di Antonello Saiz

Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo"
Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”

 

 

 

 

 

 

 

#RIAPERTURA

Zaino 5 maggio

Dopo 54 giorni di chiusura la Libreria Diari di bordo, finalmente, riapre tra mille incertezze e speranze, con la paura addosso di una emergenza sanitaria non ancora superata e la volontà di riprendere a ricostruire. Accessi sicuri e garantiti, nel pieno rispetto delle normative igienico-sanitarie, ma ricordiamoci che la libreria rimane, comunque, un luogo di relazione e dialogo. Riaprire un’attività di questo tipo, dove non potrebbe passare nessuno, desta più di un motivo di grande preoccupazione. L’emergenza Coronavirus ha portato tutti, però, a fare fronte al tempo ritrovato, e quale modo migliore, quindi, di distrarsi della lettura come svago, come rifugio. Noi puntiamo su questa necessità di voler leggere un buon libro e magari riuscire a fidelizzare nuovi clienti o intercettare nuovi potenziali lettori forti, attraverso il suggerimento di una bella storia. La Riapertura non potrà non coincidere con il suggerimento di Storie ideali per questo periodo: storie che fanno riflettere e storie che fanno sorridere. Assai!

Partirei con il suggerire subito la grande novità che i nostri lettori potranno trovare in libreria già da lunedì 4 maggio, vale a dire “La perlina sul fondo” dello scrittore ceco Bohumil Hrabal nella traduzione di Laura Angeloni. Il libro è uscito da pochissimi giorni per Miraggi edizioni nella Collana NováVlna curata da Alessandro De Vito. Finalmente tradotto in italiano, a cura e con una postfazione di Alessandro Catalano, è il libro d’esordio di Hrabal, uno dei più grandi scrittori del Novecento.

C’è già tutto Hrabal in questa sua prima raccolta di racconti, i personaggi, marginali e sbruffoni, sinceri come i bassifondi da cui provengono. È lì e in loro che però è più facile scorgere ciò che si annida sul fondo di ciascuno, una forma di vera essenza umana, la “perlina”. Hrabal però insiste a dire che non si tratta di racconti metaforici, morali: il racconto è come un riflettore sotto la cui luce entrano i personaggi, che ci possono parlare e di cui possiamo conoscere quasi tutto da pochi gesti e alcuni scampoli di conversazione, e poi escono di scena. In modo che sia poi ogni singolo lettore, come gli pare, a scoprire, al fondo di sé, le sue perline. Per farlo, Hrabal usa in modo estremamente creativo ed espressivo un linguaggio concreto in cui si sente il rumore della fabbrica e delle fumose chiacchiere da birreria, gli slang, terminologia presa di peso da ambiti tecnici. Il linguaggio parlato amalgama tutto in modo da creare una spontaneità credibilissima e insieme estremamente studiata, che rende tutto semplice come la realtà, ovvero di una complessità effettiva e irriducibile che reinventa la tradizione, come accade solo nei grandi della letteratura.
Quarta di copertina di Alessandro Catalano, curatore del volume:«Sulla forca! È quello il posto di Bohumil Hrabal e dei maniaci simili a lui, purtroppo non è il solo. Sulla forca!?»
Nella sua rielaborazione di una lettera anonima, Bohumil Hrabal fotografa con grande efficacia la reazione di alcuni lettori cechi di fronte alla novità linguistica, stilistica e tematica dei suoi testi letterari dopo quindici anni di grigio realismo socialista.Con i racconti di Hrabal, nel 1963, fanno prepotentemente ingresso nella letteratura ceca i “discorsi della gente”, l’inventiva linguistica e la creatività popolare di operai delle acciaierie, commessi viaggiatori, ferrovieri, assicuratori, notai, impiegati del macero della carta, macchinisti teatrali, che, attraverso un lessico colorito, espressioni dialettali e slang professionali, restituivano alle pagine dei libri la vivacità dell’osteria e «lo splendore dei chiacchieroni e il loro sollazzarsi». Ed è nello scontro tra drammatica situazione contingente e discorsi apparentemente banali e ripetitivi, che in questi racconti si realizza «l’esperienza sconvolgente di scorgere la perla sul fondo dell’essere umano», come Hrabal la definisce.
Mai tradotta prima in italiano, La perlina sul fondo ha forse risentito del veloce successo editoriale dello scrittore ceco negli anni Sessanta ed è rimasta nell’ombra della successiva raccolta Pábitelé (presentata in italiano con i titoli Vuol vedere Praga d’oro? e Gli stramparloni). Il grande successo dei due volumi di racconti ha poi portato alla rapida pubblicazione di molti degli scritti che Hrabal aveva accumulato nei cassetti nel corso dei decenni precedenti, consacrandolo in pochi anni come uno dei più interessanti autori del panorama internazionale.

A proposito di Bohumil Hrabal in libreria si trova anche un libro di Pawel Huelle dal titolo “Mercedes-Benz” nella traduzione di Raffaella Belletti pubblicato nella Collana Sírin di Voland. Pawel Huelle (Danzica, 1957) autore di poesie, testi teatrali e prosa.

Romanzo originalissimo, concepito sotto forma di lunga lettera allo scrittore ceco Bohumil Hrabal, Mercedes-Benz racconta le lezioni di guida che il protagonista prende a bordo di una scalcinata fiat da un’istruttrice energica e dolce al tempo stesso, la graziosa signorina Ciwle. Imbarazzato e piuttosto imbranato nella guida, per stemperare la tensione e distrarre l’insegnante, il giovane comincia a narrare le divertenti vicissitudini di alcuni membri della sua famiglia, in particolare i nonni Maria e Karol, alle prese con le automobili.

Avevamo chiuso la libreria agli inizi di marzo suggerendo un libro che era da pochissimi giorni uscito per la Collana Intrecci di Voland, “Anatomia di un profeta” di Demetrio Paolin. E anche da quel libro vogliamo ripartire per la Riapertura dei Diari.

Demetrio Paolin (1974) vive e lavora a Torino. Ha pubblicato il romanzo Il mio nome è Legione (2009), i saggi Una tragedia negata. Il racconto degli anni di piombo nella narrativa italiana (2008) e Non fate troppi pettegolezzi (2014) e diversi studi critici su Primo Levi. Ha collaborato con il “Corriere della Sera” e “il manifesto”. “Conforme alla gloria”, il suo secondo romanzo, uscito a sette anni di distanza dal primo, è stato tra i dodici finalisti del Premio Strega 2016.

Primi anni ’90, in un piccolo paese del Monferrato. Di fronte a una tomba vuota un uomo recita un verso del profeta Geremia come una preghiera. Da quel preciso istante la vita del profeta e la vicenda drammatica del bimbo/Dio che non vuole più vivere si legano. Patrick il bambino, con le figure dolenti e folli dei suoi genitori, Geremia il profeta e le sue parole piene di ira e tenerezza, l’io narrante, sempre in bilico tra il tentativo di raccontare e il non senso del mondo, e Dio, che vive e muore, che odia e vuole redimere, sono le voci che si intrecciano in questo romanzo ibrido e complesso che narra la più semplice e antica delle storie: una storia d’amore e morte.

Alla riapertura di Lunedì 4 maggio si potrà leggere anche la voce di Ida, una voce – per usare le parole di Emanuele Trevi – «sommessa e insieme fibrillante». Ida è la voce che racconta in “Ritmi di veglia” di Raffaella D’Elia, bellissimo libro edito da Exòrma edizioni.

Nell’epoca dell’interconnessione permanente nulla sembra essere più scandaloso, riprovevole e osceno che vivere appartati, essere dei solitari nel nostro folle quotidiano.
Ida vive invece la più radicale solitudine, una solitudine gioiosa e perfetta, sciolta nell’ordinario procedere dei giorni, costellata di assenze: di relazioni umane, di vita sentimentale.Proprio quel transito che diventa per gli altri occasione di socialità, per lei è un passaggio silenzioso, invisibile, senza contatto. Proietta altrove il suo talento immaginando sé stessa alle prese con durissimi allenamenti di danza, quella che non può ballare. Le pagine di Raffaella D’Elia ci introducono a un io, delicato e potente, che cerca di dare una forma, una concretezza, a un vissuto sempre sfuggente, un io costretto a una veglia perpetua che non dà requie, che cerca un ritmo per poter accedere a una pausa, a un’interruzione della lucidità; producono l’esatta sensazione che esista una sottile parete trasparente, lieve ma invalicabile, tra il sentire e quell’intrico di possibilità, affascinanti perché terrificanti, che siamo soliti chiamare “vita”. Un testo sulla vocazione alla creazione, dal tono sospeso, disincarnato, ermetico e alto, “in fuga dai confini della prosa, verso approdi disarmati e ripari di fortuna”. È la più materica storia di un’assenza che ci si possa aspettare.

Per affrontare queste giornate di chiusura in casa bisogna trovare anche libri particolari come quelli di Paolo Albani, in cui si fa un uso incredibile dell’ironia e si racconta di personaggi bizzarri ma anche un sacco di aneddoti strampalati.

Per Quodlibet nella collana diretta da Ermanno Cavazzoni, Compagnia Extra, Paolo Albani ha pubblicato il libro “Umorismo involontario” nel 2016. Nel libro apprendiamo anche dell’esistenza di quello che è il peggiore poeta mai esistito al mondo, William Topaz McGonagall, e ancora del visconte Pierre-Alexis Ponson du Terrail,scrittore incredibilmente prolifico che riempì la Francia di metà ‘800 di feuilleton creando il popolare personaggio di Rocambole.

C’è umorismo involontario quando uno crede di fare una cosa seria e invece per ignoranza o per caso fa qualcosa di comico.
È un umorismo che s’insinua ovunque, nei romanzi di certi scrittori, nelle poesie, nei film di serie B, nei pittori della domenica, nelle storpiature linguistiche dei bambini, in ogni forma di kitsch e di trash, nelle farneticazioni dei mattoidi, nelle papere televisive, negli errori di stampa, nei discorsi dei politici (dal presidente americano George W. Bush è nato il termine «bushismo»), negli strafalcioni detti in ambulatori, tribunali, scuole ecc.; persino nel modo di morire ci può essere senza volere umorismo: nel 2002 una donna della Virginia (usa) scelse una carota per fare autoerotismo e fu tanto il successo che morì per un embolo.

A quelli che si comportano in modo stravagante, ai pazzoidi, agli svitati, agli eccentrici, Paolo Albani ha dedicato addirittura un intero libro dal titolo “Mattoidi italiani”, sempre pubblicato da Quodlibet. Non gli manca niente a questi personaggi unici, autori di teorie singolari e spesso deliranti. Creatori di lingue universali. Scienziati e matematici dediti alla confutazione di Newton o alla quadratura del cerchio. Filosofi alfieri di una scuola di cui sono il primo maestro e l’unico discepolo. Lettori del pensiero. Fondatori di religioni. Riformatori sociali. Sessuologi di ampie vedute. Naturalisti in aspro dissidio con le tendenze egemoni della scienza moderna. Economisti eterodossi.Politici senza seguaci ma non per questo meno risoluti nell’avanzare proposte per la pace mondiale.

I mattoidi italiani di questo repertorio, il primo nel suo genere in Italia, sono personaggi esistiti o esistenti fautori di teorie singolari, a volte deliranti, elaborate in vari campi del sapere: linguisti e ideatori di lingue universali, astronomi e fisici, trasmettitori del pensiero, architetti, quadratori del cerchio, poeti, inventori, profeti, visionari, politici eccetera.Corredato dalle foto di alcuni mattoidi, dalle copertine dei loro libri e da vari documenti (planisferi, macchine astruse ecc.), il libro è un ampio campionario di autori bizzarri, nessuno dei quali ha mai varcato la porta di un manicomio, per quanto in certi casi siano completamente fuori dalla realtà.Ci sono fisici che vorrebbero dimostrare che la terra non gira intorno al sole; poeti che si interrogano se fu fatto prima l’uovo o la gallina; rinnovatori sociali che propongono la castità insieme al divieto di caccia e pesca; curatori di foruncoli che diventano filosofi dopo essere stati visitati dallo spirito di Nietzsche; mistici atei che prescrivono di non adorare alcun Dio, di non guardarsi nudi, di non bere vino, di non andare al cinema, di non sbirciare le gambe delle fanciulle e di vivere sulle vette dei monti, dove però scorgono rosate parvenze di donne nude fra albero e albero; medici che teorizzano ibridi fra l’uomo e diversi animali; inventori che suggeriscono di bere con una cannuccia l’uovo direttamente dal sedere della gallina per rigenerare il fluido vitale nell’uomo; e così via. Un repertorio analogo di folli letterari di area francese e belga era stato fatto da Raymond Queneau e André Blavier.

Paolo Albani è autore anche di ” Dizionario degli istituti anomali nel mondo” pubblicato da Quodlibet nella collana Compagnia Extra.

Nel mondo nasce ogni tanto qualche strampalatissima associazione, club, partito, accademia, scuola o simili, dalle finalità a volte ridicole, a volte insensate o stupide oltre ogni dire, che però sempre insegnano qualcosa sulla specie umana, e la sua indefessa agitazione mentale. Istituto di Demenza Volontaria, Agenzia Generale del Suicidio, Istituto Scientifico per il Regresso Umano, Camera di Scrittura per Inoperosi, Collegio della Sragione, Centro per la Diffusione delle cognizioni inutili, Società Segreta di Letteratura Portatile, per fare qualche esempio.
Alcuni di questi istituti sono esistiti o esistono, altri sono allo stato ancora di ipotesi avanzata da qualche pensatore, da qualche scrittore non ortodosso, da aspiranti scienziati e aspiranti capipopolo.
Nel Dizionario degli istituti anomali nel mondo è descritta e documentata (con foto) l’attività normale di ogni singolo istituto, i casi più insoliti accaduti, i casi di demenza superlativa, l’attività dei membri e i rari casi in cui si sia giunti a qualcosa.

“I sogni di un digiunatore e altre instabili visioni” è invece l’ultimo libro di Paolo Albani pubblicato da Exòrma edizioni, che avevamo presentato ai Diari il 15 dicembre del 2018.

Storie brevi, brevissime, acidule, sulfuree, di una comicità surreale, a volte involontaria. Sono vicende in apparenza bislacche, improbabili, visionarie, ma in realtà, a modo loro, riflettono le paure, le contraddizioni, le aspettative della nostra incerta quotidianità.C’è la storia di quel tizio che trova due giovani sbandati che fanno l’amore dentro la propria casella postale, o quella dello scrittore che incontra un suo postero in un caffè di Firenze e scopre che i libri che ha scritto non li legge nessuno, o ancora la storia di quel giovane che sta per sposarsi con un’extraterrestre e intraprende un viaggio low cost per Marte o del tale che per tutta la vita è stato perseguitato dal successo.
Ma Paolo Albani racconta anche episodi realmente accaduti come quello dell’italiano Giovanni Succi, digiunatore di mestiere, che fece del digiuno uno spettacolo da fiera e che nel 1886 a Parigi digiunò per trenta giorni consecutivi.
I diversi punti di vista delle storie contenute in questo libro appaiono come riflessi di una visione instabile, fugace, che sembra scomporsi appena dopo essersi fissata sulla pagina. Alludono forse alla precarietà del nostro percepire il mondo e noi stessi come entità separate, un mondo dove tutto cambia di continuo e in fretta mentre noi abbiamo sempre più confusamente l’impressione di continuità, di essere sempre gli stessi.

Tra i libri proposti con grande successo, non possiamo non ricordare quello di Orso Tosco presentato nel Gennaio del 2019 in libreria: “Aspettando i Naufraghi” , edito da Miminum Fax. Un libro particolare, con l’andamento di una serie televisiva, e che dona al lettore parecchi spunti di riflessione in questi tempi particolari e giorni strani che stiamo vivendo. Orso Tosco è scrittore e sceneggiatore ed ha pubblicato racconti in Watt e in altre riviste. “Aspettando i Naufraghi” è il suo primo romanzo.

Tra i partecipanti a una festa sfrenata che si conclude con un suicidio collettivo, Massimo è l’unico a non premere il grilletto. Eppure la fine è vicina, per tutti. La guerra incombe, e i Naufraghi stanno arrivando. In pochi mesi, quello che inizialmente sembrava soltanto un gruppetto di invasati è cresciuto in modo inarrestabile, tanto da sovvertire l’intero ordine globale. L’unica caratteristica che lega i suoi componenti è l’abbandono di ogni comunicazione verbale. I Naufraghi si esprimono mediante le loro azioni, azioni che sono violente, distruttive, definitive. Per uccidersi o farsi ammazzare, un posto vale l’altro, Massimo lo sa bene. Ma all’ultimo momento decide di trascorrere il poco tempo che gli rimane con Piero, suo padre, confinato all’Hospice San Giuda, un sanatorio incastonato tra le valli di un entroterra che somiglia molto a quello ligure. Massimo non è mai riuscito ad accettare la malattia del padre, ma ora, sentendosi ugualmente spacciato, è lui ad avere bisogno della sua presenza. Un analogo cambio di prospettiva consentirà anche agli altri abitanti dell’Hospice di resistere al peso della disperazione. Che si tratti del Dottor Malandra, timido chirurgo morfinomane; di Guido, infermiere, alcolista, ultras; di Olga, suora in lotta contro la felicità e contro il proprio passato, tutti comprenderanno l’ultima, possibile verità: che ci può essere speranza senza speranza.
Con uno stile potente e attraverso continui sconfinamenti nel fantastico, Orso Tosco riesce a darci una rappresentazione quanto mai reale delle motivazioni segrete che ci spingono a vivere, fino all’ultimo respiro. E, forse, persino dopo.

Nello Zaino di Antonello: #RIAPERTURA