di Antonello Saiz

Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo"
Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”

 

 

 

 

 

 

 

Sogni di carta tra l’odore di disinfettante

Zaino 26 maggio
Le librerie indipendenti, che hanno resistito a questa burrasca economica dell’emergenza sanitaria, lentamente, adesso, cominciano a muovere i primi passi incerti verso qualcosa di nuovo. Dopo aver resistito per anni ai tentativi di essere spazzati via dalle grandi catene, con l’arrivo del Coronavirus hanno dovuto subire un altro cataclisma e, alla fine, rifarsi il volto e inventarsi nuove cose per salvaguardarsi e sopravvivere.

Le librerie resteranno dei luoghi non assimilabili a supermercati e i libri saranno sempre quegli oggetti che curano sì l’anima ma per poter curare ci sarà sempre bisogno di avere tempo da condividere e non da regolamentare. Per ora, noi ci siamo inventati questo giochino del Libraio per un giorno al sabato che pare funzionare e tra l’odore di carta e quello di disinfettante cerchiamo di mantenere il distanziamento sociale ma favorire ugualmente l’incontro e il confronto e lo scambio tra autori, lettori e librai.

Sabato 23 maggio. Libraio per un giorno ai Diari è stato Fabio Pasini, autore del libro dal titolo “Andare” edito da Geoantropo. Da sempre frequentatore di montagne e fiumi, ha trovato nell’ambiente naturale la propria voglia di vivere, spaziando dal campo del reportage a quello dell’arte. Sciatore e canoista, dopo una parentesi “giovanile” agonistica, si è dedicato alle spedizioni in luoghi remoti, sempre con uno o due amici, o anche da solo, ed in completa autonomia ed autosufficienza. Ha attraversato con gli sci ai piedi la Groenlandia e ha maturato numerose esperienze scialpinistiche nell’isola di Baffin, alle Svalbard, in Islanda e soprattutto in Norvegia. In canoa ha doppiato Capo Horn e disceso le acque selvagge del Rio Colca in Perù. La sua attività lo ha portato a considerare sempre gli aspetti antropologici, sociali e storici del suo andare. E’ impegnato nel campo del reportage e della fotografia artistica, nonché autore di libri. Fabio Pasini non è un viaggiatore. Fabio è un nomade, perché in ogni terra in cui arriva è a casa come se fosse nella sua golena del Taro a San Secondo. Quello che si apprezza nel suo muoversi intorno al mondo, non è l’aspetto sportivo, l’eccezionalità della prestazione fisica e mentale, ma la capacità di essere parte del luogo in cui il fato l’ha condotto in quel momento.

Dalla Groenlandia a Capo Horn, passando per la Mongolia, la Patagonia cilena, la Terra di Baffin, il Giappone, i Territori del Nord Ovest, il Perù, la Marmolada,con gli sci, in canoa, in bicicletta, sempre in autosufficienza, per tornare con lo zaino pieno di immagini, appunti, ricordi e amicizie che in queste pagine condivide con noi e ci porta con queste avventure alla ricerca della volontà di appagare un bisogno di scoperta e di affermazione di libertà.

Quella appena trascorsa è stata la terza settimana di ripresa ai Diari, iniziata con un libro e un autore speciale: un romanzo appassionante che racconta con leggerezza un capitolo della storia del continente africano, dal titolo “Le cicogne sono immortali” di Alain Mabanckou, edito da 66thand2and nella traduzione di Marco Lapenna.

Continuazione ideale di Domani avrò vent’anni, il romanzo”Le cicogne sono immortali” ci riporta nella Pointe-Noire di fine anni Settanta, in tre giorni cruciali nella storia del Congo-Brazzaville. Ritroviamo Michel, il piccolo sognatore, oggi un ragazzino con la testa sempre tra le nuvole; Papà Roger, attaccato ventiquattro ore su ventiquattro alla radio per ascoltare le ultime notizie dal mondo; Mamma Pauline, la venditrice di caschi di banane, forte, impavida; insieme a una spassosa carrellata di personaggi. Non mancano i cinema Rex e Duo, che trasmettono sempre i soliti fi lm, il quartiere Trois-Cents, quello delle prostitute, e tutti i luoghi cari alla memoria di Mabanckou e dei suoi lettori. Ma sono appunto giornate cruciali: il presidente Marien Ngouabi, capo della Rivoluzione socialista congolese, è appena stato assassinato e la gente segue con apprensione l’evolversi degli eventi. Tre giorni che cambieranno la vita del protagonista. Ed è proprio attraverso le parole piene di ingenuità di Michel che Mabanckou torna a raccontare, con il consueto umorismo e il gusto per il grottesco, il proprio paese, con tutte le sue contraddizioni ma anche la sua bellezza nostalgica.

Di Alain Mabanckou abbiamo già proposto tanti libri in questi anni da “Peperoncino” a “Memorie di un porcospino” a “Le luci di Pointe-Noire” a “Zitto e Muori” e “Pezzi di vetro” e “African Psyco “, e abbiamo scoperto un autore meraviglioso che sa raccontare la storia e la politica del suo paese senza mai perdere la leggerezza dell’infanzia e l’amore per la sua terra. Tra i suoi libri da segnalare anche “Peperoncino”, edito sempre da 66tha2nd con la traduzione di Filippo D’Angelo.

Mosè e Bonaventure sono cresciuti insieme nell’orfanotrofio di Loango. Sono amici per la pelle, anche quando Bonaventure fa domande inopportune e a Mosè viene una gran voglia di picchiarlo. A Loango, tra il catechismo con Papà Moupelo e le affettuose cure di Sabine Niangui, non si sta poi così male, ma siamo in un’epoca di grande fermento, la Repubblica popolare del Congo si sta trasformando in un avamposto africano dell’Unione Sovietica, e all’improvviso arriva la Rivoluzione. Niente più catechismo, niente più danze dei pigmei dello Zaire. La vita nell’orfanotrofio adesso viene scandita dai surreali proclami del direttore. Mosè nel frattempo si è conquistato un soprannome, Peperoncino, e decide di fuggire a Pointe-Noire, anche se questo significa abbandonare il suo amico. Lì si imbatte in Mamma Fiat 500 e le sue «ragazze», l’incontro che cambierà il suo destino. Grazie alle avventure di Peperoncino, novello Tom Sawyer in un paese in rapido cambiamento, Alain Mabanckou veste i panni di cantore dell’Africa contemporanea e ne traccia il futuro svelando ai bianchi un passato fatto di comunismo, guerre etniche ed eredità coloniale, senza mai perdere la leggerezza che lo caratterizza. L’opera è stata finalista al Prix Goncourt e al Prix Goncourt des lycéens.

La casa editrice 66thand2nd ha pubblicato in questi anni ben nove libri di Alain Mabanckou e un paio di anni fa ha ripubblicato in una nuova traduzione “Memorie di un porcospino”.

Narra una leggenda africana che ogni uomo ha il suo doppio «animale». Quello di Kibandi è un porcospino, a cui è indissolubilmente legato da quando suo padre lo ha condotto nella foresta e lo ha costretto a bere il mayamvumbi, una disgustosa bevanda che ha sancito la sua iniziazione. E così il goffo, tenero porcospino è costretto a vivere accanto al suo doppio, che da ragazzino mite si trasforma col tempo in un feroce assassino. Il porcospino lo segue ubbidiente, si rende complice di efferati omicidi usando gli aculei come un’arma, finché un giorno si ritrova inaspettatamente libero e, rifugiatosi tra le radici di un baobab, inizia a raccontare la sua tragicomica storia.

“Pezzi di vetro”, quinto romanzo pubblicato in Italia da 66thand2nd è invece tradotto da Daniele Petruccioli. Si tratta di un libro denso di riferimenti culturali e storici, sia congolesi e africani, ma anche mondiali, che donano al testo un ritmo musicale, armonico e vivo.

Un arzigogolato ed esplosivo viaggio nella quotidianità di Pointe-Noire, un pastiche globalizzato narrato dal bancone di un bar, intriso di ironia, dove fanno la propria comparsa tra le righe, come ricordato nella Nota al testo, Georges Brassens, Tahar Ben Jelloun, Ingmar Bergman, Dino Buzzati, Alfred Hitchcock, Yukio Mishima, Lenin, J.D. Salinger, Mario Vargas Llosa, Tristan Tzara, Boris Vian, solo per citarne alcuni. Al Credito a morte passa un’umanità composita, allegra e tragica, accomunata da una spiccata propensione alla bottiglia e dalla voglia di raccontare le proprie miserie e nobiltà. Una ricchezza che andrà perduta se nessuno fisserà su carta la storia di questo bar unico al mondo, aperto ogni giorno ventiquattro ore su ventiquattro grazie alla tenacia di Lumaca testarda, fondatore e padrone del leggendario ritrovo. Il compito viene affidato a Pezzi di vetro, cliente storico del locale, ex insegnante elementare amante del vino e delle belle lettere. Quaderno alla mano, sarà lui a raccogliere le confessioni di habitué e gente di passaggio. C’è quello dei Pampers, che prima di essere spedito dalla moglie nel terribile carcere di Makala amava consolarsi con le prostitute del quartiere Rex; il Tipografo, che ha avuto la malaugurata idea di sposare una francese, fonte di ogni sua disgrazia; Rubinetta e Casimir, che si misurano nella gara per la pisciata più lunga. Ma al centro di tutto rimane lui, Pezzi di vetro, capace con la sua prosa colta e popolare di cogliere le debolezze altrui e smascherare questi personaggi da tre soldi È così che la letteratura entra nella vita, anche nella più umile, e i libri si trasformano in parola viva, in un linguaggio universale alla portata di ogni uomo.

E’ arrivata in libreria in questi giorni di ripresa un’opera veramente straordinaria, pubblicata dalla casa editrice L’Orma in una edizione raffinatissima. A metà strada tra romanzo, poesia, saggio e graphic novel, è stato pubblicato “Manifesto incerto. Con Walter Benjamin, sognatore sprofondato nel paesaggio” dello scrittore franco-elvetico Frederic Pajak nella traduzione di Nicolò Petruzzella.

Nato in Francia nel 1955, Frederic Pajak ha avuto un’esistenza assai tribolata, facendo mille mestieri: operaio, grafico, cuccettista sui treni notturni, inserviente in un macello industriale. In questi anni conosce la povertà più disperata, arrivando a chiedere l’elemosina tra i boulevard di Parigi, e una solitudine cui riesce a sfuggire soltanto grazie alla scrittura, alla poesia e al disegno. I libri della serie Manifesto incerto, l’impresa letteraria di una vita, intessono esistenze, parole e immagini di grandi figure dell’arte e del pensiero del XIX e del XX secolo. Tradotti in oltre dieci Paesi, dagli Stati Uniti alla Corea del Sud, dalla Russia alla Germania, hanno ottenuto prestigiosi riconoscimenti .
Un libro, questo pubblicato finalmente in Italia, che è un viaggio sulle tracce di Walter Benjamin sotto forma di saggio grafico.

Amburgo, 1932. Un uomo dall’aria stanca, abito scuro e ventiquattrore alla mano, si appresta a salire sulla passerella del cargo Catania, diretto a Ibiza. È Walter Benjamin, critico e scrittore ancora senza fama, in fuga da una Germania sull’orlo della follia. Isolato e lontano da ogni forma di modernità, finirà per indagare il proprio tempo come nessun altro.
Losanna, 1980. A pochi giorni dall’attentato che ha ucciso ottantacinque persone nella stazione di Bologna, un uomo arruffato e infreddolito varca la soglia di un bar di periferia, terra franca di neonazisti e fanatici antisemiti. E’ Frederic Pajak, scrittore e disegnatore inclassificabile, alla deriva per l’Europa inseguendo l’opera di una vita, «un libro fatto di parole e immagini, scene d’avventura, ricordi sparsi, aforismi, fantasmi, eroi dimenticati, alberi, la furia del mare».Mescolando episodi autobiografici e affondi sulla straordinaria figura di Benjamin, Pajak ricostruisce con passione critica alcuni momenti fatali del Novecento europeo, tavola dopo tavola, frase dopo frase, muovendosi tra Parigi, Capri e una desolata Sicilia d’aprile. Entrare nelle pagine e perdersi fra i tratti a china degli oltre cento disegni di Manifesto incerto significa intraprendere un viaggio militante e commosso nei territori della melanconia e della bellezza.

Un libro sorprendente, con una storia semplice di quelle che ti portano dentro a un congegno dell’uomo e della società, è quello pubblicato nell’autunno del 2019 da Miraggi edizioni nella collana Scafi Blu con il titolo “Uno di Noi” scritta da Daniele Zito. È la storia modernissima di quattro amici di vecchia data che alla fine di una partita di calcio decidono di dare fuoco a una baraccopoli della loro città. Un pamphlet breve, incalzante, pieno di pathos che segue la forma della tragedia greca sublimata in romanzo. Un romanzo politico e civile, una ballata crudele, radicale, spietata capace di spiazzare i lettori e raccontare i cattivi da dentro, entrando nelle loro teste, incarnando le loro parole d’ordine, dando voce alla loro retorica disarmante, esplorando gli aspetti più bui della paternità. Un libro sui padri e sull’Italia che stiamo lasciando in eredità ai nostri figli.

Quattro amici di vecchia data, alla fine di una partita di calcetto, decidono di dare fuoco a una baraccopoli. Lo fanno così, senza una ragiona precisa, spinti dall’euforia del momento. Purtroppo, il loro gesto si trasformerà in tragedia.
Il drammatico evento lascia su tutti i personaggi coinvolti tracce indelebili, Uno di noi ne è il resoconto, senza escludere nessuno, né le vittime, né i carnefici.
È un libro duro, fatto di rabbia, di odio, di frustrazione. Parla di padri minuscoli, delle loro colpe, del loro inutile pentimento. Parla del ventre molle del Paese, della sua inesorabile deriva forcaiola. Parla dell’impossibilità del perdono.E poi c’è la scrittura, che divora ogni cosa, trasformandola in letteratura.

“La solitudine di un riporto”, edito da Hacca Edizioni, è il romanzo anarchico e stralunato con cui Daniele Zito ha esordito a 33 anni nel 2013.

Brutto, solo e devastato da un riporto agghiacciante, Antonio Torrecamonica si ritrova a condurre, suo malgrado, una vita che gli altri hanno scelto per lui.
Carceriere di se stesso, trascorre tutte le sue giornate rinchiuso in una piccola libreria di provincia, tra libri che non legge, clienti che lo tormentano e ricordi che lo soffocano. Unico svago, ogni tanto, far saltare in aria qualcuno dei concorrenti, meglio se grandi, meglio ancora se Feltrinelli. Ma non è che la gioia di un momento, passato il quale il libraio continua a essere un animale in gabbia: la malavita lo usa per i suoi traffici, le forze dell’ordine lo braccano, il passato lo tiene inchiodato alla sua prigione quotidiana fatta di lettori, attese e conti in rosso.Finché un giorno non prende in mano uno di quei libri che non sopporta e inizia a sfogliarlo, ritrovando un piacere che considerava ormai perduto.Questo piccolo gesto quotidiano, insignificante nella sua banalità, darà il via alla lunga fuga del signor Torrecamonica verso la libertà. A ostacolarlo saranno in tanti: il commissario Serracavallo, Don Pietrino, i Milanesi, il Vice, fino alla realtà stessa, menzognera come non mai.La solitudine di un riporto è la storia di questa fuga, un vortice di incomprensioni e follia che avrà come inevitabile punto d’arrivo il più eclettico attentato terroristico/culturale di sempre. Scorbutico, misogino, stralunato e sognatore, Antonio Torrecamonica è un po’ Bartleby un po’ Marcovaldo, un personaggio indimenticabile che si muove dentro una prosa densissima di citazioni, riferimenti e rimandi, con la forza di un uragano.Un’intensa riflessione sulla libertà, un omaggio stravagante alla Letteratura, uno scherzo infinito, questo libro è tutto questo e molto altro. Sta al lettore scovare cosa si cela sotto lo struggente riporto di un libraio.

Di Daniele Zito ai Diari si trova anche il romanzo “Robledo” edito da Fazi pubblicato nel 2017 nella Collana Le strade.

Lavorare senza essere pagati: un’usanza che per molti, specie all’inizio, rappresenta il pegno da pagare per accedere al mondo del lavoro.Ma se, anziché essere una tappa obbligata, fosse una scelta consapevole o, peggio, il frutto di un’ossessione?
Se là fuori, cioè, ci fossero delle persone che lavorano per il semplice piacere di farlo, di recarsi ogni giorno nello stesso luogo, indossare una divisa e, per otto, nove, dieci ore, mescolarsi ad altri al solo scopo di dare un senso alle proprie giornate, sapremmo riconoscerle? Sapremmo capirle? Sapremmo narrare le loro storie?Robledo racconta di questi spettri, della loro caparbia determinazione, dei loro deliranti “percorsi di liberazione” e lo fa a partire dalle tracce che si sono lasciati alle spalle: notizie di cronaca, interviste, biglietti d’addio, pagine di diario che la loro organizzazione, nata per necessità, ha via via generato.Questo libro, però, è anche la storia di Michele Robledo, del primo che ha parlato (e forse inventato) il loro mondo, i loro volti, le loro utopie. Oscuro, grottesco, feroce, poetico, questo originalissimo romanzo dà corpo a un nuovo modo di spiegare le contraddizioni della società in cui viviamo, interrogando il lettore a ogni pagina e spiazzandolo, perché, come afferma lo stesso protagonista: Ogni versione è ugualmente plausibile. Tutte, però, possono essere confutate, e nessuna smentita del tutto. A chi credere, dunque? Di chi diffidare?

Passiamo a un autore speciale, Georgi Gospodinov. Nato a Jambol nel 1968, è poeta innovativo e raffinato, prosatore e studioso di letteratura, oggi considerato lo scrittore più talentuoso della Bulgaria. Con il suo esordio narrativo, “Romanzo naturale” (Voland 2007), accolto come una vera rivelazione, ha immediatamente incontrato il favore di critica e pubblico che ne hanno decretato lo straordinario successo, e ha ottenuto il primo premio del concorso Razvitie per il romanzo bulgaro contemporaneo. È tradotto in diciannove lingue.
Dal 14 maggio è tornato in libreria con “Tutti i nostri corpi”, una raccolta di 103 racconti brevi e brevissimi che vi lasceranno senza fiato. Divertenti e assurde, storie assai diverse tra loro, riflessioni ironiche, grottesche, malinconiche, cronache di vita che lo scrittore bulgaro ha composto nel corso degli anni, fra New York, Sofia e Berlino: un esperimento di ascetismo verbale per mettere ordine nel mondo e rallentare il tempo. Il regalo più bello che vi possiate fare per resistere e ricominciare in questi tempi difficili.

“Solo l’effimero è eterno.”
Centotre racconti brevi o brevissimi, divertenti e assurdi. Storie assai diverse tra loro, riflessioni ironiche, grottesche, malinconiche, cronache di vita composte da Georgi Gospodinov nel corso degli anni, dove la nostalgia per il passato si intreccia alla curiosità per il futuro: un esperimento di ascetismo verbale per mettere ordine nel mondo e rallentare il tempo.

Gospodinov è stato definito “il Milan Kundera della Bulgaria per i suoi viaggi nel mondo interiore, potrebbe essere accostato anche a Friedrich Dürrenmat per la sua riscrittura del mito del Minotauro”; ma a ben vedere Georgi Gospodinov è uno scrittore unico e nel 2018 è uscito, sempre nella Collana Sirin, “E tutto divenne luna” a cura di Giuseppe Dell’Agata.

Un amore di gioventù e la promessa di rincontrarsi a distanza di quarant’anni; un orfano che sceglie come padre il busto di Stalin; due emigrati bulgari che si uniscono in matrimonio alle cascate del Niagara, mentre nel loro paesino d’origine parenti e concittadini partecipano a un pranzo di nozze senza gli sposi; un uomo che si aggira per Lisbona in cerca di una fiamma del passato; una quarantenne che rinuncia ai suoi propositi suicidi a causa dell’attacco alle Torri Gemelle… Diciannove storie scritte in epoche diverse e innescate da invenzioni tematiche e stilistiche brillanti e originali. Diciannove storie in bilico fra sole e luna, fra malinconia e umorismo, che parlano della fragilità della condizione umana per rintracciare il sublime che si disvela nel quotidiano, per ricordarci che è sempre possibile cambiare prospettiva. Se un giorno il sole si smorzasse, come sceglieremmo di impiegare gli ultimi 8 minuti e 19 secondi di vita ancora a nostra disposizione?

Voland ha pubblicato, sempre a cura di Giuseppe D’Agata,  il romanzo “Fisica della malinconia” di Georgi Gospodinov nel 2013, con il quale è stato finalista del Premio Von Rezzori e del Premio Strega Europeo.

Un ragazzo è affetto da una strana sindrome: soffre di empatia, è capace di immedesimarsi nelle storie degli altri. Inizia così un viaggio nel mondo del possibile, nel labirinto dei sentimenti mai provati, delle cose mai accadute eppure reali più del reale stesso. Questo “io” coraggioso e impertinente va e viene dal passato, fa incursione in un futuro di cui abbiamo già nostalgia, e ritorna con un inventario di storie sull’autunno del mondo, sui Minotauri rinchiusi in ognuno di noi, sulle particelle elementari del rimpianto, sul sublime che può essere ovunque.

Nel 2008 era, invece, uscito “… E altre dtorie” sempre per Voland enella Collana Sirin con traduzione di Giuseppe Dell’Agata.

Ventuno racconti sospesi tra la complessità narrativa di Borges e il crudo realismo. Storie dentro storie, favole contemporanee, schegge di un romanzo che parla con tenerezza e ironia del destino personale dell’autore e di quello di un intero popolo. L’anima di un maiale appena sgozzato, una veggente che dall’occhio sinistro vede il passato e dal destro il futuro, un’impossibile trasmissione televisiva. destini che si sfiorano e interagiscono in un mondo, i Balcani, da sempre in bilico tra realtà e fantasia, tra ieri e oggi, tra quotidiano e letteratura.
Da uno dei racconti contenuti nel libro “Vajša la cieca” in Bulgaria è stato tratto un film animato in concorso agli Oscar 2017 come miglior cortometraggio d’animazione.

Sempre da Voland nella Collana Sirin un altro libro bellissimo, “L’isola del crollo” della scrittrice, traduttrice e giornalista bulgara Ina Valcanova tradotto dall’editora Daniela Di Sora.
Un romanzo a due voci che parla di donne, di astrologia, di un’isola… Ma soprattutto di quella cosa bizzarra che chiamiamo “destino”! La scrittrice è anche produttrice e traduttrice dal francese e dal russo, ha lavorato presso il Dipartimento di drammaturgia della Radio nazionale bulgara producendo adattamenti radiofonici di opere di scrittori bulgari e del mondo. È autrice di tre romanzi. Con L’isola del crollo ha ottenuto il primo premio al concorso letterario Razvitie per il romanzo bulgaro contemporaneo e nel 2017 il Premio Europeo per la Letteratura.

Due donne, Radost e Asja, con la loro storia. Fatta per l’una di chili persi e di amori orgogliosamente ignorati in cambio di un rigoroso equilibrio solitario, per l’altra di un compagno scorbutico e di un ex marito da raggiungere in una seducente isola croata. Si conoscono a malapena, eppure le unisce un legame inatteso: Radost si diletta di astrologia e, quando legge nelle stelle che su Asja incombe una minaccia, infrange il proprio guscio per tentare di salvarla. Ma il suo intervento sembra creare scompiglio negli astri, perché le rispettive vite, prima così agli antipodi, iniziano man mano a convergere, fin quasi a scambiarsi di posto… Un romanzo sul desiderio di controllare il mondo e sulla ricerca della libertà, che parla di quella cosa bizzarra a cui diamo il nome di “destino”. E di certo, nessuno sa essere ironico quanto il destino. Un romanzo che parla di donne, uomini, di bambini e gatti. Anche di un’isola. E del pericolo che tutto crolli.

In libreria in questi giorni si trova in bella vista la copertina color giallo ammaliante e le parole toccanti di “Perché il bambino cuoce nella polenta” di Aglaja Veteranyi nella traduzione dal tedesco di Emanuela Cavallaro, un libro di cui abbiamo già parlato. Ma Aglaja Veterany è autrice anche di un altro meraviglioso libro edito da Keller dal titolo “Lo scaffale degli ultimi respiri” nella traduzione A. Lorenzini.

Aglaja Veteranyi è ormai un’autrice di culto per i lettori nei paesi di lingua tedesca e in Francia. Figlia di circensi fuggiti dalla Romania e approdati in Svizzera dopo una vita di spettacoli in vari continenti si è presto dedicata alla scrittura con testi caratterizzati da uno stile unico e poetico, pieni di immagini e frasi memorabili. Il 3 febbraio 2002 si tolse la vita in riva al Lago di Zurigo a soli quarant’anni. Tradotta in numerose lingue, ha ottenuto importanti riconoscimenti letterari come l’Adalbert von Chamisso Förderpreis e il Kunstpreis Berlin.

La giovane protagonista di questo romanzo non è una donna qualunque, lo si capisce subito. La sua casa è popolata da lingue e profumi di tutto il mondo e da riti antichi come quello del lavare il grano nove volte prima di cucinarlo per fare il dolce dei morti. Con la madre, il fratello e la zia vivono in Svizzera ma il piccolo stato europeo è solo il punto di arrivo di una vita da girovaghi e circensi.Proprio la perdita dell’amata zia diventa occasione per ripercorrere alcuni momenti della loro vita insieme. Alla sofferta e dura verità della morte ben presto si sostituisce un delicato gioco di illuminazioni poetiche che ci conduce in tutto il mondo, lungo una vita da circensi ed emigranti. La giovane protagonista è nata a Bucarest, battezzata a Cracovia, operata d’appendicite in Cecoslovacchia e di tonsille a Madrid. Un caleidoscopio di situazioni e colori che però non riescono ad attenuare il dolore di non sentirsi mai a casa e di non avere una “lingua madre”. La Veteranyi scrive infatti in tedesco, lingua che impara in Svizzera quando vi giunge con la famiglia a quindici anni, ancora analfabeta.

Nello Zaino di Antonello: Sogni di carta tra l’odore di disinfettante