di Antonello Saiz

Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo"
Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”

 

 

 

 

 

 

 

La vivacità dell’editoria italiana

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Leonardo G. Luccone, quello che io chiamo il Principe dell’editoria, italiana è tornato a Parma ai Diari, ad un anno esatto dalla presentazione del manuale “Questioni di virgole”, per raccontarci del suo romanzo d’esordio “La Casa Mangia Le Parole” edito da Ponte alle Grazie. Tanta curiosità in libreria per un narratore al suo esordio letterario che in questi anni ci ha permesso di leggere alcuni libri al meglio delle loro possibilità e soprattutto conoscere tanti autori bravi e talentuosi. Leonardo G. Luccone è, infatti, agente letterario per Oblique Studio, lo studio editoriale fondato da lui nel 2005, che da anni offre anche uno dei migliori corsi formativi per redattori editoriali. Ha tradotto e curato volumi di scrittori angloamericani come John Cheever, F. Scott Fitzgerald, Percival Everett, Joy Williams, Robert Olen Butler, Christine Schutt, Heather McGowan, Mathias Énard. Ha diretto la narrativa delle edizioni Nutrimenti e la casa editrice 66thand2nd. Suoi articoli e traduzioni sono stati pubblicati sul “Corriere della Sera”, “Il Foglio”, “Satisfiction” e “Il Calendario del Popolo”. Nel 2018 ha pubblicato per Editori Laterza il manuale “Questioni di Virgole. Punteggiare rapido e accorto”. Il testo dedicato al modo approssimativo di scrivere di oggi è stato vincitore del Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica ‘Giancarlo Dosi’ edizione 2018.
Un silenzio irreale da parte dei tanti lettori presenti in libreria ha accolto questa presentazione molto più vicina ad una appassionata lezione sul Romanzo del novecento.

Trentuno dicembre 2011. L’ingegner De Stefano e sua moglie – per il mondo che li circonda una coppia ideale: belli, benestanti, di successo – sono sull’orlo della rottura ma non riescono a confessarlo ai genitori di lei e come ogni anno passano San Silvestro in loro compagnia. Emanuele, il figlio amatissimo e unico, sembra aver quasi superato la sua dislessia e avviarsi verso una vita finalmente felice. La Bioambiente, azienda romana specializzata in energie rinnovabili in cui De Stefano si accinge a ricevere un’agognata promozione, pare vivere un momento florido, e l’amicizia con il collega Moses, geniale ecologista italoamericano, può forse fornire una sponda al suo disordinato bisogno di cambiamento. Ma l’anno che sta per arrivare passerà sulle loro vite come un turbine, ne spezzerà ogni certezza e li cambierà tutti, per sempre. Comincia così, con un Capodanno pieno di non detti, il primo romanzo di Leonardo G. Luccone, che tiene assieme i temi del disagio privato, la decadenza di un’intera classe, il grande sfondo di una Natura che pare ribellarsi alle nostre insolenze e mostra tutta la sua impietosa potenza.

Leonardo G. Luccone ha curato, per 66thand2nd, anche una incredibile antologia di uno dei maggiori scrittori del Novecento, F. Scott Fitzgerald. Quest’antologia, la prima del genere e dal titolo “Fuori dai giochi. I racconti della grazia, dell’agonismo e del corpo”, raccoglie le storie di ambientazione sportiva scritte da Fitzgerald nell’intero arco della sua carriera. Panchine a bordo campo, allenatori, titolari e riserve, e poi tifosi, sudore, costumi da bagno, campioni in declino, fratture multiple, atleti, caddies, ginnasti: dai componimenti giovanili – dedicati principalmente al football – fino a quelli della maturità, l’autore non smise mai di scrivere storie attorno a queste tipologie di personaggi, oggetti, situazioni.

Quindici racconti, una poesia sul football, un ricordo di Princeton – patria della squadra dei Tigers – e un divertente profilo autobiografico in cui l’autore collega l’origine della propria carriera letteraria a una débâcle sul campo. “Fuori dai giochi” raccoglie in un unico volume i testi sportivi (compresi cinque inediti in Italia) che punteggiano la carriera di F. Scott Fitzgerald, confermando la sua inesauribile capacità di interpretare il proprio tempo. Atleta mancato, Fitzgerald ricavò dalle sfide e dai giocatori che aveva ammirato spunti e personaggi per la sua narrativa. E cosi dalle pagine di questa antologia emergono le forme e i corpi, di volta in volta esuberanti o imbolsiti, di campioni universitari, tifosi, caddie, nuotatrici e trapezisti, ma anche di ballerine, pianisti, impresari, stelle del cinema, che compongono il ritratto di una generazione in perenne attesa di un effimero stato di grazia, in una società febbrile travolta dall’ottimismo sfrenato degli anni Venti e poi dalla cupa depressione del decennio successivo. Dagli scritti giovanili, dedicati principalmente al football, fino a quelli della maturità – scrive Sara Antonelli nella postfazione -, Fitzgerald non ha mai smesso di scrivere di sport, che grazie alla penna di un autore ormai leggendario si trasforma in un “prisma attraverso cui raccontare l’America e i suoi eroi”.

Tra le mille cose di cui si occupa Leonardo G.Luccone, si deve assolutamente tener presente la curatela di questo libro dal titolo “Sarà un capolavoro. Lettere all’agente, all’editor e agli amici scrittori.” di F. Scott Fitzgerald. Pubblicato da minimum fax nel 2017, la traduzione delle lettere è di Vincenzo Perna, mentre la revisione della traduzione di Linda Martini.
Le lettere dell’autore del “Grande Gatsby”. Fitzgerald, anima infelice, tormentata, insonne, dannata come i suoi personaggi, scriveva ogni giorno per affrontare la vita che si gli presentava difficile. Scriveva con tenerezza, con rabbia, con humour, cercando di far quadrare quel cerchio impossibile che era la sua vita di uomo innamorato di una donna difficile e infelice, bella e dannata, esigente e snob, la sua Zelda.
Scott arrivava a scrivere fino a trenta lettere al giorno: ai suoi collaboratori, al suo agente, a personaggi celebri di cui cercava il sostegno. La voglia di diventare immortali, i debiti, l’amore per Zelda, il peso della scrittura e la scoperta del talento di Hemingway, rivale e confidente.
Le lettere di una vita (all’agente, all’editore, a Hemingway, a Zelda, a Scottie), una specie di autobiografia involontaria. E lì dentro il vero Fitzgerald: triste come i suoi giovani tristi, scrittore-operaio (“il lavoro è l’unica dignità”), perennemente indebitato (“odio cautela e avarizia”), ma pur sempre con un bicchiere pieno e un pigiama di ottima fattura, perché “vivere bene è la migliore delle rivalse possibili”.

Giovanissimo, Fitzgerald si pose tre obiettivi: sposare Zelda Sayre, scrivere libri di «valore perenne» e guadagnare un sacco di soldi per vivere «sopra gli schemi». Ma com’era veramente la sua vita? Un tripudio di feste, ville e sregolatezze? In questo libro sono raccolte le lettere che scrisse al suo editor Perkins, al suo agente Ober e agli amici scrittori – Hemingway, Wilson – che ebbero un ruolo cruciale nella sua esistenza; lettere che mostrano il ritratto di uno scrittore triste, fragile e solo, indefesso nella sua missione, un intellettuale che interveniva in tutte le fasi del lavoro editoriale dei propri libri e di quelli degli altri (fu accanito lettore di manoscritti, scout, editor), un talento immenso che in nome dell’arte si è sacrificato fino a consumarsi.

Luccone tra le tante altre cose è anche un fine traduttore, e tra i suoi lavori recenti questo libro di uno dei giganti della letteratura americana, John Cheever dal titolo “Birra scura e cipolle dolci” edito da Racconti edizioni. ”
John Cheever (Quincy 1912 – Ossining 1982) è stato il Cechov dei sobborghi americani e l’Ovidio di Ossining. Per i suoi racconti ha vinto il premio Pulitzer, il National Book Award e il National Book Critics Circle Award. E le sue opere hanno informato e modellato il mondo di Mad Men; non è un caso se Don Draper abita in Bullet Park Road a Ossining. “Birra scura e cipolle dolci” racchiude tredici racconti giovanili di John Cheever risalenti agli anni ’30: tra corse di cavalli, tentativi di cambiare vita, sotterfugi e apparenze che ingannano, emerge, con tutto il suo carico di contraddizioni, la provincia americana, dove anche i fallimenti di una vita intera ci regalano momenti di insolita grazia e ironia.

John Cheever scrive questi racconti tra i venti e i trent’anni. Sono short stories imbevute di idealismo e della sua necessaria scia di disillusione, giovanili eppure di uno scrittore già formidabile e formato, da principio pubblicate su riviste di sinistra con tirature risibili e poi via via su magazine sempre più alla moda come Cosmopolitan e Collier’s.
Non siamo ancora alle cronache minute di ciò che succede dietro i prati perfettamente falciati e le staccionate imbiancate di fresco, ma tra commessi viaggiatori al tramonto dei loro giorni di gloria e marxisti puritani che osservano gli altri bere e divertirsi mentre loro immaginano un’umanità nuova. Parteggiamo per la rivincita di una spogliarellista in là con gli anni e subito dopo assistiamo agli innumerevoli piccoli fallimenti di giocatori d’azzardo sempre alla ricerca di un’ultima opportunità, di un cavallo finalmente vincente e di una felicità mai raggiunta e sempre inseguita con la pervicacia di un baio adombrato.
È l’onda lunga della Grande depressione post ’29, un’America che va imparando il sapore della nostalgia per un’era mai vissuta e un’innocenza tutta da perdere. Cheever accarezza grazia e peccato, muovendosi tra case sfitte, inquilini che non pagano la pigione e torchi fermi da troppe stagioni. E così incontriamo zingari ubriaconi travestiti da pellerossa e cameriere disposte a ogni sgambetto pur di tenersi strette lavoro e dignità. Incontri che, come sostiene Christian Raimo nell’introduzione, ci ricordano perché vale la pena leggere.

Leonardo Luccone ha pure ideato e realizzato con IFIX, e la cura di Maurizio Ceccato, il magazine WATT che si è imposto come uno spazio innovativo e qualificato per la narrativa. Per ben tre numeri, con Maurizio Ceccato, ha portato avanti il lavoro di Watt nato proprio dall’esperienza di due realtà del mondo dell’editoria e della comunicazione – IFIX e Oblique Studio – che hanno deciso di portare avanti insieme un progetto innovativo e intraprendente, nato dall’esigenza di produrre qualcosa che incidesse nella realtà. Forte di una struttura e di una veste grafica straordinariamente sensibili alla contemporaneità, e capace di instaurare un’osmosi inedita tra sistemi segnici diversi, la rivista è divenuta un punto di riferimento e un autentico approdo per quanti amano immergersi nei mondi possibili della scrittura creativa. Tanti i nomi di autori che apprezziamo che ci hanno transitato da Laura Toffanello a Raffaele Riba, da Matteo Nucci a Sacha Naspini, a Davide Orecchio e Franzosini e Mario Pistacchio e Alessandra Sarchi.

Watt, la rivista-libro, un progetto editoriale dedicato al fumetto. Watt, dove narratori e illustratori sono stati chiamati a lavorare su un progetto comune, dimostra come parole e immagini siano diverse, due rette parallele destinate a non incontrarsi, che tuttavia possono avere insieme una forza narrativa affascinante.

Tra le recenti novità di questa settimana quella di una giovanissima scrittrice che è stata paragonata a Sally Rooney e Edna O’Brien e, per restare in casa NN, a Jenny Offill e Sara Baume, ma la verità è che “Acqua Salata” di Jessica Andrews ha una voce tutta sua, che la traduttrice Silvia Rota Sperti ha saputo rendere perfettamente. Dal 30 gennaio in libreria è possibile fare conoscenza con Lucy e rivivere insieme le tappe della sua vita.

Jessica Andrews è giovanissima e scrive fiction e poesia. È cresciuta a Sunderland e ha vissuto a Santa Cruz, Parigi, Donegal, Barcellona e Londra. I suoi scritti sono comparsi, tra gli altri, su The Independent, Somesuch Stories, AnOther, Caught by the River, Shabby Doll House e Papaya Press. Insegna Letteratura e Scrittura creativa e co-dirige la rivista letteraria The Grapevine, che dà visibilità agli scrittori emergenti. “Acqua salata” è il suo romanzo d’esordio ed è stato tradotto in tedesco, francese, italiano, spagnolo e greco.

La vita di Lucy è cambiata molte volte: con le sfuriate e le assenze del padre alcolizzato, con l’ansia e la pena per il fratello sordo, con la bellezza dei viaggi in Irlanda a casa del nonno. E sembra cambiare definitivamente quando si trasferisce a Londra, per studiare e per vivere lontana dalla provincia, libera da ogni legame. Ma appena laureata, Lucy volta le spalle a tutto: va in Irlanda, nel Donegal, nella vecchia casa che il nonno le ha lasciato. Si affida al cielo, al vento, al mare per ritrovare se stessa, e intanto la sua memoria si snoda in racconti brevi e impetuosi come corsi d’acqua. Rivive l’infanzia, il rapporto profondo che la unisce alla madre, gli amori sbadati, le grandi, fameliche ambizioni della giovinezza. Nel suo cammino verso l’età adulta Lucy ha scoperto ciò che non vuole essere. E sceglie di ricostruirsi altrove, su fondamenta fatte di ricordi. Brillante, ispirato, poetico, “Acqua salata” esplora la complessità dei desideri, la voglia di affermarsi e l’impossibilità di farlo rinunciando alle proprie radici; è il diario intimo e sincero di una giovane donna che si è persa inseguendo i sogni degli altri e che decide di fermarsi a recuperare i propri, cercando in se stessa la forza di ricominciare, senza rimpianti.
Questo libro è per chi si disegna le mappe stradali sulla mano prima di uscire, per chi avrebbe fatto carte false per un concerto di Pete Doherty, per chi beve succo d’arancia in un calice da champagne, e per chi ha scelto di perdere l’equilibrio scoprendo un mondo nuovo nell’ebbrezza della caduta, senza più rinnegare i propri desideri.

Un piccolo suggerimento di lettura finale “Troppo lontano per andarci e tornare” di Stefano Di Lauro, Exòrma edizioni.

Un racconto tra il surreale e la fantasia trasognata…. Siamo al circo in questo romanzo che vi ammalierà come una sirena bicaudata, e vi lascerà a bocca aperta come un lanciatore di torce fiammeggianti, vi terrà sospesi in aria come dei funamboli, vi farà viaggiare come una carovana di circensi.
Siete pronti a entrare nello chapiteau del circo Au Diable Vauvert?

Fulminea come un salto di balena, da un ripostiglio della memoria proruppe una frase: “Anche un’opera d’arte ispirata dalla disperazione nutre di vita l’animo di un uomo”.
Nounours, capelli biondini piuttosto sottili, iridi blu oltremare, cute glabra e chiara, un panama calcato sulla testa per proteggersi dal sole, vaga senza meta tra i boulevard di Arles rimuginando su arte e vita, su reale e immaginario, chiedendosi “cosa fare domani”. Un incontro fortuito lo porterà al piccolo circo Au Diable Vauvert che diventerà il suo porto sicuro, la sua famiglia. Il Diable è un microcosmo di esseri unici, dediti al culto della meraviglia, i cui nomi evocano la magia dell’arte, della “loro” arte itinerante, vissuta sulle strade di Francia fin-de-siècle tra sordide periferie punteggiate di vicoli ambigui e loschi e luoghi memorabili. Ognuno di loro si rivelerà a Nounours attraverso il racconto della propria esistenza.Tra le righe aleggia il fantasma di Montaigne che discetta sui dieci sensi, si intravede l’ombra di Melville evocata da Marcel Schwob, singolare e solitario spettatore di una delle loro rappresentazioni.

Nello Zaino di Antonello: La vivacità dell’editoria italiana