torna a Fabbrico con il nuovo libro NN editore. Questa volta ad aspettarci troviamo Ettore e suo figlio, Pietro, che in ogni espressione del viso assomiglia a sua madre. Su entrambi, per tutta la vita, il peso incolmabile di un vuoto: la necessità di fare i conti con un’assenza che definisce il passato dell’uno e il futuro dell’altro.

Questo libro è per chi batte le mani per vedere le piume verdi di un fagiano che si alza in volo, per chi si lascia cullare da una Canzone quasi d’amore, per chi non teme lo sguardo penetrante della strega di Fabbrico, e per chi ha creduto di desiderare un futuro incerto, ma poi è rimasto a contemplare l’orizzonte di nuvola che segna il con ne della sua pianura.
Da quando sua moglie se n’è andata senza spiegazioni, Ettore vive da solo con il figlio piccolo a Fabbrico, nel cuore della pianura padana. L’assenza della moglie popola la mente di Ettore, che oscilla tra i teneri ricordi di lei, donna imperscrutabile e feroce, e gli sforzi furiosi di dimenticarla, di non vederla in ogni espressione del figlio, Pietro, che le assomiglia così tanto. Anni dopo sarà Pietro a ereditare questo vuoto, in perenne conflitto con il padre, con Fabbrico e i suoi campi vasti e opprimenti. Pietro vuole amare Miriam, la ragazza che lo fa sentire al sicuro, ma quella sicurezza lo spaventa, lasciandolo solo di fronte alle sue emozioni. E cresce nella speranza di trovare una traccia, un ricordo, un indizio per provare a capire la donna che li ha abbandonati e di cui lui non ha memoria, per poter immaginare un futuro, il suo, che continuamente gli sfugge. Dopo le storie di amicizia di “A misura d’uomo”, Roberto Camurri torna con un romanzo intimo e familiare, e con voce sincera e appassionata ci parla di sentimenti espressi a fatica, spesso condivisi in silenzio, che palpitano sotto la pelle dei personaggi guidandoli alla ricerca del loro posto nel mondo.

Nel maggio dei libri partiamo da quella immensa scrittrice che è Mercè Rodoreda, arrivata ai Diari con “La morte e la primavera” nella traduzione di Amaranta Sbardella per La Nuova Frontiera.
Mercè Rodoreda è stata la più grande scrittrice catalana, e “La morte e la primavera” è stata l’opera di una vita, certamente quella che lei reputava la migliore: scritta, rivista e perfezionata a più riprese per vent’anni, mentre uscivano racconti, romanzi e drammi teatrali, e da lei considerata conclusa nel 1961, è stata pubblicata solo dopo la morte.
Ambientato in un paese senza nome il «miglior libro» della più nota scrittrice catalana. Un ragazzino racconta dello strano luogo in cui vive e dei suoi inquietanti abitanti in una fiaba crudele e visionaria. Storia di due amori in un paese fantastico e agreste, che ricorda vagamente un’ambientazione da saga medievale. Con due protagonisti: un giovane il cui padre si è ucciso e che ama la matrigna da cui ha avuto una figlia, ragazza odiata nel paese perché frutto di un legame irregolare; e il figlio del fabbro del villaggio, vissuto nel torpore di una protezione familiare ossessiva e ansiosa, che un giorno si sveglia anche lui alla «primavera», cioè all’amore.

In un paese senza nome retto da leggi crudeli – uomini costretti a dimostrare il proprio coraggio nuotando nel fiume che scorre sotto il paese, persone seppellite negli alberi – un adolescente si ritrova all’improvviso orfano. Solo, dovrà imparare a destreggiarsi e a proteggersi dalla diffidenza dei suoi concittadini in un mondo claustrofobico che non comprende e non accetta. Finché un giorno anche in lui, come nelle montagne incontaminate che circondano il paese, non si risveglierà la “primavera”, ovvero l’amore.
Interpretato spesso come un’allegoria della vita in un regime totalitario, La morte e la primavera è un romanzo affascinante e inquietante sul potere, l’esilio e la speranza che in una società conformista germoglia anche dal più piccolo gesto d’indipendenza.

Altro libro di Mercè Rodoreda che si distingue per la scrittura nitida e alta nella sua semplicità è “Quanta, quanta guerra”, sempre edito da La Nuova Frontiera.

Una guerra senza nome fa da sfondo al peregrinare di un ragazzo di quindici anni, Adrià Guinart, che scappa di casa spinto dal desiderio di vedere il mondo e dalla sete di libertà. La guerra e le azioni militari sono solo accennate, ma sempre presenti nei volti e nelle storie degli uomini e delle donne che il ragazzo incontra lungo la strada, e nel paesaggio onirico e fiabesco che lo circonda. Adrià parte bambino e affronta il buio dei boschi, la fame, le sue paure più nascoste; entra in contatto con un’umanità dolente ma non rassegnata; si innamora di Eva, ragazza sfuggevole e bellissima, e nel suo girovagare per un territorio popolato di castelli e melagrane, streghe e principesse, raccoglie e custodisce la testimonianza delle vite degli altri. Così diventa uomo, la sua iniziazione si compie, dopo aver perduto e ritrovato il cammino in un mondo allo sbando, talmente assurdo da confondersi con i suoi sogni e i suoi incubi.

Dopo “Il bacio della donna ragno”, “Una frase, un rigo appena” e “The Buenos Aires Affair” torna in libreria Manuel Puig con “Il Tradimento di Rita Hayworth” nella traduzione di Angelo Morino per Edizioni Sur. Opera prima del grande autore argentino, tradotta in oltre trenta paesi, che gli diede improvvisa fama letteraria. Ironico e autobiografico, il suo debutto letterario è un romanzo di formazione atipico, che contiene già tutti i temi che caratterizzeranno la sua opera.
Citato come fonte di ispirazione da alcuni dei più grandi scrittori contemporanei (tra questi David Foster Wallace), fin dal suo esordio Puig ha reinventato il romanzo pescando a piene mani dalla cultura popolare e alternando forme narrative diverse: dialoghi, lettere, flussi di coscienza, radiodrammi, telenovelas. Opera unica e originale, proprio come il suo autore, “Il tradimento di Rita Hayworth” è un libro da consigliare a tutti gli appassionati di cinema e letteratura, in particolare a chi ama il cinema di Almodovar e tutto quello che è pop. L’indimenticabile Toto «che si crede in un film», nel chiacchiericcio del suo piccolo mondo e nel periodo decisivo della sua formazione, con un padre assente odiato e amato insieme, le rigide separazioni del sessismo, la chiacchiera quotidiana nel suo ambiente della provincia argentina. Nelle sue trasfigurazioni della realtà, che sono sempre la difesa e il dramma di una identità minacciata, ogni episodio, per farselo sembrare autentico, diventa la scena di un film preso dalla sua sterminata filmografia di spettatore accanito.

Provincia argentina, anni Quaranta. Toto è un ragazzino alla ricerca di sé e in perenne conflitto con il padre: non ha molti amici, ha paura anche della sua ombra e passa le giornate a nascondersi dietro le sottane delle domestiche e a colorare figurine che ritraggono attrici e femme fatale come Rita Hayworth. Grande appassionato di cinema, per sfuggire alla monotonia del paesino in cui vive – dove la campagna si estende per chilometri e chilometri e sembra non avere mai fine –, si aggrappa allo scintillante immaginario hollywoodiano, e reinventa continuamente la realtà ispirandosi agli attori che vede sul grande schermo. La provincia non è pronta per persone come lui – gli ripete in continuazione la madre, perdonandogli bugie e stranezze sempre più assurde –, ma durante le due ore della proiezione può essere chiunque voglia e avere finalmente diritto al lieto fine che tanto desidera. Il tradimento di Rita Hayworth è il primo e il più autobiografico dei romanzi di Manuel Puig. Un libro che fin dalla pubblicazione, nel 1968, ha segnato l’inizio di una nuova tappa nella letteratura latinoamericana: raccontare la vita di tutti i giorni infrangendo ogni regola di stile senza mai rinunciare a essere veramente sé stessi.

Ai Diari si trova anche “Una frase un rigo appena” sempre edito da Sur, pubblicato per la prima volta nel 1969 e riproposto nella traduzione di un grande ispanista come Angelo Morino.

Juan Carlos Etchepare è un uomo bellissimo. Intorno a questo dongiovanni di provincia, da tempo marchiato dalla tisi, si intrecciano le vicende di un universo femminile che frequenta i cinema, ascolta gli sceneggiati radiofonici e le canzonette alla moda nel tentativo di trovare quella stessa musica nella vita reale.C’è Nené, la fidanzata tradita; Mabel, l’amante ricca e libertina; la vedova Di Carlo – pronta a rompere ogni convenzione sociale pur di stare accanto all’uomo che desidera; e Celina, la sorella di Juan Carlos, ormai considerata da tutti una zitella facile. Una frase, un rigo appena è una rivisitazione letteraria del classico feuilleton; un romanzo in cui Manuel Puig fa quello che sa fare meglio: registrare frammenti di vita che tendono a passare inosservati – conversazioni private, album fotografici, verbali di polizia, lettere e diari –, raccontando la provincia argentina degli anni Trenta, con le sue ipocrisie e le sue contraddizioni, e regalandoci al tempo stesso una storia dal sapore universale.

“Storia di un boxeur latino” di Gianni Minà scritta con la complicità di Fabio Stassi è stato pubblicato da Minimum fax nel giorno del compleanno del giornalista. Il titolo del libro è suggerito da Paolo Conte, mentre in copertina troviamo uno splendido ritratto del 1975 del pittore messicano David Alfaro Siqueiros. Autobiografia scanzonata e non solo che ci catapulta nei meravigliosi anni di un impavido e curioso viaggiatore. Massimo Troisi invidiava l’agendina telefonica di Gianni Minà. Molti di quei nomi e cognomi sono i protagonisti di questa intensa e romantica autobiografia del giornalista torinese. Dallo sport alla musica, dalla cultura al pugilato, dal cinema alla letteratura, dalla politica alle notti romane: una storia che attraversa decenni di incontri e racconti. Gianni Mina è un grandissimo giornalista, fra i più grandi del Paese. Ha sempre scelto da che parte stare e questo lo ha pagato con un durissimo e perdurante ostracismo dalla Rai. Ha incontrato, intervistato, spesso diventandone amico, i Grandi della storia. Siano stati uomini di sport o uomini politici. La sua mitica agendina è piena zeppa di contatti incredibili. Ci potete trovare tutta la seconda metà del ventesimo secolo e questo inizio di ventunesimo.

La vita è una milonga, bisogna saperla ballare. In questi due versi di un tango argentino si potrebbe riassumere l’umana vicenda di Gianni Minà. Perché forse non c’è stata, nella storia del giornalismo italiano, vita più smisurata e temeraria della sua, e nessuno che l’abbia saputa ballare con maggiore esuberanza, empatia e curiosità. Per la prima volta Minà ce la racconta in prima persona, con tutti i suoi stupori, le sue risate, le sue amarezze. Come un capitano in esilio che ha magicamente conservato il sorriso leale e disarmante di un funambolo.Sfila in queste pagine l’abbecedario di una generazione e di un secolo: Muhammad Ali, Jorge Amado, i Beatles, Fidel Castro, Adriano Celentano, Robert De Niro, Gabriel García Márquez, Dizzy Gillespie, Sergio Leone, Diego Armando Maradona, Rigoberta Menchú, Pietro Mennea, Mina, Gianni Morandi, David Alfaro Siqueiros, Tommie Smith, Massimo Troisi, Emil Zátopek. Di nome in nome prendono forma di romanzo le avventure di un ragazzo partito da un quartiere di Torino, in calzoncini corti, da una famiglia di origine siciliana, da un maestro in sedia a rotelle.Storia di un boxeur latino non è un’autobiografia. È una dichiarazione d’amore alla vita, alla musica, allo sport e agli ideali d’altri tempi. È la storia di quando ci si batteva contro le ingiustizie perché l’ingiustizia contro cui battersi, in ogni tempo e luogo, è sempre la stessa. La storia di quando si poteva giocarsela finché si aveva fiato. E i desideri, quelli veri, erano il tema della vita.

“La pallottola in cerca dell’eroe” conclude l’affresco magico e fantastico che lo scrittore Andrei Kurkov dedica alla storia sovietica. Kurkov è autore di numerosi romanzi e volumi per bambini tradotti in decine di lingue. Per i tipi della Keller editore ha pubblicato un importante reportage sull’Ucraina, “Diari ucraini”, e i romanzi “Picnic sul ghiaccio”, “Il vero controllore del popolo”, “L’indomito pappagallo”, “La pallottola in cerca dell’eroe”. Altri suoi romanzi sono in via di traduzione sempre per Keller editore. È una corsa contro il tempo, quella che contrappone un angelo a un proiettile di pistola. Entrambi stanno cercando l’uomo giusto, il vero eroe. Il primo per portarlo in paradiso – dove non arrivano più russi dai tempi della Rivoluzione d’Ottobre – e il secondo per ucciderlo. La copertina è di Roberto Abbiati che ha ideato e disegnato anche i precedenti volumi della trilogia di Andrei, “Geografia di uno sparo solitario”. La traduzione dal russo come sempre è affidata a Rosa Mauro.

Il nostro eroe, il compagno più onesto dell’Unione Sovietica, si chiama Pavel Aleksandrovic Dobrynin. La comunità del suo villaggio lo ha premiato e spedito a Mosca – anche per allontanarlo e continuare a trafficare indisturbata.
Dalla capitale del paradiso socialista il giusto Dobrynin viene poi inviato sulle montagne degli Urali a supervisionare la produzione di una fabbrica segretissima…
Nel frattempo al Cremlino l’ex preside Vasilij Vasil’evic Banov si occupa della corrispondenza di Lenin e a Jalta, un colto pappagallo incontra lo scrittore e poeta Sapluchov…
Con la solita ironia e visionarietà, con arguzia e intelligenza Andrei Kurkov ci porta nel cuore dell’anima e della storia sovietica dalle origini ai giorni nostri.
Un romanzo scoppiettante e pieno di colpi di scena che conclude il grande affresco letterario di «Geografia di uno sparo solitario» composto da Il vero controllore del popolo, L’indomito pappagallo e La pallottola in cerca dell’eroe.
A oltre un secolo dalla Rivoluzione d’ottobre, il modo più divertente e originale per scoprire luci e ombre di quello che fu il secolo sovietico.

Secondo capitolo della Trilogia è “L’INDOMITO PAPPAGALLO”

Pavel Dobrynin è una persona comune, molto modesta, che d’improvviso si ritrova a essere eletto Controllore del popolo a vita e a doversi occupare dell’intera Unione Sovietica.
Il compito di supervisionare la lavorazione delle pelli lo porta in Siberia dove però si imbatte in una spedizione geologica con la quale resta bloccato in un’area deserta e isolata. Il controllore Dobrynin riesce a ritornare alla civiltà solo grazie al completamento di un ramo secondario della Transiberiana. Ma la promessa di una ritrovata normalità va a infrangersi contro le armate del Terzo Reich che in quel momento stanno invadendo il Paese… Dopo il tanto elogiato Il vero controllore del popolo, Kurkov continua a regalarci un variopinto affresco di miti, credenze, fatti fondanti e assurdità quotidiane della sua incredibile terra sovietica.Un romanzo avventuroso, toccante, estasiante… un passo in avanti nel sequel che compone Geografia di uno sparo solitario e nella comprensione dell’anima russa.

Capitolo 1 della Trilogia di Andrei Kurkov è stato “IL VERO CONTROLLORE DEL POPOLO”

Possibile che su tutta la Terra non ci sia nemmeno un uomo che una volta morto vada in Paradiso? Un angelo stenta a crederlo e decide di controllare di persona: di nascosto scappa dal Regno dei cieli e discende su un prato. Subito un disertore in fuga lo vede e lo convince a scambiare la tunica bianca con la propria divisa senza mostrine… nel frattempo, Pavel Aleksandrovi? Dobrynin, un uomo particolarmente onesto, viene mandato dall’assemblea del suo kolchoz, passando per il Segretario provinciale e per la Regione, al Cremlino. Lì gli verrà affidata una missione importantissima: essere un controllore del popolo! Cosa questo significhi Pavel lo scoprirà da sé nel profondissimo Nord. Poi c’è il dirigente scolastico Banov, a cui piace sognare e bere il tè sul tetto, come in battaglia, nel ’19, con la sua Maxim, sul campanile…
Andrei Kurkov ci porta fin dentro l’anima più autentica dell’Unione Sovietica e del romanzo russo con un lavoro dalla struttura possente, pieno di humour e intelligenza, ricco di personaggi, di storie e di paesaggi sterminati, in cui si sciolgono i grandi temi del bene e del male, dell’amore per la Patria e del bisogno di sentirsi uomini. Leggendo le pagine di quello che è il primo di un sequel di tre romanzi non si può non pensare a Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov. Tradotto in moltissimi Paesi Andrei Kurkov è una delle voci più originali e importanti della letteratura contemporanea in lingua russa.

Andrei Kurkov è autore anche di “Picnic sul ghiaccio”.

Pubblicato in 31 lingue, il romanzo “Picnic sul ghiaccio” non è solo un grande successo internazionale, ma – nel solco di maestri come Gogol’ e Bulgakov – ha svelato la grande ironia e visionarietà di un autore come Andrei Kurkov capace di raccontare l’esplosione dell’Unione sovietica con uno splendido thriller tragicomico.

Kiev. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica.Viktor già da un po’ ha perso la sua ultima fidanzata e non sa come guadagnarsi da vivere. È uno scrittore senza editore con nient’altro che un certo talento per la lingua e un cassetto pieno di manoscritti incompiuti.Al suo fianco c’è solo Miša, un pinguino preso allo zoo cittadino, rimasto senza fondi, che però è un’altra bocca da sfamare. E in più adesso a Kiev – in mano alla mafia e ai nuovi ricchi – conta solo il denaro e il fiuto per gli affari.Un bel giorno, però, Viktor riceve la proposta che gli può cambiare la vita: un lavoro ben pagato presso un grande giornale per scrivere “coccodrilli”, ossia necrologi su personaggi famosi non ancora deceduti.
Non è il massimo, certo, ma si tratta pur sempre di scrivere e soprattutto di portare finalmente a casa uno stipendio.
Quando però comincia con i primi “coccodrilli” si accorge che, uno dopo l’altro, i personaggi di cui si occupa muoiono in circostanze misteriose e ben presto è lui a ritrovarsi immischiato in un pericoloso complotto tra criminali, servizi di sicurezza e…Un thriller fantasmagorico ambientato durante l’esplosione dell’Unione Sovietica e nel solco della grande tradizione letteraria russa.

“Quando tutto è detto” di Anne Griffin, bestseller tradotto in sedici lingue e vincitore del Newcomer of the Irish Book Awards 2019, è disponibile in tutte le librerie fiduciarie di Atlantide come i Diari di Parma a partire dal 20 maggio grazie alla traduzione di Bianca Rita Cataldi.

Un tardo pomeriggio al bar del Rainsford House Hotel, nella contea di Meath, in Irlanda: un uomo anziano, solo e benvestito, siede al bancone chiedendo una bottiglia di stout. Maurice Hannigan, questo è il suo nome, burbero e simpatico proprietario di molte delle terre lì intorno, da sempre porta con sé un segreto: un segreto che riguarda la sua adolescenza, e che coinvolge non solo lui e la propria famiglia, ma l’albergo stesso e chi vi ha abitato per generazioni, ben prima che divenisse l’hotel di lusso che è ora. E mentre la sera scende e il bar inizia ad affollarsi, Maurice comincia a mettere in atto il proprio piano e a dare il via al primo dei cinque brindisi che ha progettato: uno ciascuno, ognuno con un liquore differente, alle cinque persone più importanti della sua vita. Perché questa non è una serata qualunque, ma la notte in cui Maurice Hannigan ha deciso di raccontare tutto. Lirico, coinvolgente, commovente e inaspettato.

“Tenera è l’acqua” di Sebastiano Nata è l’altro libro edito da Atlantide e disponibile in libreria in questo maggio dei libri.

In una Roma intima, attraversata dalla crisi e dai rivolgimenti epocali che sconvolgono il mondo, tre personaggi, due uomini e una donna, sono stretti in un rapporto di amicizia e amore. Condividono la medesima, scanzonata, passione per il nuoto ma hanno ferite profonde, dubbi sulla propria vita, si scoprono spaesati, a tratti perduti. Ognuno, a suo modo, pensa di aver fallito.
Giacomo, Paola e Mattia non capiscono quello che succede a loro stessi e agli altri, l’indifferenza e l’ingiustizia che vedono ovunque attorno, hanno paura e sono quasi pronti ad arrendersi.
Invece, malgrado perdite e tradimenti, si accorgono che, come per le gare in acqua nelle quali si cimentano nonostante l’età, quello che conta è resistere qualche metro in più, qualche attimo, continuando a credere che sia ancora possibile toccare il traguardo: volersi bene davvero.
A distanza di oltre vent’anni dalla pubblicazione de Il dipendente (“uno dei più importanti libri degli anni Novanta”, come è stato definito), Nata torna sui temi della solitudine, della libertà e del coraggio con un romanzo di grande potenza che svela, rispetto a quel memorabile esordio, prospettive capovolte e oggi tanto più necessarie. L’universo economico non è cambiato, resta la medesima macchina infernale, dove i soldi comandano e la dignità degli individui viene calpestata, ma di fronte a questo abisso si può lottare, insieme, per non cadere giù.

Chiudiamo la rassegna dei libri di maggio con quello che è stato il libro della Domenica ai Diari di Parma: il nuovo romanzo di Alberto Frappa Raunceroy, “La lanterna nera”, edito da Arkadia Editore. Il Seicento, permeato dai primi vagiti della scienza e del metodo sperimentale, ma anche dalla diffidenza e i sospetti di pratiche occulte che non risparmiarono le menti più acute del tempo, fa da sfondo al narrazione.Ma che cosa sarebbe accaduto se a tali approcci si fosse arrischiata una giovane donna?

Praga, agli inizi del XVII secolo, era la capitale dell’impero governato da Rodolfo II d’Asburgo, sovrano visionario, anarchico, amante delle arti, delle scienze e dell’alchimia. Presso lo Hradschin convergevano scienziati come Tycho Brahe e lo stesso Keplero, artisti come Giovanni Arcimboldo, occultisti come John Dee ma anche ciarlatani, truffatori e lestofanti provenienti da tutta Europa. Proprio in quegli anni si tenne a Praga pubblica dimostrazione delle potenzialità della lanterna nera, il dispositivo, antenato del cinema moderno, proiettava immagini che atterrirono gli spettatori dando origine a un’esplosione di paura e confusione che portò allo scoppio di un incendio. Da questo episodio trae spunto la storia di Elke che studia i fenomeni ottici utilizzando rifiuti, cocci di vetro e specchi e che, scambiata per una strega, finisce per attirare le morbose attenzioni del sovrano, il quale incarica il matematico imperiale Giovanni Keplero di investigare. Da un iniziale incontro intriso di diffidenza e ostilità nascerà lo spunto per il primo trattato di ottica della storia, che lo scienziato riconoscerà come proprio solo dopo aver affrontato una drammatica serie di imprevisti, compreso l’arresto di sua madre, accusata di stregoneria e pratica di arti magiche. Un romanzo affascinante, che conduce il lettore nel pieno del Seicento, facendogli conoscere da vicino una storia poco nota.

Nello Zaino di Antonello: Maggio dei libri