filo-rossoL’idea di parlare, nel senso nobile e largo della parola, mi pare cosa preziosa e da coltivare, specie di questi tempi dove, come scriveva Brecht, anche discorrere d’alberi è quasi un delitto. Gettare ponti di parole tra persone è un modo non banale per rompere i perimetri angusti del vivere ai margini della “provincia dell’Impero.” Nei grandi spazi, di certo, si respira meglio, anche perché la “provincia” resta essenzialmente un fatto mentale (difatti io vivo bene nella mia piccola città). Insomma qualcosa accadrà, come in ogni viaggio. Allora si può andare, con bagaglio leggero, in viaggio con Liborio. E andiamo, tra vita, morte e miracoli. Andare in viaggio con Liborio sarà sempre molto suggestivo. Per il luogo si seguirà il filo rosso: da qualche parte porterà.

Che modo bellissimo di cominciare il Chiacchierando: le parole di Remo Rapino sono viatico e promessa. Bonfiglio LiborioIl romanzo “Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio”, edito da minimum fax , era partito da subito sotto i migliori auspici, quelli di Fabio Stassi che mi ha invitato alla lettura del romanzo. Non posso che complimentarmi vivamente con l’autore al suo esordio letterario, per come ha saputo attraversare il secolo breve in soggettiva, con una voce così naturale e carica di ingenuità. Ma ancora di più per la lingua che comprensibile e chiara ha un riscontro oggettivo e mimetico con i pensieri del protagonista e rende veri sia personaggi che vicende.
Un libro straordinario, e vivo, vitale, vivace.

Il filo rosso lo tendo a tutti i lettori, caldeggiandoli a mettere pietre nei proprio giubbotti (chi leggerà il romanzo capirà) e a incamminarsi con me e Remo Rapino sulle tracce di Liborio, per scoprirne la vita, la morte ma soprattutto i miracoli.

Liborio Bonfiglio, o meglio Bonfiglio Liborio, nasce nel 1926, attraversa tutto il Novecento e si trova catapultato con un vecchio giubbotto dalle tasche riempite di pietre per non essere portato via dal vento, nel secondo millennio.
Con uno sguardo ingenuo e autentico vive le intemperie e i miracoli del Secolo Breve, alla ricerca di un senso a ciò che gli vortica intorno e alla pazzia che lo circonda.
Attraversa l’Italia da sud a nord e poi nuovamente da nord a sud, alla ricerca di un posto che diventi la sua casa.

Cosa ha più valore nell’esistenza di Bonfiglio Liborio: la vita, la morte o i miracoli?

remo_rapinoGiuditta, gettiamo i primi passi sui sentieri liboriani. In via preliminare: Liborio esiste o non esiste? La scrittura non può essere mai e soltanto un meccanico rispecchiamento della realtà. Piuttosto una linea di confine con l’immaginario che sempre nel reale va a radicarsi o dal reale nasce. Nel momento in cui scriviamo, e leggiamo, noi facciamo esistere e diamo nomi alle cose. Liborio, in ogni caso, vive la terra. Questo il primo miracolo. Vita, morte e miracoli condividono lo stesso spazio. Un miracolo la vita di Liborio, così segnata e così vissuta, la vita che dura di più se lento si fa il gesto della scrittura. Sarà un miracolo anche la sua morte alla fine di quella grande festa finale, solo sognata eppure vera, e forse, alla fine, come per miracolo vedrà finalmente il colore degli occhi di suo padre. Liborio parla, ci parla, e scrive come parla, e scrivendo ci ricorda il Liborio che respira dentro ognuno di noi. La storia di Bonfiglio ci ricorda l’importanza umana della necessità della diversità (anche le eresie sono necessarie, diceva San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi, Oportet et haereses esse!), quindi il gesto di accogliere l’altro, di ascoltare il grido di un tempo storico e drammatico, di spezzare il pane in due e dividerlo. Di fronte al decadere progressivo di una civiltà chi è fuori dal margine: Liborio o noi? Chi il Cocciamatte?

 

Più ancora che gli eventi storici, nel romanzo è dato grande spazio ai luoghi, soprattutto d’interni: la casa di Liborio che a tratti funge da nido e a volte da patria, soprattutto quando Liborio è lontano; la fabbrica; il bordello; il manicomio. Poi certo anche le piazze, i portici, le città e soprattutto il paese. Liborio li vive, ma nello stesso tempo ne cerca e riconosce il senso e il valore con un sentimento pieno di umanità e di dignità. Dell’uomo. Del lavoro. Della solidarietà umana. Luoghi che non escludono una sorta di ribellione di fronte a quello che Liborio avverte come sopraffazione o ingiustizia. Liborio si concede cinque cattiverie rivoltose, che lasciamo scoprire al lettore nel loro essere uno sberleffo al mondo e alla realtà che spesso non ha nulla di desiderato.

Che significa per Bonfiglio Liborio la ribellione: atto di eroismo o di cattiveria?

 

“Così mò mi metto buono ad aspettare qua dove sto, inchiovato a questa sedia spagliata, tutta di legno storto e fracico, fuori dal mondo come se è la fine del mondo. E vediamo che deve ancora succedere. Ma scine, vediamo che cazzo succede”.

remo_rapinoRibellione: atto di eroismo o di cattiveria?  Non farei troppe distinzioni. Liborio è un intreccio paradossale di sensazioni, sentimenti, rabbia, rassegnazione, altro ancora. Le cattiverie rivoltose (in verità cinque, e se inespresse molte di più) sono esercizi di ribellione, rappresentano un modo di riconquistarsi, di tornare ad appartenersi, tentativi di entrare/ rientrare a far parte della comunità umana e sociale. In luoghi e tempi diversi, quasi un grido di Prometeo contro le divinità di una presunta normalità. In tal senso Liborio si fa soggetto etico, anche al di là delle sue intenzioni. L’affermazione finale (“Ma scine, vediamo che cazzo succede”) a ben leggere, rappresenta tutto questo: una sfida fino alla fine, un paradosso dove la fragilità tramuta in forza. Certo, come scrivi, anche un atto di sberleffo in faccia al mondo. La conferma di quanto scriveva il buon vecchio Hegel nei suoi Lineamenti: “… l’uomo più odioso, un delinquente, uno storpio, un ammalato sono pur sempre uomini… Il positivo, la vita, esiste malgrado il difetto ed è questo positivo che bisogna considerare.” A suo modo anche il vecchio Liborio è un filosofo fuori dai libri, un eroe senza lapide.

 

Non voglio svelare nulla dell’eccentrica personalità di Liborio, perché è uno di quei personaggi che ti entrano dentro dalle prime righe:

Mò, quelli là, gli altri, tutta la gente di sto cazzone di paese, vanno dicendo che sono matto. E mica da mò, che me lo devono dire loro, quelli là, gli altri, tutta la gente di sto cazzone di paese che sono matto. Pure io lo so, e sempre ci penso, notte e giorno, d’inverno e d’estate, ogni giorno che il Padreterno fa nascere e morire, con la luce e lo scuro, ci penso, che c’ho sempre pensato per vedere di capire come mai sta coccia mia da quasi normale s’è fatta na cocciamatte, tutta na matassa sgarbugliata fuori di cervello.

con l’arguta e innocente consapevolezza di ciò che si è, ma anche di ciò che si vorrebbe essere. Tutta la vita di Liborio si consuma in uno struggimento d’amore, che parte dall’assenza del padre di cui vorrebbe almeno conoscere il colore degli occhi per appurare se, come diceva la madre, fossero simili ai suoi; all’amore amaro per Giordani Teresa, a quello tragico, quasi filiale per Balugani Teresa, e infine a quello fuori tempo per la Sordicchia.

Quale capriccio del destino impedisce a Liborio di coronare un sogno d’amore e di realizzare la “normalità” familiare che non l’ha mai caratterizzato? O forse il mancato coronamento familiare  è una forma di libertà che finisce per contraddistinguerlo?

remo_rapinoPuò accadere che i sogni si sognino soltanto e che non si realizzino come vorremmo, come avremmo voluto. A volte è bene che restino sogni per dare un senso ai giorni. Ogni esperienza esistenziale di Liborio è sempre e in ogni caso esperienza d’amore verso tutto e quanti lo circondano (la madre, il nonno, il padre sconosciuto, il maestro, i compagni della fabbrica, le Terese della sua vita, i matti, altri ancora…). La luce della lampada può spegnersi per la troppa sovrabbondanza dell’olio (cfr. Carlo Michelstaedter, “La persuasione e la rettorica”). È  quanto accade a Liborio, definibile, secondo la tradizione contadina, un vero e proprio asino del bellamore. La vita di Liborio è tutt’un aprile e aprile è il mese più crudele generando lillà dalla terra morta (T.S.Eliot, “The waste land”). Forse, così, Liborio conquista frammenti di libertà, ma è la stessa degli uccelli rinchiusi nella voliera, che s’illudono di essere liberi nel volo, ma la voliera, quantunque possa essere grande, li imprigiona in ogni caso. In una vita, caratterizzata da Segni neri, giusto e logico che sia così: Amore e felicità, alla fine, sono come orizzonti: li vediamo, andiamo verso di loro, ma più ci avviciniamo e più s’allontano. Come le rayon vert di Eric Rhomer. E vale non solo per Liborio. Già è stato detto: Liborio respira e cammina in ognuno di noi. 

 

Non so decidere se mi è piaciuto più leggere il tuo romanzo, o leggere queste tue risposte. Fabio Stassi mi scrive: “Liborio va di diritto a iscriversi nel censimento dei grandi idioti che hanno sempre popolato la letteratura, da Don Chisciotte al Principe Miskyn. Un’eredità importante perché letteraria e non narrativa.”

“Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio” ha, infatti, una consistenza letteraria, per lo spessore del protagonista, per la tenuta narrativa della focalizzazione interna e per la lingua, capace di generare un mondo, reale e introspettivo nello stesso tempo.

A quale famiglia letteraria appartiene Liborio? Ce l’ha un padre? e chi sono i suoi fratelli?

remo_rapinoTi rispondo con un allegato sull’anagrafe liboriana e dintorni, pubblicato su Minima&Moralia: “Myskin e altri idioti, Appunti per un’ipotesi anagrafica”. Spero che, in qualche misura, possa essere sufficientemente utile.

 

Siamo giunti all’ultima domanda.

Grande cura e particolare novità il tuo romanzo presenta sul versante della lingua. Non un semplice esperimento linguistico, ma qualcosa di più profondo e strutturato.
La lingua non solo diventa protagonista del romanzo, al pari dei personaggi, ma ha una valenza introspettiva fortissima: da un lato far entrare il lettore nei pensieri e nell’immaginario di Liborio, fino a condividerne riflessioni e meditazioni, stati d’animo e sensazioni; dall’altro rendere l’immediatezza e la spontaneità del protagonista e fare sì che diventi patrimonio del lettore. Un paradosso vincente: attraverso una lingua ricostruita e “artificiosa” ottenere l’effetto dell’autenticità della scrittura e della narrazione, dei personaggi e delle vicende, enfatizzato dall’ottica interna al personaggio con cui ogni vicenda viene vissuta.
Quali regole hai seguito nell’articolare e formalizzare la grammatica di Liborio? Che cosa racconta la lingua del tuo romanzo e delle intenzioni con cui lo affidi al lettore?

remo_rapinoÈ stata una bella chiacchierata, la tua, la mia, quella di Liborio e di altri che hanno ascoltato. Tra l’altro mi pare di aver scoperto altri aspetti nascosti tra le mille storie di Liborio che, alla fine, fanno una sola storia. Non molte le regole per dar voce alla grammatica liboriana. Semplicemente seguire una sorta di flusso di coscienza e l’uso di un dialetto contaminato dalla lingua italiana (di solito è il contrario!).  Strumenti linguistici ed espressivi molto approssimativi, fragili, precari, solo personali, come a dare il senso della precaria fragilità del protagonista. Il libro è dettato da Liborio e chi scrive scrive come Liborio parla. Insomma Liborio è anche una lingua, è un secolo di storia, un soggetto filosofico, colui che cerca (Der Suchende, come dice Herman Hesse del suo Siddharta). Cerca per ritrovarsi e lo racconta nel solo modo che sa: con la lingua della madre, della sua terra. Lingua ancora viva e non omologata. Forse piacerebbe a Pasolini. Io mi sono tenuto discretamente sulla soglia, vedendolo uscire, andare, tornare. Così anche Liborio è il sale della terra, la sua parlata è un inno alla diversità, alla bellezza dell’io che parla con l’altro e si fa l’altro: Liborio deve parlare così, come pensa, come vive, come fanno tanti vecchi dei nostri vecchi paesi, ancora liberi seppur per poco ancora, dalle antenne globalizzanti. In fondo dice a chi vuole ascoltare Fate come me se volete salvarvi. Almeno un po’. Questo, semplicemente, il suo messaggio.

Chiacchierando con… Remo Rapino
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