Il Capodanno, e di conseguenza i primi giorni del nuovo anno, sono la festa che più mi appartiene. Il tempo che si srotola in avanti, con il carico di promesse e desideri da realizzare, cose nuove da cominciare e cose già intraprese da portare a termine. Per il mio sguardo sempre verso l’orizzonte, avendo come scudo le esperienze passate, l’alba del nuovo anno è il momento in cui “sento” prepotentemente di esserci e di stare.
Non da sola, ma in buona compagnia. Quella dei libri, sicuramente. Ma anche di chi ai libri dà vita e vividezza: i lettori. Nel mio caso particolare, le lettrici “Comodine” che da qualche anno impreziosiscono alcune letture e le rendono uniche e speciali.
A loro ho chiesto di esprimere un augurio attraverso il titolo con cui hanno salutato il nuovo anno. L’augurio è rivolto a tutti voi, lettori veri più che forti come amo ripetere, perché è l’autenticità più che la forza dei lettori che vale la pena di sottolineare, con un rinnovato ringraziamento per esserci e stare in nostra compagnia sulle pagine liquide del blog.
CINZIA: L’augurio è quello di un anno in cui si sciolgano i nodi, in cui si aprano soluzioni e si semplifichino le cose complicate.
“Una vita come tante”. È quella del protagonista principale del romanzo di Hanya Yanagihara che mi ha accompagnata nel 2020. Dolore, rabbia, paure maturate durante un’infanzia priva di affetti e punti di riferimento e carica di sofferenze indicibili, costringono Jude, che pure è ricco di talento e qualità, all’isolamento e al silenzio delle emozioni. Si sentirà sempre sbagliato e colpevole al punto da infliggersi atroci autopunizioni. Eppure il bene e il bello non mancano intorno a lui. Fanno solo fatica a farsi spazio, ad essere accolti. Comprimari della storia una serie di altri personaggi, ciascuno con le proprie ambizioni, le proprie qualità, i propri difetti, a completare questo grande affresco di tipi umani. Sono i contrasti, le tinte forti a dare colore a questa storia. Come accade nelle vite di tutti. Ordinarie e straordinarie insieme.
FEDERICA: vorrei finalmente arrivare a guardare avanti e non indietro, stare nel presente, e vedere gli alberi cambiare colore con un animo sgombro da nuvole.
Comincerò il nuovo anno con “7” di Tristan Garcia, libro consigliato da Anna. Una nuova droga permette a chi la assume di rivivere il proprio se stesso della giovinezza. Chi non vorrebbe tornare indietro, se non altro per non rifare gli errori del passato e cambiare la direzione del proprio destino? Eppure il mio augurio è proprio l’opposto.
ROSAURA: Il mio augurio per il nuovo anno è di aprirsi sempre ad esperienze nuove, anche lontane rispetto al nostro pensiero, con animo positivo, perché sempre a qualsiasi età si può imparare qualcosa.
Ho terminato la lettura di “Un’Odissea” di Daniel Mendelsonhn. Il libro, in parte autobiografico, è un ritrovarsi tra padre e figlio. Daniel consente al padre Jay di seguire il suo seminario sull’Odissea. Settimana dopo settimana il matematico ottantenne prende posto tra le matricole del corso e con rigore etico-scientifico sfida gli insegnamenti del professore classicista, suo figlio. A semestre concluso il viaggio prosegue oltre le mura dell’aula, in una crociera a tema sulla via di Itaca. Daniel si scopre ora Telemaco, sulle tracce di un padre sconosciuto e inarrivabile, ora Odisseo alle prese con la fragilità dell’anziano padre Laerte.
MARIA S: Il mio augurio per il nuovo anno è di cercare nei libri sempre una risposta alla curiosità perché la lettura è una cosa meravigliosa!
Inizierò il nuovo anno con “Pizzica amara” di Gabriella Genisi perché è un noir ma anche un romanzo che racconta il Salento, una terra per me delle origini a cui mi sento molto legata. Una terra bellissima ma oscura, che nasconde sotto la lucida facciata platinata segreti percepibili ma inaccettabili, come la stessa autrice, anche lei pugliese, evidenzia col suo lavoro di indagine documentale alla base del romanzo. Mi incuriosisce anche la protagonista: una giovanissima carabiniera androgina dal temperamento ribelle. Sarà una nuova accattivante Tataranni?
ADRIANA: L’augurio che rivolgo a me e a tutti voi è che ci sia sempre qualcuno che scelga un libro per noi, pensando a noi e trovando qualcosa di noi in quel libro.
Il passaggio di testimone nel lasciare l’anno vecchio accogliendo quello nuovo è avvenuto tra due libri per me molto importanti: quello che in questo Natale io ho scelto per mia figlia e che ho appena terminato, “L’anno in cui imparai a raccontare storie” di Lauren Wolk, e quello che lei ha scelto per me, “Tralummescuro. Ballata per un paese al tramonto” di Francesco Guccini.
A parte l’amore che li lega, questi due libri sono accomunati dall’avere due copertine meravigliose che, casualmente, si ritrovano ad avere anche elementi comuni come il colore giallo, che inonda in un crescendo la prima nelle diverse gradazioni e occupa il centro della seconda, quasi a voler dire qualcosa.
“L’ anno in cui imparai a raccontare storie” è un bel romanzo ambientato in America nel 1943 con uno sguardo da oltreoceano ai due conflitti mondiali. È un romanzo non solo sul bullismo, ma anche sul senso della giustizia, minato dalla paura e dal pregiudizio.
“Tralummescuro. Ballata per un paese al tramonto” è invece un romanzo sul ricordo, sulle radici, su Pàvana, piccolo paese tra Emilia e Toscana, dove sorge il mulino di famiglia dell’autore. Questo centro è ormai quasi disabitato, ma un tempo era “laborioso e vivo, terra dura ma accogliente per chi la sapeva rispettare”. Molta cura è stata posta nella “continua ricerca delle parole giuste per nominare ricordi, cose, persone”.
Non so quanto questa lettura mi coinvolgerà, ma i presupposti sono sicuramente promettenti.
PATRIZIA: Che sia un anno che in cui si riscoprano le emozioni semplici, che viviamo ogni giorno, alle volte non soffermandoci.
Inizierò il nuovo anno, leggendo “Dopo ogni Abbandono” di Brunella Schisa. Narra di una donna di fine cinquecento, giornalista e scrittrice paladina dell’emancipazione femminile, donna bella e dalla personalità affascinante che in un’epoca in cui il mondo era dominato dagli uomini, suscita non poco chiacchiericcio. Mi intriga il racconto di questa donna che viene ferita con un colpo di pistola dal proprio amante. E questo suscita giudizi spesso non favorevoli. Da vittima diventa colpevole, per il solo fatto di essere libera. In fondo il mondo non è cambiato molto.
DONATELLA: Il mio augurio è che, con il nuovo anno, si impari ad andare oltre le apparenze, acciuffando il proprio destino e riscoprendo i valori dell’onestà e dell’inclusione.
Una prosa complessa, fluida e al tempo stesso incalzante, caratterizza “La versione della Cameriera”, primo volume della trilogia di West End, uno dei libri con cui ho inaugurato le mie letture del 2020. Cupa è l’atmosfera, che Daniel Woodrell scolpisce con affilata sagacia, in cui i personaggi letteralmente affiorano uno ad uno sullo sfondo sfocato di una realtà, delineata con pochi e leggeri tratti e fatta di dolore, emarginazione, soprusi e disperazione, che costituisce la cifra dello stile “country noir” di Daniel Woodrell. La narrazione prende le mosse dal dodicenne Alex, a cui la vecchia nonna Alma, cameriera per cinquant’anni delle famiglie ricche della città, racconta le vecchie storie di cui è a conoscenza, come quella inquietante dell’esplosione della sala da ballo in cui morirono molte persone, tra le quali l’amata sorella Ruby. Non un vero giallo, dunque, ma un romanzo affascinante sulla famiglia, l’ipocrisia e il destino.
DINA: Il mio augurio è quello di non fermarsi alle apparenze, ma di analizzare i dettagli, di non lasciarsi trascinare dalla massa, ma di leggere la realtà con pensiero critico.
Sto leggendo “Santa Evita”, perché mi interessa approfondire la conoscenza con questa donna che ha fatto innamorare l’Argentina. Ho già letto “Kamchakta”, “Purgatorio” e “La scomparsa di Josef Mengele” e volevo leggere ancora di questo Paese.
MARIA N: L’ augurio è che ciascuno possa trovare “l’ Elisir” della vita.
Inizierò questo nuovo anno con il “Elisir d’amore” di Eric-Emmanuel Schimtt che mi è stato regalato proprio da una comodina. Un libro in cui due persone, dopo un amore travolgente si separano e cominciano una corrispondenza improntata sull’amicizia. Ma ci può essere amicizia dopo aver condiviso un amore appassionato e profondo? Mi aspetta una lettura appassionante e travolgente.
ANNA: Che il libro sia di buon auspicio per i miei “viaggi” futuri.
Ho ricevuto in dono a Natale, dalla mia amata e cara Maria Chiara, il libro ” I vagabondi” di Olga Tokarczuk vincitore dell’International Man Booker Prize 2018 e dopo aver terminato “Le Nuove Eroidi” che pure mi è piaciuto tanto, ho pensato di cominciare il nuovo anno con questo libro formato da numerosi micro-racconti, anche slegati, il cui tema centrale è il viaggio declinato in tutte le sfaccettature. Un libro sorprendente, intrigante, enigmatico, interessante, con struttura, frastagliata e dispersiva, come forse lo è la vita dei vagabondi. Parla del viaggio ma non lo esalta, non è il classico romanzo. Ma già dopo le prime pagine resti intrappolata nei racconti e non riesci a distaccartene.
MARGI: auguro a me e a tutte voi, e chissà magari a tutte noi insieme, di viaggiare molto in questo 2020. E di farlo come mi insegna questo libro: non guardandoci intorno ma arrivando al cuore di quello che scopriamo viaggiando. Meravigliandoci, bussando per farci aprire se una Chiesa è chiusa o un giardino è privato. Perché ci ricorda Josè il lusitano, la felicità ha molte facce. Viaggiare probabilmente è una di queste.
Viaggio. Che non è una semplice azione, bensì un caleidoscopio di avventure, emozioni e, solo dopo azioni. Seppur in tragico arretrato con le letture Comodine, ho deciso di regalarmi ad inizio anno un incipit letterario che è un “ re incipit “, ma anche un meraviglioso auspicio per me stessa. “ Viaggio in Portogallo” di Josè Saramago. Lo avevo comprato al mio ritorno dalla terra lusitana, entusiasta e meravigliata come avevo immaginato dovesse sentirsi in ogni pagina del libro il protagonista di Saramago. Ma ad ogni riga la lettura si faceva più immersiva, fantasmagorica, lisergica. Ho interrotto la lettura come si interrompe quando qualcosa ci sta carpendo ogni fibra del nostro essere. Non era quello il momento. La vita non me lo aveva lasciato fare. Il 31 dicembre alla ricerca di un libro che serviva a mio marito, eccolo lì, riemergere dalle carceri della mia disordinata e affollata libreria da camera (certo perché ne ho una da salotto, una da corridoio, una da studio ed una da camera). Riaprire quel libro è stato come sentire di nuovo il profumo delle spezie botaniche nel mercato, irradiarsi dei tramonti sul Tago dalla torre di Belèm, respirare l’odore forte dell’Oceano che violento sbatte sulle coste di Cascais. Il Portogallo di Saramago viaggiato (permettetemi la licenza grammaticale) da Saramago non racconta di mezzi di locomozione, di piatti tipici o di appunti da turista. No perché il turista trova. Il viaggiatore – che nemmeno ha un nome nel libro, ma è lo stesso Saramago – scopre. E racconta storie, leggende, aneddoti, retroscena che solo un maniacale viaggiatore riesce a scovare.