Roma piazza Venezia

Ho letto il nuovo romanzo di Ritanna Armeni, “Mara” (Ponte alle Grazie), e ho trovato coraggioso e necessario il tentativo, pienamente riuscito, di fare una storia condivisa, che non edulcori né minimizzi le responsabilità e le possibilità di scelta, ma che nello stesso tempo affida ai lettori la realtà dei fatti con quel tratto romanzesco che rende la narrativa più lungimirante del saggio storico.

MaraQuello che leggerete è il confronto con la scrittrice, che ringrazio per il tempo che mi ha dedicato.

Partirei proprio dal motivo per il quale il suo libro mi ha così entusiasmata.

Mara e Nadia sono figlie della piccola borghesia romana, al tempo della dittatura fascista: giovani donne che si stanno formando in un regime totalitario. Effervescenti e appassionate fasciste, con la freschezza e l’energia che possono dimostrare i giovani, quando guidati e indirizzati. Non fanatiche, e mai lo saranno, ma manipolate dal regime.

Sullo sfondo una Roma borghese e quotidiana, e la Storia che correndo spedita rimane dietro le porte delle vicende private ed è vista dalla serratura della stanza di Mara, con le sue aspettative e necessità.

Alla voce di Mara, e quindi al ritmo romanzesco della narrazione, Ritanna Armeni ha affiancato la propria, per delucidare e informare sui fenomeni legati al femminile nell’epoca fascista e far scoprire al lettore tanti elementi “mancanti” nella percezione comune. Le due voci così alternate ricostruiscono in maniera lucida e concreta il tempo storico, ma soprattutto palesano l’esigenza di storia comune e condivisa. La stessa Armeni nei ringraziamenti fa riferimento all’alzata di sopracciglio quando ha espresso alle amiche comuniste il desiderio di raccontare una donna fascista, quasi ad emblema della necessità stessa di un simile racconto.

La mia domanda si biforca: da una parte se alla base della sua attenzione alle donne che si sentirono rappresentate e furono ammaliate dal dittatore ci sia anche l’esigenza di provare a scrivere una storia che davvero riguardasse tutte e non solo una parte; e dall’altra se la necessità di far sentire una voce “saggistica” oltre a quella romanzesca di Mara è un modo per ristabilire oggettivamente la “realtà”, se la parola “verità” appare troppo enfatica.

Ritanna ArmeniRISPOSTA: Volevo parlare di un soggetto, dimenticato, trascurato dai libri di storia e dalla saggistica: la donna fascista. Non è una dimenticanza da poco perché durante il ventennio le donne hanno aderito in massa al regime. Ho scoperto che, per comodità, pigrizia, maschilismo, – forse per tutto questo insieme – quando si pensa alla donna fascista ci si riferisce a quella che il regime avrebbe voluto. Moglie e madre, subalterna, docile, capace di sacrificio e di abnegazione, incapace di autonomia. In questo modo, un’intera generazione di donne, le nostre madri e le nostre nonne, nella storia ufficiale sono ridotte al silenzio. Non è stato così. Mara è una ragazza che aderisce al regime, ma vuole  essere se stessa, coltivare i propri sogni, avere un proprio futuro. La storia di Mara, ma anche quella della sua amica Nadia, di sua zia Luisa, di sua madre e di altre donne che vivono nel romanzo sono storie di donne normali, proprio per questo importanti. Nella loro normalità ribaltano l’idea di femminilità del regime e anche quella che successivamente ci è stata raccontata.

Per scrivere di Mara dovevo entrare nella testa di una “giovane fascista”. Puoi immaginare che per “una vecchia comunista” non sia proprio agevole. Sapevo di non poter prendere le distanze dalla giovinezza, dall’entusiasmo, dalle convinzioni di Mara. Per questo ho deciso di scriverlo in prima persona. Non potevo però cancellare la mia esperienza e la mia storia. Sono nata in un paese democratico, ho letto, ho studiato il fascismo, i suoi errori, i suoi orrori. Allora ho deciso di affiancare alla voce della mia protagonista anche la mia. Senza soffocare quella di Mara, senza alterigia, senza pedanteria ma con chiarezza e onestà.

I corsivi che affiancano il racconto sono il mio controcanto. Ecco: mentre Mara viveva questo, accadeva anche questo. È bene saperlo. Io ve lo racconto. Ho avvertito: la realtà è complessa. E se si parla di donne, lo è ancora di più.

 

“Mara” è anche la storia di un’amicizia, forte incisiva fondante: quella tra Mara e Nadia, che crescono insieme, condividono sogni e amori, speranze e desideri, come quello di portare i capelli corti e non la treccia a cui le obbligano i padri ma anche le madri. Nadia otterrà il suo bel caschetto come esito del sotterfugio escogitato con l’amica Mara, che invece dovrà tenersi la sua bella treccia perché scoperte prima del tempo. Alla fine anche Mara otterrà il permesso di tagliarsi i capelli come premio da parte dei genitori per l’orgoglio della sua vittoria in un concorso di scrittura bandito dalla scuola. Non sveliamo perché poi deciderà di non tagliarli in quel momento, ma solo in un secondo tempo, perché mi sembra che questo elemento di trasformazione della sua protagonista vada lasciato al lettore.
Ho raccontato questo episodio, tra i miei preferiti, della prima parte del romanzo perché mi sembra che sottolinei chiaramente la complicità ma anche la differenza tra le due giovani: la fisicità e il pragmatismo di Nadia da una parte; la riflessività e affidabilità di Mara dall’altra. In entrambi i casi la determinazione e il coraggio delle due a realizzare ciò che desiderano o a rinunciarvi per una ragione precisa e ben meditata.
Mara prende forma nel confronto con Nadia ed entrambe crescono conservando un legame strettissimo anche a distanza.
Non è così usuale raccontare l’amicizia femminile nei romanzi. Anzi forse nella relazione tra donne si è sempre evidenziata la loro rivalità. In questo “Mara” è invece un romanzo di chiari intenti: l’amicizia tra donne è spontanea, naturale, necessaria anche quando la vita porta a compiere scelte diverse da quelle dell’amica.
Che valore ha nell’economia narrativa del romanzo, la relazione tra donne, e in particolare nello sviluppo delle decisioni esistenziali di Mara? Riveste un nodo nevralgico come a me appare da lettrice? Perché attraverso la figura di Nadia mi sembra che abbia voluto tracciare una parabola diversa da quella di Mara, che aveva ugualmente la sua necessità di essere raccontata. Persino forse più difficile e pericolosa da tracciare, perché Nadia crede nel regime fino alla fine, pur non essendo una donna nei canoni della figura femminile voluta dal regime e nel pieno gradimento dello stesso.
Suo merito: averla resa umanissima e vera.

RISPOSTA: Mara vuole essere un romanzo sulle donne e sul rapporto fra di loro. Una lettrice, di recente, mi ha detto una cosa alla quale non avevo pensato, ma che è vera. I protagonisti maschili nel romanzo ci sono e sono in genere brave persone, uomini affettuosi, con una loro dignità, ma rimangono sullo sfondo, costituiscono il fondale di un palcoscenico in cui le attrici sono le donne. 

In questo quadro l’amicizia di Nadia è importante perché questa giovane donna irruenta, decisa, pronta a sacrificare tutto per ciò in cui crede, con una generosità che la acceca, indica tuttavia a Mara una strada. Nadia insegna a Mara che si devono sempre seguire i propri sogni e i propri desideri. Anche a rischio di sbagliare, di sbagliare molto, come avviene a lei. L’amicizia fra le due ragazze rimane forte anche quando le loro vite si divaricano proprio perché fondata su una reciproca fiducia che non porta nessuna delle due a condannare le scelte dell’altra. 

Sicuramente nel rapporto fra Nadia e Mara ho descritto sia pure inconsciamente il mio rapporto con il “femminile” che è molto profondo e intenso. Mi ritengo una donna fortunata perché nelle altre donne ho sempre incontrato stima, considerazione, solidarietà. E credo di averne anche dimostrato. 

Anche il rapporto fra Mara e le altre donne è importante. Quello con zia Luisa, donna colta elegante piena di fascino, per esempio, che è un suo modello. Poi quello con la madre, con la sorella, con la vecchia Assunta. Sono rapporti diversi ma ognuno ha una sua ricchezza, ognuno insegna e dà qualcosa. 

Sì, il mio è un romanzo “al” femminile. 

 

Zia Luisa è uno dei personaggi che ho più amato nel romanzo, rappresenta il riscatto di sé e dell’epoca in cui vive. Una donna che necessariamente deve aderire al fascismo ma che ne sa prendere responsabilmente le distanze, per poi allontanarsene definitivamente.
Mi ha molto colpito anche il modo sottile e penetrante con cui affronta le leggi razziali.
Un dramma anche questo intimo che si consuma nello spazio quotidiano della cucina in cui i vicini ebrei della famiglia di Mara confessano di lasciare l’Italia, perché non si sentono più sicuri e ben accetti. Lì per lì la madre di Mara non riesce a comprendere ma poi dovrà ricredersi quando con l’occupazione nazista l’applicazione delle leggi razziali diventa più feroce.
In “Mara” la Storia è sempre presentata nella sua veste più intima e quotidiana, ed è questa dimensione a farla deflagrare. Come se a Ritanna Armeni non interessasse la Storia stessa, ma i sentimenti e le reazioni che suscita nei personaggi, scardinandone le vite. Perché il fascismo come ogni dittatura, soprattutto quando come esito naturale ha una guerra feroce e mondiale, scardina le vite di tutti, nessuno escluso.
Che ruolo ha la Storia in “Mara” e nella sua poetica narrativa?

RISPOSTA: È vero in “Mara” la Storia è presentata nel suo aspetto più intimo e quotidiano, posso dire che la piccola storia è privilegiata rispetto alla grande e che quest’ultima c’è solo in quanto si riflette nella prima. 

La quotidianità, la vita delle persone sono nel romanzo una sorta di prisma che cattura la luce abbagliante della Storia con la lettera maiuscola, la riflette e la rimanda. Guardando quel prisma il lettore comprende davvero ciò che è avvenuto e che non riguarda solo i grandi, ma gli uomini e le donne (nel mio romanzo soprattutto le donne); non solo la politica, ma i sentimenti; non solo i terremoti ma le piccole scosse che da questi derivano e che cambiano la vita. 

La persecuzione degli ebrei è uno dei fatti più importanti e tragici del 900. In “Mara” non descrivo gli orrori della shoah e neppure l’evacuazione del ghetto che pure è situato a qualche centinaio di metri dall’abitazione della protagonista. Mi limito a evocarli, a suggerirli attraverso il viaggio improvviso dei vicini di casa o il silenzio innaturale che arriva dal quartiere ebreo.

Ho letto molti libri di storia prima di scrivere “Mara”, ma ho visto anche molti film, documentari e ho letto romanzi. È stato utile per riuscire a filtrare la grande Storia, farla riflettere nel prisma. 

Mi fa piacere che ti sia piaciuto il personaggio di zia Luisa. Credo che tutte noi abbiamo avuto nella nostra vita una donna che è stata un modello, che abbiamo ammirato, che abbiamo desiderato imitare. Zia Luisa per Mara è tutto questo. 

È una fascista, benestante, colta e convinta. Ma è una donna che non abdica, che non rinuncia alla sua intelligenza critica. Ed è questo che trasmette a Mara: adesione al fascismo senza rinunciare a pensare col proprio cervello. Non è poco. È ciò che consente a Mara di cercare la propria strada e di andare avanti.

 

Con le donne di “Mara” Ritanna Armeni fa un esperimento particolare: raccontare il ruolo della donna durante il fascismo non attraverso le grandi figure femminili che in un certo senso lo hanno caratterizzato e che sono citate per lo più nelle parti “saggistiche”: Margherita Sarfatti,  Elisa Majer Rizzioli, Regina Terruzzi e Ondina Valla, che vince la medaglia d’oro femminile alle Olimpiadi di Berlino; ma attraverso le donne “comuni” come Mara, Nadia e la zia Luisa. Donne intelligenti e determinate, che possono incarnare più che rappresentare la donna fascista nel suo essere concreto.

Cosa vuol dire oggi scrivere la vita di Mara e di Nadia, e preferirla nella loro narratività a una biografia “romanzata” come va tanto di moda nel mondo letterario attuale? Cosa possono rappresentare queste due fanciulle che sbocciano e diventano donne durante la dittatura fascista rispetto ai nomi più mondani e altolocati dell’epoca?

RISPOSTA: In effetti avevo pensato anche a una biografia romanzata di una donna del regime. Le biografie romanzate mi piacciono. Penso a quelle – meravigliose – di Stefan Zweig. Anche i miei due libri precedenti “Di questo amore non si deve sapere” e “Una donna può tutto” sono delle biografie romanzate anche se, probabilmente, meno romanzate di tante altre. 

Questo genere letterario esige tuttavia una figura particolare che ti piaccia molto. Una biografia è innanzitutto un abbraccio, esige una comprensione e un’identificazione pressoché totali. Almeno per me. Non ho trovato nessuna donna con cui procedere in questo modo. E, probabilmente non ne avevo neppure bisogno. Io volevo parlare di donne normali e a queste potevo solo arrivare attraverso il romanzo e l’immaginazione. Mara e Nadia non hanno nulla di eccezionale, sono più rappresentative e più reali di tante donne più importanti. Chi scrive le può far crescere e comprenderne i dubbi, le debolezze, le fantasie e i sogni. Può narrare in libertà, sapendo che proprio questa libertà le renderà vere. Come sai io ho fatto per anni la giornalista, la realtà l’ho già raccontata, ma attraverso i dati, i fatti. Mara è stata per me “una prima volta”. Perché ho narrato da quello che avevo dentro e non da quello che la realtà m’imponeva. È stata una bella esperienza.

 

Chiudendo “Mara” e ringraziando spassionatamente Ritanna Armeni per la possibilità di questo confronto così generoso sul libro, l’ultima domanda è proprio sull’identificazione con Mara, a cui regali mi pare una parte fondamentale di te: il desiderio di scrivere e il talento per la scrittura.
Tra Mara e Nadia, quali elementi della prima hanno fatto scattare quell’abbraccio con la Armeni che l’ha resa protagonista del libro e dedicataria del titolo rispetto soprattutto alla giovane amica ma anche a donne fascinose come la zia Luisa?

RISPOSTA: È vero, c’è una forte identificazione con Mara. Nelle sue aspirazioni, nei suoi desideri c’è molto di quello che io ho desiderato durante la mia adolescenza e giovinezza. Anch’io volevo studiare e andare all’Università e, in quegli anni per una ragazza della piccola borghesia meridionale con due fratelli maschi, non era per niente scontato. Anch’io volevo fare un lavoro intellettuale, anche se non avevo le idee chiare. Certo abbiamo vissuto in due periodi differenti, – io nella democrazia, lei nel fascismo – ma per le donne, soprattutto per le donne, non tutto è cambiato soltanto con la caduta del regime. Pensiamo all’aborto. In Italia fino al referendum del 1981 era regolato dal codice Rocco ed era definito un “delitto contro la stirpe”. Solo negli anni settanta le donne sono entrate in settori importanti della società e del lavoro. Quanto alla scuola, sappiamo com’è andata: la distinzione fra maschile e femminile comincia solo ora a essere intaccata. Solo negli ultimi anni le donne cominciano a scegliere le materie scientifiche. 

Era più difficile l’identificazione con due donne come Nadia e zia Luisa così ideologicamente convinte, o con le mamme di Nadia e Maria più vicine a mia madre che a me. 

Mara, invece, poteva essere Ritanna. E, forse, Ritanna alcuni decenni fa sarebbe stata Mara.

Chiacchierando con… Ritanna Armeni