di Federica Pergola

Federica

 

 

 

Nessuno è come qualcun altro

Foto di Federica Pergola
Foto di Federica Pergola

Pluripremiata protagonista del racconto breve, Amy Hempel insegna scrittura creativa a Princeton e Harvard. Arguti, spiritosi, spigolosi e graffianti, i racconti della Hempel rimandano al titolo di una di queste quindici brevi storie riunite in questa raccolta: Chicane. Che in lingua inglese significa: ”curva a esse”, come ben sanno i corridori e gli appassionati di Formula Uno. Ma anche: ”inganno”.

Perché sono storie tenere e crudeli insieme; piene di rivelazioni inaspettate; narrate con uno stile singolare, sempre in bilico tra il dolore della solitudine e l’affondo (amaro) nell’autocompatimento o nell’impossibilità di perdonare – e perdonarsi.

Figure alla deriva, donne ancorate a un passato (spesso neanche strettamente personale), incapaci di superare un dolore, un tradimento, un errore.

Piene di un disperato bisogno di amore

Dall’inizio alla fine, per fare tutto ciò che potevano fare, ci sarebbe voluto quanto…un mese al massimo? Ma per Syd era una storia d’amore simile a un film di cui non si ricordava il regista. Così la tiravano in lungo, e io passavo una settimana al mese nella casa al mare

O di un rancore lucido ma implacabile, come in Greed, dove una moglie- a conoscenza della relazione del marito con una donna molto più anziana di lui – sembra accettare la cosa con stoica rassegnazione finché la Hempel non ci stupisce con uno dei suoi istantanei, folgoranti colpi di scena…

Ma anche donne piene d’amore.

In “Un rifugio con tutti i servizi” una volontaria di un ricovero per cani si prende cura degli animali pur sapendo che il loro destino è, quasi sempre, la morte:

Mi conoscevano come quella che puliva le gabbie dalle cacche puzzolenti con la canna dell’acqua- e lo faceva con piacere. (…) Ci conoscevano come quelle che lavoravano gratis, quelle per cui un’ora trascorsa ad accarezzare un cane avvolto in una coperta che non ti toglieva mai la testa dal grembo e che sarebbe stato ucciso il giorno dopo, era tempo ben speso. (…) Mi conoscevano come quella che amava in loro ciò da cui rifuggiva nelle persone: il bisogno manifesto, l’attaccamento, la bramosia. (… ) Mi conoscevano come quella che aveva degli accessi d’ira e non sapeva come farseli passare, finché un cane non tirava fuori una palla da un angolo della gabbia e me la portava come per chiedere: A questo ci hai pensato? (…) Mi conoscevano come quella che interpretava il vanto cittadino di un rifugio “con tutti i servizi” per quello che era, cioè un posto che uccideva gli animali, dove “fra tutti i servizi” si offriva anche la morte (…) Insomma, non sto parlando di atti eroici, ma di un lavoro impossibile. Sono stata con loro nella sporcizia e nella paura, e poi ce li ho lasciati”

E poi c’è Cloudland, dove una donna cerca la sua strada ma non riesce a dimenticare la difficile scelta compiuta da adolescente: rinunciare alla sua bambina.

Ricordo di aver pensato: non ci sarà mai un momento in cui non ci penso. E avevo ragione. E avevo torto”

E infatti eccola. Raccoglie chili di kumquat per fare la marmellata; lavora come assistente sanitaria a domicilio; ascolta le storie dei suoi pazienti; e torna con la mente a quei giorni.

Buon anno” gridano tutti, ovunque tu vada.

Certo, starò al gioco: Buon anno, rispondo.

L’anno scorso era finito? E se fossi una che non sa quando una cosa è finita? Se fossi l’ultima che resta quando tutti gli altri sono usciti …se cercassi un segno ma il segno non viene. Oppure viene ma tu non lo vedi. E se dovessi prendere una decisione da sola e fosse un brutto colpo il fatto di poter contare solo su te stessa (…)

E’ il periodo dei biscotti delle Girl Scout, e davanti al supermercato c’è un tavolino coperto di scatole. Quest’anno c’è anche la variante senza glutine, al gusto toffee. Le due scatole che compro sono a quel gusto e la bambina a cui porgo i soldi è quella che ho dato via. Non tutte le bambine che vedo sono quella che ho abbandonato. Devo essere di cattivo umore perché questa certezza possa dirottare la mia giornata. Non tutte le bambine che vedo sono dell’età giusta, ma ciò non fa alcuna differenza. Sono passati chissà quanti anni e la vedo ancora – la bambina che non ho mai visto- ovunque io vada. Non ho mai fatto un elenco e non tengo il conto di quante volte la vedo. Ma accidenti, quanto va in giro”.

Ma anche questa storia ne contiene (almeno) un’altra: ispirato ad un saggio della giornalista canadese Bette Cahill, Cloudland infatti ritorna ad un orribile fatto di cronaca raccontato alla Hempel da Chuck Palahmiuk.

E quello che più affascina è che – a fronte di queste ingiustizie ed orrori quotidiani – lo sguardo non è mai rabbioso o rancoroso. E anche se la tenerezza che affiora è sempre inframmezzata da lucidità e humour nero; anche se il distacco e la ritrosia con cui racconta ci costringono ad un ulteriore sforzo interpretativo (a “leggere tra le righe della vita”) quello che resta, quello che alla fine conta, è una sorta di amara, antica saggezza.

Ho sentito che un uomo qui vicino ha comprato quattro ettari di foresta, e un mattino ha scoperto che la compagnia elettrica aveva disboscato una striscia di terra nella sua proprietà, aprendo un enorme varco fra gli alberi, per nessun motivo comprensibile. Ha minacciato di fare causa, e la compagnia elettrica gli ha risposto di accomodarsi. A un certo punto, sembrerebbe, occorre smettere di affezionarsi, e smettere di cercare di proteggere ciò che altri sono decisi a distruggere”

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Nessuno è come qualcun altro, di Amy Hempel, traduzione di Silvia Pareschi, Sem, pp.154, €17,00

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