di Federica Pergola

Federica

 

 

 

Se la strada potesse parlare

Foto di Federica Pergola
Foto di Federica Pergola

Quanta dolcezza struggente in questa piccola storia d’amore raccontata come un brano blues.

In una New York degradata ed ostile, Tish e Fonny si conoscono fin da quando erano bambini.

“Adesso posso dirlo, perché adesso lo so con certezza, che la città non ci voleva bene. Ci guardava come se fossimo delle zebre – e, sapete, a certi le zebre piacciono  e a certi no. Nessuno però le vuole mai. E’ vero che non ho visto molte altre città , ma scommetto che New York deve essere la più brutta e sporca città del mondo. Deve avere i palazzi più brutti e la gente più cattiva. Deve avere per forza i peggiori poliziotti. Se c’è un posto peggiore vuol dire che è così vicino all’inferno  da sentire l’odore della gente che frigge. E, a pensarci bene, è proprio l’odore che c’è a New York l’estate.”

Attraverso lo sguardo e le parole di Tish, giovanissima e ingenua, ma ricca di una grande sensibilità, Baldwin fa evolvere la loro storia – dall’amicizia all’amore – mentre i salti temporali ci dicono che adesso, ora, Fonny è in prigione. Accusato – ingiustamente – di violenza sessuale ai danni di una portoricana. E Tish, adesso, ora, aspetta un bambino. E proprio adesso, mentre la madre e le sorelle di Fonny lo rinnegano, suo padre e l’intera famiglia di Tish sono pronti a tutto – ma proprio a tutto – pur di aiutarlo.

“Tempo: la parola suonava come le campane a morto di una chiesa. Fonny era in prigione: tempo. Tra sei mesi di tempo il nostro bambino sarebbe stato qui. Da qualche parte, nel tempo, Fonny e io ci eravamo incontrati; da qualche parte, nel tempo, ci eravamo amati; da qualche parte, non più nel tempo, ma ora, totalmente in balia del tempo, ci amavamo”

Perché infatti quello che manca alla società: calore, vicinanza, solidarietà, c’è invece in questa famiglia meravigliosa, che fa squadra ed avvolge Fonny nel suo amore.

“Il nostro riso in quella cucina, quindi, era la nostra risposta a un miracolo. Quel bambino era il nostro bambino, era in viaggio, la grande mano di mio padre sul mio ventre lo teneva e lo riscaldava: malgrado tutto quello che incombeva sulle nostre teste, quel bambino era la salvezza promessa. L’amore lo aveva mandato, spinto fuori da noi, per noi”.

Momenti di tenerezza dolcissima si alternano a lampi di crudeltà feroce, anche se filtrata da un sarcasmo esilarante (come avviene nel litigio con le donne della famiglia di Fonny)

“Immagino che chiamerai amore la tua azione lubrica” ha detto lei ”Io no. Ho sempre saputo che saresti stata la rovina di mio figlio. Hai dentro un demone- l’ho sempre saputo. Il mio Dio me lo ha fatto sapere molti anni fa. Lo Spirito Santo farà avvizzire quel bambino nel tuo grembo” (…)

“E chi” ha domandato la signora Hunt ”sarà responsabile di questo bambino?”

“Il padre e la madre” ho detto.

La signora Hunt mi ha fissata.

“Puoi giurarci” ha detto Frank” che non sarà lo Spirito Santo”

 

Adesso si tratta di far uscire Fonny di prigione. Si tratta di pagare un avvocato. Di rintracciare la donna che lo accusa. Di combattere. Di resistere. Soprattutto si tratta di continuare ad amare.

“E’ in prigione. Quindi eravamo lì, io seduta su una panca davanti a una tavola e lui seduto su una panca davanti a una tavola. L’uno di fronte all’altra a guardarci attraverso un muro di vetro…”

James Baldwin, saggista, drammaturgo, romanziere, è stato anche uno dei più autorevoli esponenti del movimento per i diritti civili. Nato e cresciuto ad Harlem, non ha mai smesso di riflettere sulla sua esperienza di uomo nero fra i bianchi e di lottare per l’uguaglianza razziale. Da questo romanzo Barry Jenkins (regista di Moonlight) ha tratto nel 2018 l’omonimo film premio Oscar per la migliore attrice non protagonista (Regina King).

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 Se la strada potesse parlare, di James Baldwin, traduzione di Marina Valente, Fandango Libri, pp. 212, €18,50

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