di Antonello Saiz

Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo"
Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”

 

 

 

 

 

 

 

Decisioni difficili

Zaino 14 aprile

Le librerie possono riaprire con un Decreto del governo, ma i Diari di Parma hanno detto no, perché noi non siamo ancora usciti dall’emergenza. In una Regione dove viaggiamo ancora sui 100 morti al giorno di media, e il tributo più grande, in questi giorni, lo sta dando proprio la città di Parma, noi dei Diari di Bordo abbiamo firmato, insieme a tanti altri librai d’Italia, per non aprire il nostro avamposto culturale martedì 14 aprile. Difficile comprendere i motivi di una scelta che noi non appoggiamo e ci ha lasciato interdetti la decisione di ritenerli luoghi di una importanza così fondamentale da prevederne la riapertura, pur non essendo ancora usciti dall’emergenza. Improvvisamente abbiamo imparato che ci viene riconosciuta la valenza sociale di luogo essenziale del tessuto culturale italiano. Molto bene, ma aldilà della funzione simbolica di questa apertura, sarebbe il caso che questo ruolo ci fosse riconosciuto sempre e in modo strutturale. Rischioso e insensato aprire, in questa fase, un’attività che presumibilmente rimarrà vuota, dato che ancora oggi è richiesto di uscire solo per necessità impellenti. Le librerie sono luoghi di dialogo e confronto e riaprire senza i dispositivi adeguati a garantire la sicurezza dei lettori è solo pura idiozia. Le librerie non sono luoghi di distanze e silenzi e chi ha predisposto questa riapertura per decreto, sa davvero molto poco del magico mondo delle relazioni umane che si creano in posti come il nostro. Ecco perché occorrono, invece, misure reali in grado di sostenere e supportare le librerie per garantire che possano continuare a rappresentare luoghi di amicizia e di aggregazione e di condivisione.

Questa quarantena ci ha insegnato ad essere ancora più presenti sui social a fare divulgazione ma anche a giocare molto e a creare spazi di condivisione con i lettori e gli editori e alcuni scrittori. Nuovi modi di concepire le presentazioni e continuare a far conoscere lo stesso libri e autori e case editrici. I social sono serviti anche a fare Rete tra i librai e confrontarsi e partecipare attivamente a proporre soluzioni per quella che sarà la FASE DUE. Anche questo spazio prezioso su Giuditta Legge è servito a tenere vivo l’interesse e il legame con i lettori e continuare a fare buona divulgazione e tante segnalazioni di libri belli che si ritroveranno sugli scaffali da sfogliare quando il peggio sarà passato.

Tante, quindi, le belle segnalazioni di questa settimana. A partire dal libro che avremmo dovuto presentare martedì 7 aprile, “L’unica notte che abbiamo” di Paolo Miorandi, edito da Exòrma. Una grande storia familiare, una polifonia di fantasmi che vogliono far sentire la propria voce e raccontare la propria storia.

Di notte, un uomo alla finestra. Ascolta voci che tornano da oltre il buio. Sono quelle che un’anziana signora, poco prima di tramutarsi anche lei in pulviscolo di parole, ha consegnato all’uomo che ne diventa il custode. Perché ogni essere umano – è questo che l’uomo si dice – prima o poi è chiamato a prendere in consegna la voce di un altro essere umano, e ogni vita è chiamata a offrire la propria voce, per quanto flebile essa sia, a un’altra vita.Le parole giungono come relitti su una costa solitaria. Sono i morti che parlano, ma non tra di loro e nemmeno con i vivi. Monologano, chiusi ognuno nella bolla del proprio ricordo. Ripetono il frammento di storia in cui tutta la loro esistenza è contenuta, come un pianeta che un’indicibile forza di gravitazione ha fatto collassare su sé stesso e trasformato in un unico minuscolo grumo di materia. Ognuno torna sul luogo della propria ferita e la esibisce come per chiedere perdono.L’anziana signora ripercorre le vicende della sua famiglia che nessuno ha mai voluto né raccontare né ascoltare. Cerca tra le mura di un paese senza vita la ragazza che ha abbandonato il figlio, suo padre, poco dopo averlo messo al mondo.Rivede la maestra, a cui il bambino è stato affidato, impegnata nella sua estenuante interrogazione di fronte al silenzio di Dio e di un corpo incapace di dichiarare il suo bisogno d’amore. Ripercorre la via dei campi con la nonna materna, per lunghi periodi suo unico sostegno affettivo. Rivive il rapporto conflittuale con il padre, un sagace perdigiorno di paese, intimamente e indelebilmente ferito dalla tragica esperienza della ritirata di Russia, che ha eletto i bar a proprio dimora. Quella dell’anziana signora è una deposizione che non risparmia le accuse, ma che allo stesso tempo va in cerca di prove per una possibile assoluzione dei protagonisti. È anche una deposizione di corpi sofferenti e mortali, spogliati via via dei propri sintomi, gettati ai margini del tempo e divenuti sacri proprio in ragione della loro inermità.

Venerdì 10 Aprile, invece, avremmo dovuto presentare il libro di Fabiano Massimi “L’Angelo di Monaco” edito da Longanesi con Jacopo Masini. Un libro che viaggia sul filo del rasoio, a metà tra realtà documentata e finzione avvincente, una indagine che muove a partire da un delitto che vede protagonista l’unico, vero amore di Adolf Hitler: sua nipote Angela Raubal, trovata senza vita nella sua camera nel settembre del 1931 a Monaco. Un thriller che diventa un viaggio all’inseguimento di uno scampolo di verità in grado, forse, di restituire dignità alla prima, vera vittima della propaganda nazista: la giovane e innocente Geli Raubal.

Il commissario Sigfried Sauer è chiamato con urgenza in un appartamento signorile di Prinzregentenplatz, dove la ventiduenne Angela Raubal, detta Geli, è stata ritrovata senza vita nella sua stanza chiusa a chiave. Accanto al suo corpo esanime c’è una rivoltella: tutto fa pensare che si tratti di un suicidio. Geli, però, non è una ragazza qualunque, e l’appartamento in cui viveva ed è morta, così come la rivoltella che ha sparato il colpo fatale, non appartengono a un uomo qualunque: il suo tutore legale è «zio Alf», noto al resto della Germania come Adolf Hitler, il politico più chiacchierato del momento, in parte anche proprio per quello strano rapporto con la nipote, fonte di indignazione e scandalo sia tra le file dei suoi nemici, sia tra i collaboratori più stretti. Sempre insieme, sempre beati e sorridenti in un’intimità a tratti adolescenziale, le dicerie sul loro conto erano persino aumentate dopo che la bella nipote si era trasferita nell’appartamento del tutore. Sauer si trova da subito a indagare, stretto tra chi gli ordina di chiudere l’istruttoria entro poche ore e chi invece gli intima di andare a fondo del caso e scoprire la verità, qualsiasi essa sia. Hitler, accorso da Norimberga appena saputa la notizia, conferma di avere un alibi inattaccabile. Anche le deposizioni dei membri della servitù sono tutte perfettamente concordi.Eppure è proprio questa apparente incontrovertibilità dei fatti a far dubitare Sauer, il quale decide di approfondire. Le verità che scoprirà,così oscure da far vacillare ogni sua certezza professionale e personale, lo spingeranno a decisioni dal cui esito potrebbe dipendere il futuro stesso della democrazia in Germania…Sullo sfondo di una Repubblica di Weimar moribonda, in cui si avvertono tutti i presagi della tragedia nazista.

Sono stati annunciati i sei finalisti di The Man Booker International Prize, il prestigioso premio letterario per opere tradotte in inglese e fuori dal sestetto, nomi come Houellebecq e Vila-Matas. Dentro, invece, una giovanissima esordiente olandese con un romanzo sorprendente, disarmante, bellissimo, che Nutrimenti ha pubblicato in Italia, con la traduzione di Stefano Musilli. La scrittrice è Marieke Lucas Rijneveld e il libro si intitola “Il disagio della sera”

Jas ha dieci anni quando, come ogni anno, in casa Mulder fervono i preparativi per il Natale. La sua è una vita tranquilla. A scuola non va benissimo, ma dà una mano al papà con gli animali della fattoria e non vede l’ora di diventare abbastanza grande per andare a pattinare sull’altra riva del lago con il fratello Matthies. Due giorni prima della festa, però, proprio da quella sponda più lontana, Matthies non fa più ritorno. La morte prende il suo posto in casa, occupa la sedia che lui ha lasciato vuota, indossa il suo giubbotto rimasto appeso come un cimelio, e si insinua nella vita di tutti. Jas osserva impotente la vicina di casa portare via l’albero di Natale e i genitori trasformarsi nel Lupo Cattivo con la pancia piena di sassi. Al riparo nel suo giaccone, che non toglie più nemmeno per dormire, non le rimane che prepararsi al momento in cui Dio scaglierà su di loro una nuova piaga, come sente dire al papà e alla mamma durante una lite. Abbandonati a loro stessi, i tre fratelli Jas, Obbe e Hanna sondano, nel privato delle loro stanzette, il dolore e la perdita. La libertà consente loro di sperimentare, di sovvertire le regole, ma anche di parlare apertamente della morte. Sono pronti a sacrificare tutto pur di non farsi portare via da Lei. Nel suo sorprendente romanzo d’esordio, Marieke Lucas Rijneveld trascina il lettore pagina dopo pagina in una narrazione disarmante ma allo stesso tempo delicata della perdita dell’innocenza.

Sempre dal catalogo di Nutrimenti, un romanzo da recuperare al più presto non può che essere “Il Terzo Matrimonio” di Tom Lanoye. Una storia poetica dove tragedia e umorismo sono mescolate grazie a un scrittura scoppiettante e sorprendente

Gay, vedovo attempato, malato incurabile, disoccupato, a corto di denaro ma proprietario di una casa arredata con gusto e dichiarata patrimonio storico della città di Anversa: Maarten Seebregs sembra essere il profilo ideale quando un tale Vandessel si mette in contatto con lui per proporgli, dietro lauto compenso, di sposare una giovane africana allo scopo di farle ottenere la cittadinanza belga. Lo sconosciuto ha il proprio interesse e lo mette subito in chiaro: “Ti sposi con lei, abiti con lei, vivi con lei. Ma se la tocchi ti ammazzo”. Solitario e introverso, Maarten vive il tempo che gli rimane crogiolandosi nei ricordi e cercando di nascondere a sé stesso il dolore per la morte dell’amato Gaëtan. È seraficamente rassegnato, disilluso. Perché dovrebbe accollarsi questa scocciatura? Per i soldi, certo. O forse proprio per lei – Tamara – per quella sua bellezza sottile che la fa sembrare un ragazzo.La decisione è presa, e condurrà a esiti tragicomici: la stravagante coppia di sposi dovrà affrontare i controlli serrati dell’ufficio immigrazione, i pettegolezzi dei vicini, il razzismo, ma soprattutto le conseguenze impreviste delle bugie di Tamara e degli ormoni fuori controllo di Maarten.

Tom Lanoye combina la leggerezza della commedia e la riflessione sull’attualità, tratteggiando con tono brillante i paradossi di un’Europa spesso incapace di fare i conti con le spinte e i cambiamenti portati dall’immigrazione.

A dicembre scorso per Atlantide Edizioni era tornato in libreria Robert Nathan con “Viaggio incantato”, il nuovo romanzo tradotto da Flavia Piccinni. Un libro bellissimo, sulla coerenza personale e sulla ricerca della libertà, sul rifiuto della superficialità. Dopo “Ritratto di Jennie”, “Viaggio sul fiume”, “Nina” e “Clementine” ecco un altro straordinario regalo da parte di questa preziosa casa editrice con Mr. Pecket, un intramontabile sognatore, come molti di noi.

Hector Pecket è un modesto carpentiere che riesce a malapena a guadagnarsi da vivere. Il suo unico sogno porta il nome di sua moglie, Sarah Pecket, e ha le fattezze di una barca di legno da lui stesso costruita e parcheggiata nel cortile della loro casa nel Bronx. Ogni sera, Mr Pecket immagina di solcare a bordo del suo amato veliero le acque fascinose e lontane che ha conosciuto sugli atlanti e sulle mappe, almeno fino a quando la moglie Sarah, molto più realista e ambiziosa di lui, dopo avervi fatto applicare delle ruote, non decide di vendere l’imbarcazione a uno scaltro macellaio che intende farne un chiosco di hamburger. Così, in una notte di pioggia e di tempesta, Mr Pecket si risolverà di scappare via con la barca e intraprendere quel viaggio che ha sempre fantasticato… Ad affiancarlo nella sua straordinaria avventura lungo le strade d’America ci saranno due compagni di viaggio, a loro volta in fuga da una vita in cui non si riconoscono: l’ingenua cameriera Mary e Mr Williams, dentista girovago “catturato” nel New Jersey.

“Viaggio incantato”, che viene per la prima volta pubblicato in italiano nell’elegante traduzione di Flavia Piccinni, è una meravigliosa favola moderna sulla ricerca della felicità e del proprio posto nel mondo.

Sempre dal catalogo di Atlantide anche la scrittrice Polly Clark, tornata in libreria con il suo nuovo romanzo dal titolo “Tigre”. Con la traduzione di Federica Bigotti, il nuovo romanzo di Polly Clark, dopo il bellissimo esordio di “Larchfield”, si mostra come l’emozionante storia di donne e uomini il cui destino è unito misteriosamente nel segno della tigre.

Per i popoli siberiani incontrare una tigre significa assistere allo svelamento di una verità assoluta: tutte le cose della natura si incarnano le une nelle altre, e la tigre rappresenta l’incarnazione vivente di qualcosa che va oltre l’umano, qualcosa al tempo stesso di enigmatico, meraviglioso e tremendo. Per Frieda, primatologa inglese appassionata di scimmie bonobo, le tigri invece non sono che animali selvaggi incomprensibili nella loro violenza, ma nel suo nuovo incarico presso uno zoo privato nella campagna del Devon si troverà ad averci a che fare giornalmente; inizierà così a capire il loro essere, quindi man mano a innamorarsene e infine, attraverso di loro, a scoprire una parte di sé che non conosceva, e che la porterà fino in Siberia, dove la sua vicenda e quella delle tigri troveranno una ragione necessaria e sorprendente, connessa inestricabilmente a quella di Tomas, solitario uomo delle foreste siberiane, e della piccola Zina, ragazzina selvaggia di origine udeghe. Epico, avventuroso, sensuale, intenso, magistrale.

Dell’autrice del recente “Tigre”, Polly Clark, lo scorso anno Atlantide aveva pubblicato anche il suo esordio “Larchfield”. Un esordio raro di un talento eccezionale che è stato, per la prima volta, pubblicato in Italia nella raffinata traduzione di Federica Bigotti. Un grande romanzo, toccante e visionario al tempo stesso sul coraggio di essere se stessi e di affrontare, nonostante tutto, la propria verità.

Dora e Wystan sono due persone che non “appartengono”, due outsider che cercano a fatica il proprio posto nel mondo. Dora è una giovane scrittrice che ha abbandonato la carriera universitaria a Londra per seguire suo marito in un nuovo lavoro e occuparsi della bambina che sta per nascerle, Wystan è il poeta W.H. Auden, qui colto subito dopo gli studi a Oxford.
Tutti e due a un certo punto della propria vita si trasferiscono a vivere nella cittadina di Helensburgh, sulle coste della Scozia, stranieri in un paese a loro ostile, Wystan nei primi anni Trenta, quando accetta l’incarico di insegnante nella scuola di Larchfield, Dora quasi ottanta anni più tardi, ai giorni nostri. Nonostante i tempi diversi, non molto è cambiato a Helensburgh, e come Wystan aveva dovuto affrontare i pregiudizi degli abitanti di lì e una solitudine quasi assoluta, così Dora si ritrova fare fronte a una situazione familiare sempre più opprimente che la porterà a dubitare di sé e della propria sanità mentale. Ma c’è qualcosa di inaudito e misterioso che lega la storia dell’uno alle vicende dell’altra, e a Larchfield, qualcosa che ha a che fare con la scrittura e il coraggio di essere sé stessi, di affrontare la propria verità, qualcosa di irrazionale e invisibile, eppure per entrambi assolutamente reale. Perché, come realizza Wystan, e poi Dora, “c’è un prezzo da pagare quando ci si nasconde dalla verità. Si può amare, ma non si può essere amati. Si può descrivere la libertà, ma non si può essere liberi”.

Sempre dal catalogo di Atlantide è da segnalare “Scura è la notte, luminose le stelle” di Paul Broks, un libro commovente sul tempo che non ritorna, sulle cose che contano e sull’avvolgente consapevolezza di aver condiviso con una persona amata, e che non c’è più, la propria vita. La profonda riflessione di un noto neuropsicologo su ciò che resta di un grande amore che è l’amore

Dopo la morte della moglie Kate, Paul Broks, noto neuropsicologo inglese, si trova ad affrontare una delle esperienze più dolorose e insieme più profonde della sua vita: l’esplorazione del lutto e del dolore che ne deriva. Inizia così un viaggio di conoscenza che lo porterà a confrontarsi con il proprio passato e il ricordo dell’amore che lo ha legato e lo lega ancora a Kate, e soprattutto con ciò che sino a quel momento non è riuscito a vedere davvero, di sé e del mondo che lo circonda. Per farlo non saranno sufficienti i mezzi scientifici di cui dispone, ma dovrà avventurarsi in territori incerti e visionari quali quelli del mito, della letteratura e delle teorie quantistiche della fisica contemporanea, interrogandosi sul mistero della natura profonda dell’io e della coscienza individuale, che è, scrive, “una creatura della quarta dimensione: il tempo”.
Cosa significa dunque essere umani, e cosa è, se esiste, l’anima? E il mondo stesso, si chiede Broks, non è forse un’illusione che ci costruiamo giorno per giorno?

Ci sono libri che hanno in sé il divino dono della leggerezza. In Libreria da non perdere assolutamente è “La felicità di Emma” di Claudia edito da Keller. Un titolo primaverile per portare il buonumore nelle nostre giornate, questo romanzo delicato, surreale e commovente su un’allevatrice di maiali tedesca e un ladro in fuga che farà tornare la voglia di credere negli incontri dettati dal destino.

Emma abita in una fattoria in Germania e alleva maiali. Vive in un’allegra sporcizia, indossa inguardabili vestagliette a fiori, parla con gli animali e guida un’enorme motocicletta.
Max è un asettico venditore d’auto con l’ossessione per la pulizia e ha appena scoperto che sta per morire.
Dal loro fortuito incontro nasce una storia dolcissima e feroce insieme che avvolge di leggerezza le cose pesanti, che non nasconde tutto ciò che di brutto può capitare ma lo stempera nell’abbraccio di Emma, l’amica bizzarra che tutti noi vorremmo incontrare in certi momenti della vita, con il suo sorriso, il suo spirito da bambina grande e le sue terribili vestagliette. E se da certe storie uno esce col sorriso, forse qualcosa vorrà dire.

Altro titolo che suggerisce leggerezza è “Quel che si vede da qui” di Mariana Leky nella traduzione dal tedesco di Scilla Forti, sempre di Keller. Un libro pieno di vita, calore e poesia, un libro positivo che si fa fatica a lasciare andare. In Germania è un caso editoriale, da due anni tra i più venduti e i più amati dai lettori, dai critici e dai librai. Uno di quei libri che rende felice chi lo legge, per niente sdolcinato e stucchevole o superficiale.

La storia è quella di Selma che vive in un paesino del verde Westerwald e può prevedere la morte. Ogni volta che in sogno le appare un okapi, qualcuno lì intorno muore nel giro di ventiquattr’ore, minuto più minuto meno. Tuttavia, i sogni non rivelano mai chi stia per morire. E come si può immaginare, nel lasso di tempo tra il sogno e il compimento del triste fato tutti vivono in uno stato di agitazione.Quel che si vede da qui è il ritratto originalissimo di un paese e della sua bizzarra comunità così come ce li racconta la piccola Luise, ormai di casa dalla nonna Selma visto che i genitori sono alle prese con un matrimonio che non funziona. Questo romanzo, poetico e toccante, è una fiaba dei nostri tempi e affronta i grandi temi dell’esistenza, l’amicizia, la perdita, l’amore inconfessato e quello che di fronte alle mareggiate della vita si muove per sentieri tortuosi. Come capita a Luise che, ormai cresciuta, si innamora del bel Frederik, il quale ha lasciato l’università per trasferirsi in Giappone in un monastero buddista. Con Mariana Leky veniamo catapultati in un universo insolito e meraviglioso, dove si vive a contatto con la natura in “una sinfonia di verde, azzurro e oro”, dove ogni gesto, ogni parola ripetuti dai protagonisti sono rituali che finiamo per attendere, pagina dopo pagina.

Il dialogo interiore di una ragazzina che parla di circo, clown e funamboli, ma anche di Dio è al centro del libro “Perché il bambino cuoce nella polenta” di Aglaja Veteranyi, Keller, nella traduzione di Emanuela Cavallaro.

Aglaja Veteranyi è ormai un’autrice di culto per i lettori nei paesi di lingua tedesca e in Francia. Figlia di circensi fuggiti dalla Romania e approdati in Svizzera dopo una vita di spettacoli in vari continenti si è presto dedicata alla scrittura con testi caratterizzati da uno stile unico e poetico, pieni di immagini e frasi memorabili. Il 3 febbraio 2002 si tolse la vita in riva al Lago di Zurigo a soli quarant’anni. Tradotta in numerose lingue, ha ottenuto importanti riconoscimenti letterari come l’Adalbert von Chamisso Förderpreis e il Kunstpreis Berlin. Una ragazzina che sogna a voce alta, scoprendo la vita e osservandola. Con un io narrante ironico e poetico. E una scrittura di cristallina precisione. Aglaja Veteranyi ci regala un libro toccante, pieno di suoni e frasi memorabili, un incanto in cui il lettore, come la protagonista, si muove tra candore e ironia, tra stupore e senso di una tragedia imminente e possibile. Un grande romanzo sull’infanzia, sulle famiglie, sui sogni e su ciò che sempre portiamo con noi.

Una storia intima e magica, sempre in bilico tra la luce abbagliante dei sogni e le ombre costanti della vita.Una lettura incantevole, colma di stupore e brillante ironia.
La piccola protagonista di questo magico romanzo è figlia di artisti circensi, la sua vera casa sono il tendone di un circo e le tante roulotte che cambiano di paese in paese. Suo padre è clown, acrobata e bandito, ma avrebbe voluto essere una star del cinema mentre sua madre, ogni notte, rimane appesa per i capelli sopra il pubblico e cammina nell’aria. È allora che lei ha paura e teme che alla madre possa accadere qualcosa di brutto.Solo la sorella maggiore riesce a distrarla da questo pensiero spaventoso, raccontandole un’antica favola romena, quella del bambino che cuoce nella polenta.
Attorno alla paura della ragazzina si alternano i viaggi, le avventure, le emozioni e lo scintillio festoso della vita circense, ma nei pensieri innocenti e colmi di poesia che riempiono le pagine di questo libro la realtà è ben diversa, tra padri che scompaiono, sogni di una casa fatta di mattoni e senza ruote, fughe e il desiderio di un benessere finalmente raggiunto.

Aglaja Veteranyi ci regala un libro toccante, pieno di suoni e frasi memorabili, un incanto in cui il lettore, come la protagonista, si muove tra candore e ironia, tra stupore e senso di una tragedia imminente e possibile. Un grande romanzo sull’infanzia, sulle famiglie, sui sogni e su ciò che sempre portiamo con noi.

Nello Zaino di Antonello: Decisioni difficili