di Antonello Saiz

Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo"
Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”

 

 

 

 

 

 

 

GIOVANISSIMI

Giovanissimi con A&A

In questi anni abbiamo parecchio usato il termine scrittorino. Accanto all’uso dispregiativo, in moltissimi altri casi, lo abbiamo trasformato in un modo amichevole per identificare amici scrittori di talento, bravissimi ma tanto, tanto giovani. Giovanni Bitetto, Alessio Forgione e Alfredo Palomba sono scrittorini davvero piccini solo per via della loro giovanissima età, ma talentuosi e siamo stati contenti di poterli ospitare in tre serate diverse e con lettori attenti e partecipi. Soprattutto contenti di poterli ospitare dopo che i loro romanzi erano finiti nelle posizioni alte delle Classifiche di Qualità de “L’Indiscreto”. Si trattava di due esordi potentissimi nel caso di Bitetto e Palomba e di una solida riconferma per Forgione. I nostri amici scrittorini, a dispetto della loro età, hanno non solo scritto tre libri tra i più belli e letterari pubblicati di recente ma hanno saputo animare tre serate dove si è spaziato anche nella grande letteratura.

Nel suo romanzo d’esordio,”Scavare”, edito nella collana “Incursioni” di Italo Svevo, Giovanni Bitetto, origini pugliesi, racconta le dinamiche di un’amicizia prima simbolica e poi conflittuale in un’originale narrazione fatta di ricordi, riflessioni e discorsi, che si dipana nel tempo di tutta una notte, quella del funerale del miglior amico della voce narrante.

Giovanni Bitetto, già affermato giovane critico letterario, è nato ad Andria nel 1992. Scrive per «The Vision» e ha collaborato con «Il Tascabile» e «L’Indiscreto». Suoi racconti sono apparsi su «effe – Periodico di Altre Narratività», «Nazione Indiana», «TerraNullius» e nell’antologia “Odi. Quindici declinazioni di un sentimento” (effequ, 2017).

Un’amicizia consumata dall’ambizione. L’irreparabilità della morte. Una notte per fare i conti con il proprio fantasma. Giovanni Bitetto, nel suo romanzo d’esordio “Scavare”, racconta un’amicizia, prima simbiotica, poi conflittuale, fra uno scrittore nichilista e un filosofo marxista, in un lungo monologo notturno. Scappati dalla crudeltà di un paese come tanti della provincia pugliese, dove l’unico modo per non soccombere è coalizzarsi contro i soprusi e le paure comuni, legarsi, anche carnalmente, contro gli scossoni che costellano la via dell’adolescenza, i due inseguiranno le rispettive ambizioni esistenziali, a discapito dell’antica amicizia, nell’ambiente accademico di Bologna. Ma tra i portici, le redazioni e le biblioteche di Bologna quel legame si corrode, perchè, in fondo, ogni amicizia nasconde il seme della rivalità. “Scavare” è un canto ossessivo, un lungo monologo rivolto al fantasma dell’amico defunto, che costringe il superstite a fare i conti con una distanza che soltanto la morte sembra in grado di colmare.

Sabato 22 febbraio è stata la volta di una serata intera passata a raccontare i due romanzi dello scrittore napoletano Alessio Forgione, in libreria in questi giorni con il suo secondo romanzo “Giovanissimi”, sempre edito da NN Editore. A dialogare con lui è stato uno strepitoso Jacopo Masini, un amico storico, capace di rendere sempre frizzante ogni presentazione ai Diari. Una Napoli non convenzionale protagonista della nostra serata ai Diari. La Napoli di un quartiere quella raccontata da Alessio Forgione: una città grigia e statica, come la vita di Amoresano, il protagonista del suo romanzo d’esordio o i quartieri periferici come la Soccavo di Marocco, il protagonista di questo secondo romanzo.

Nel nuovo romanzo, “Giovanissimi”, Marocco ha quattordici anni e vive con il padre a Soccavo, Napoli. La madre li ha abbandonati qualche anno prima, senza lasciare tracce né dare più notizie di sé. La sua assenza è una ferita aperta, un dolore sordo che non gli dà mai pace. La vita di Marocco ruota attorno agli allenamenti e alle trasferte: insieme a Gioiello, Fusco e Petrone è infatti una giovane promessa del calcio. Al liceo, invece, le cose non vanno affatto bene. Marocco preferisce starsene in giro con gli amici del quartiere o a casa a leggere Dylan Dog, piuttosto che andare a scuola e studiare. Ma due cose stanno per cambiare la sua vita: l’arrivo di Serena, che porta l’amore, acerbo e magnifico, e la proposta di Lunno, il suo amico più caro, che mette in discussione tutte le sue certezze.
Dopo l’esordio con Napoli mon amour, Alessio Forgione torna con un romanzo di prime volte. E ci consegna un mondo di ragazzini che crescono da soli tra desideri di grandezza e delusioni repentine, piccoli crimini e grandi violenze, in attesa di scorgere il varco che conduce all’età adulta.
Questo libro è per il primo uomo che è stato davvero sulla Luna, per chi sogna un’estate su una spiaggia solitaria, per chi infilava Dylan Dog nei libri di scuola fingendo di studiare, e per chi ha capito che l’amore, quando si presenta, rischia di trasformarci in nuvole: piccole forme delicate, semplici da distruggere.

Alessio Forgione è nato a Napoli nel 1986 e ha vissuto a Londra. Scrive perché ama leggere e ama leggere perché crede che una sola vita non sia abbastanza. “Napoli mon amour” il suo primo romanzo è stato vincitore del Premio Berto 2019.

Il Premio Letterario Giuseppe Berto per un’opera prima di narrativa è sorto nel 1988, su iniziativa di un gruppo di amici ed estimatori, critici illustri come Giancarlo Vigorelli, Michel David, Cesare De Michelis, scrittori come Dante Troisi e Gaetano Tumiati. Questi ultimi tra l’altro avevano condiviso con Berto oltre due anni di prigionia in Texas durante la seconda guerra mondiale. Scopo del Premio era ricordare e riproporre il nome e l’opera di uno scrittore che, nonostante i suoi grandi successi, è stato troppo spesso trascurato da una certa critica ufficiale a causa del suo straordinario anticonformismo.

Uscito nel settembre del 2018 il primo libro di Forgione ha avuto un immediato grande successo di critica e di pubblico. Definito da più parti l’erede di Raffaele La Capria e del suo Ferito a morte,è anche stato invitato a palazzo Donn’Anna a un Reading in presenza del grande scrittore napoletano. Oltre al Premio Berto il libro ha vinto anche il Premio Intersezioni Italia-Russia, menzionato dalla giuria del Premio Campiello e finalista al Premio Libro dell’anno di Fahrenheit. Al teatro Mercadante di Napoli dal 23 aprile al 3 maggio 2020 andrà in scena l’adattamento teatrale di Napoli non amour a cura di Mariano D’Amora con la regia di Rosario Sparno. Napoli mon amour sarà pubblicato in Francia dalla casa editrice Denoël e in Russia dalla casa editrice Ripol Classic.

Amoresano vive a Napoli, ha trent’anni e non ha ancora trovato il suo posto nel mondo. Le sue giornate passano lente, tra la vita con i genitori, le partite del Napoli, le serate con l’amico Russo e la ricerca di un lavoro. Dopo l’ennesimo, grottesco colloquio, decide di dare fondo ai suoi risparmi e di farla finita. Un giorno, però, incontra una bellissima ragazza e se ne innamora. Questo incontro riaccende i suoi desideri e le sue speranze: vivere, essere felice, scrivere. E incontrare Raffaele La Capria, il suo mito letterario. Ma l’amore disperde ancora più velocemente energie e risorse, facendo scivolare via, un centesimo dopo l’altro, i desideri ritrovati e le speranze di una vita diversa.Alessio Forgione racconta una Napoli afosa e livida di pioggia, cinerea come la Hiroshima del film. E con una lingua incalzante, sonora, intessuta di tenerezza, firma il suo esordio, un romanzo di formazione lucido e a tratti febbrile, che ha il ritmo di una corsa tra le leggi agrodolci della vita e i chiaroscuri dell’innocenza.
Questo libro è per chi ama l’odore dell’asfalto bagnato dalla pioggia, per chi si è tuffato nell’acqua di diamante del mare di Procida, per un primo bacio che suona come Brown sugar dei Rolling Stones e per chi ha capito l’immensità blu di perdere tutto, in un solo momento, come lasciare un bagaglio su un treno in partenza.

Martedi 25 febbraio avrebbe dovuto esserci la presentazione della casa editrice Wojtek ma tutto è saltato per l’emergenza sanitaria del Coronavirus. Ma ci tengo a segnalare i due libri che avremmo dovuto presentare e che meritano attenzione.

A moderare la serata sarebbe stato lo scrittore e poeta Andrea Donaera, uno degli Autori di “Vocabolario minimo delle parole inventate” sempre edito da Wojtek e vecchia conoscenza ormai ai Diari, dove oltre a presentare lo scrittore americano Dan Chaon, l’estate scorsa, e il “Quattordicesimo quaderno di poesia” di Marcos y Marcos a settembre, ha presentato il suo libro di successo “Io sono la bestia”.

Alfredo Palomba, classe 1985 è dottore di ricerca in letterature comparate e docente nella scuola secondaria. Ha collaborato al volume “Il romanzo in Italia. IV. Il secondo Novecento” (Carocci, 2018) e alla traduzione de “La letteratura in laboratorio”, a cura di Franco Moretti (Federico II University Press, 2019). Suoi articoli, saggi e racconti sono stati pubblicati su «CrapulaClub», «Verde», «I libri degli altri», «between», «Nazione Indiana». Il racconto “Okkupare” è nel “Vocabolario minimo delle parole inventate” (Wojtek, 2019). “Teorie della comprensione profonda delle cose”, segnalato dalla giuria del XXX° Premio Italo Calvino, è il suo primo romanzo.

Nel romanzo di Alfredo Palomba il ricordo di un’antica torre aleggia sulla città di Paesone e sulla Valle del fiume Scafato. Questo segno di un mondo remoto – un sogno, un’epifania, un varco – domina lo scenario in cui si muovono personaggi apparentemente lontani l’uno dall’altro: l’autore di un blog anonimo, un ragazzino geniale, un aspirante poeta, un tossicodipendente che crede di essere un cavaliere errante, un trentacinquenne disturbato. Irregolari e dissonanti, ciascuno diretto verso un personale orizzonte degli eventi, i protagonisti appaiono fedeli solo alla verità del loro stesso sguardo: come ammassi stellari, procedono esibendo le proprie certezze – la propria particolare geometria – “circondati da segni da decifrare e mettere insieme per provare a ricomporre il mosaico e acquisire una visione il più globale possibile, che riveli il senso, la teoria della comprensione profonda delle cose”.

Luca Mignola, classe 1982, nato a Pompei, cresciuto a Torre Annunziata, dal 2016 vive e lavora a Salerno. Co-dirige la rivista web «CrapulaClub». Suoi articoli e racconti sono stati pubblicati da «Cattedrale Magazine», «Pagine Inattuali», «Neutopia» e «Nazione Indiana». Autore de “L’educazione del Topo”, entrato nell’antologia Anatomè – dissezioni narrative, a cura di Antonio Russo De Vivo, Andrea Zandomeneghi e Literaria Consulenza editoriale (Ensamble, 2018) e di “Transkafkamento”, incluso nel Vocabolario minimo delle parole inventate, a cura di Luca Marinelli (Wojtek, 2019).

Nel libro di Luca Mignola in una città di confine, Juarez del Sud, si lotta per il potere. I contendenti sono grotteschi, malvagi, talvolta insignificanti: uomini e mostri che cercano, con la violenza dei gesti o con quella delle parole, di dominare la città. Ma Juarez del Sud è indomabile e ogni tentativo di abbracciare con lo sguardo le forze che la abitano è un aborto – ogni aborto una disperazione, ogni disperazione una vertigine del desiderio che spinge i contendenti a continuare a tentare. Ed è da uno sbuffo del desiderio che viene fuori una prospettiva, un altro luogo, la città impossibile: Janka sul confine, prima città dionisiaca della Storia. I racconti spingono per frammentarsi e moltiplicarsi: accade così una proliferazione di storie che vogliono parlarsi e che finiscono per generare versioni differenti e spesso contrastanti dello stesso evento. Così, ogni racconto del libro è una forma chiusa e a sé stante e allo stesso tempo una forma aperta e comunicante. Nei temi come nella forma Racconti di Juarez del Sud narra l’impossibilità e la necessità della costruzione. “Questo è il modo in cui accadono le cose, tutto si dispiega davanti agli occhi dell’osservatore, che non vede niente”.

E’ stato pubblicato nel giugno scorso e dentro ci sono ben 22 racconti di GIOVANISSIMI scrittori. Si intitola “Il vocabolario minimo delle parole inventate”, edito da Wojtek edizioni e curato da Luca Marinelli. Sono 22 racconti, 22 autori, e 22 parole inventate.
Un’idea geniale, un curatore preparatissimo, una casa editrice di grande qualità, e giovani scrittori che meritano di essere letti. Ci sono Emanuela Cocco, Alfredo Palomba, Andrea Zandomeneghi, Simone Ghelli, Simone Lisi, Francesco Quaranta e tantissimi altri scrittori, oltre ad Andrea Donaera che ce ne ha parlato Martedì 25 febbraio. In un colpo solo, e in un unico libro, si può recuperare quanto succede di interessante nell’editoria indipendente italiana. Questo Vocabolario raccoglie molti tra i più interessanti autori che in questi anni hanno fatto sentire la loro voce nel panorama vivace delle varie riviste cartacee o in web. Sono 22 Autori che mettono al bando i canoni e gli spartiti precostituiti della narrativa contemporanea in favore di una ricerca il cui oggetto principale è il linguaggio. Il curatore del progetto è Luca Marinelli, romano trapiantato a Palestrina. Ha studiato fisica e sceneggiatura ed è redattore di Verde Rivista, ha fondato il giornale di genere Guida Quarantadue e il blog di racconti Narrandom.

Di solito le parole sono gli strumenti che gli scrittori usano per creare e animare i loro mondi: mondi ancora inesistenti che si servono di parole esistenti per essere narrati. Nel ‘Vocabolario minimo delle parole inventate’ è come se questo rapporto si invertisse e i mondi degli scrittori, i loro racconti, diventassero il mezzo per dare vita a nuove parole: parole inventate che si servono di mondi immaginari per essere dette, scritte, narrate. Un esperimento letterario polifonico in cui ventidue scrittori italiani della litweb si confrontano in modo eterogeneo con il racconto di una parola da loro stessi inventata per comporre un nuovo lessico che rende esprimibile ciò che fino a un momento prima è stato inespresso.

Sempre a proposito di Giovanissimi da attenzionare un giovane autore per cui la casa editrice Alte Ego edizioni di Viterbo ha da poco pubblicato il suo ultimo romanzo dal titolo “I Buoni”. Il suo nome è Marco Ciotola ed è nato nel 1987, vive e tra Napoli e Roma ed ha già pubblicato in precedenza il romanzo Riscenziello (Rogas, 2016) e scrive su diversi giornali. Pubblicato a novembre scorso nella collana Specchi, il nuovo libro di Marco Ciotola è un romanzo da cui trapela ferocia persino dalla sua ironia. Un esasperato spianarsi la strada verso la morte, ma pensando alla vita che viene dopo.

Ha deciso che è la fine, Giuseppe, perché l’istinto di conservazione è venuto meno. Prima, però, ci sono delle cose da sistemare, delle persone da sistemare: i centosettanta chili di mamma Giovanna, spettatrice di vite altrui; il persistente sorriso impacciato del fratello Martino, incapace di stare al mondo; lo spettro di papà Mario, poeta fallito, scappato via anni prima, le cui rime dozzinali e patetiche continuano ad aleggiare per casa.Con l’aiuto di Dario – figura indecifrabile, con sprazzi di poteri paranormali – Giuseppe andrà ben oltre il lecito, mosso dall’obiettivo di mettere tutto in ordine per la sua famiglia, e farlo prima di una scadenza autoimposta.

A proposito di “giovanissimi” scrittori, segnaliamo anche una scrittrice di racconti ugandesi, autrice del bellissimo «Kintu» pubblicato da 66thand2nd . Il suo nome è Jennifer Nansbuga Makumbi ed è la vincitrice del Windham-Campbell Prize. La critica l’ha definita l’equivalente ugandese di «Cent’anni di solitudine», perciò aspettatevi sogni, credenze magiche, leggende e una famiglia alle prese con un maleficio da spezzare. “Kintu”, infatti, ripercorre la storia dell’Uganda raccontando cinque generazioni di una famiglia colpita da una maledizione. “Kintu” di Jennifer Nansubuga Makumbi ha la potenza dell’Odissea, la magia della Storia infinita, il fascino e la violenza dei racconti che si tramandano di bocca in orecchio nei secoli dei secoli.

All’alba del 2004, tra le baracche e gli acquitrini di Kampala, capitale ugandese, Kamu Kintu è prelevato da due funzionari pubblici per un interrogatorio. Ma una volta in strada, ammanettato come un ladro, verrà linciato dalla folla, pronta a trattarlo come «una cosa» priva di ogni umanità. Forse è solo un tragico scherzo del destino, oppure l’esito inevitabile presagito dal nome della vittima: in luganda Kintu significa cosa, ma designa anche il primo uomo della mitologia Ganda. All’origine di quel destino c’è un episodio accaduto nel regno del Buganda nel lontano 1750, quando il governatore della provincia di Buddu, Kintu Kidda, intraprese una pericolosa traversata per rendere omaggio al nuovo sovrano, l’usurpatore Kyabaggu. Nel viaggio però trovò la morte il figlio adottivo di Kintu, e da quella tragedia scaturì una maledizione che si ripercuoterà per secoli sulla sua stirpe. Sparpagliati nel paese, tutti i suoi eredi – l’inquieta Suubi, il vedovo Isaac Newton, il predicatore Kanani, la donna-generale Kusi, sorella di Kamu –, saranno uniti da un unico obiettivo: liberarsi dal fardello che si annida nel cuore di questa famiglia. Mescolando con sapienza leggende orali e credenze magiche a vivide scene di erotismo e violenza, Jennifer Nansubuga Makumbi ha costruito un’avvincente saga che è anche la storia di una nazione, l’Uganda – sorta di «Africanstein» creata in laboratorio dagli europei –, e una ricerca di senso nell’agire degli esseri umani, perennemente divisi tra intelletto e materialità

Nello Zaino di Antonello: GIOVANISSIMI