di Antonello Saiz

Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”
Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”

 

 

 

 

 

 

 

TUTTI UGUALI

I librai Alice e Antonello con la scrittrice Ornela Vorpsi, ospite della libreria "Diari di bordo" a Parma in uno scatto di Emiliano Zampella
I librai Alice e Antonello con la scrittrice Ornela Vorpsi, ospite della libreria “Diari di bordo” a Parma in uno scatto di Emiliano Zampella.

Possiamo parlare lingue diverse, nascere in paesi diversi e avere un passato diverso. Ma siamo tutti uguali. Tutti uguali! Non solo nei diritti, ma anche nel sentirci felici o disperati. Tutto questo ce lo ricordano molto bene i libri che presentiamo su Giuditta Legge questa settimana, a partire dagli incontri avuti in libreria ai Diari.

Sabato 23 novembre, ad esempio, all’interno del Mese della Cultura albanese organizzato dagli amici di Scanderbeg Parma abbiamo fatto un incontro preparatorio al 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle Donne, ospitando l’artista di fama mondiale Ornela Vorpsi. Siamo partiti dalla vita delle Donne nel loro quotidiano per fare il racconto di una nazione intera attraverso il suo libro “Il paese dove non si muore mai”. Abbiamo deciso di presentare questo romanzo di Ornela Vorpsi pubblicato nel 2005 perché, purtroppo, ci sembra sempre attuale. In una società che reprime la libertà individuale, le donne diventano un bersaglio facile. Se si espongono alla vergogna, sono vittime della violenza della comunità. Se vogliono sopravvivere, devono piegarsi a regole spietate e disumane. Questo ci insegna il romanzo della scrittrice albanese. Un romanzo limpido e duro, che racconta quanto, soprattutto per le donne, sia difficile difendere la propria libertà. Siamo in Albania, sotto la dittatura. Un paese dove una ragazza bella è considerata facile. Dove l’affetto di una madre o di una nonna passa attraverso un’educazione ferrea, perché chi è fragile non sopravvive. In un paese pieno di contraddizioni come l’Albania comunista di Enver Hoxha succede che gli uomini per strada possono permettersi di mangiare con gli occhi le ragazzine mentre le donne in casa le abituino a sentirsi in colpa, sbagliate, puttane, pur non avendo fatto nulla di male.
“Nel paese dove non si muore mai”, per le donne la morte è invece sempre presente. Muoiono in seguito ad aborti domestici oppure impiccandosi insieme a un’amica, con un filo elettrico che i bambini usano per giocare. O si annegano in un lago, per una storia d’amore disperata. Gli uomini spariscono soltanto e non vengono sepolti; forse sono stati fucilati, o forse no.
Esordio letterario nel 2005 con Einaudi, “Il paese dove non si muore mai” di Ornela Vorpsi è uno dei libri capofila di una nuova generazione di scrittori immigrati e segna l’approdo sulle nostre coste di un accento nuovo, irripetibile, sensuale e sconvolgente. “Il paese dove non si muore mai” è di nuovo disponibile nelle librerie italiane, pubblicato questa volta dalla vivacissima casa d’edizione Minimum Fax, che riporta nei nostri scaffali una piccola perla letteraria abbellita da una copertina delicata e provocatoria che aggiunge un tocco di piacere anche visivo a una lettura sempre molto intensa e coinvolgente. Questo libro d’esordio, è stato tradotto in diciotto paesi e da noi le valse, tra gli altri, il Premio Grinzane Cavour opera prima, il Premio Viareggio Culture europee, il Premio Vigevano, Premio Rapallo opera prima, il Premio Elio Vittorini opera prima.

Nel paese dove non si muore mai, dove il corpo è forte come il piombo, le donne spariscono e gli uomini, invece, finiscono in prigione per aver osato dire che al mercato non si trovavano più patate. Eppure, in un mondo ferocemente maschilista, le ragazze crescono robuste, indistruttibili, tra il culto di Madre-Partito e quello della verginità, circondate da madri, nonne, zie, professoresse che sono al tempo stesso severissime e amorevoli, guardiane di un rigido matriarcato domestico. Siamo in Albania, terra di polvere e fango, ai tempi della dittatura, ma il paesaggio di Ornela Vorpsi è un territorio letterario per eccellenza: metaforico, universale, un compendio tragico della condizione femminile e umana in ogni parte del mondo. Con una lingua simile a un bisturi, in un italiano adottato come si adotta una speranza, Ornela ci racconta l’antieducazione sentimentale di tutte le donne in mezzo alla violenza e alla solitudine, le loro storie di puttaneria e vergogna, di proverbi e cucine seminterrate.

Ornela Vorpsi, nata a Tirana, classe 1968, è fotografa e pittrice e videoartista. Nel 1991 si è stabilita a Milano per studiare Belle arti all’Accademia di Brera. Dal 1997 finisce gli studi a Parigi, dove risiede tuttora. Ha pubblicato la monografia fotografica Nothing Obvious (Scalo 2001). Ricordiamo anche “La mano che non mordi” (Einaudi 2007; Premio per la letteratura di viaggio l’Albatros città di Palestrina, Premio letterario nazionale città di Tropea), Bevete cacao Van Houten! (Einaudi 2010), e Fuorimondo (Einaudi 2012). È stata segnalata tra i 35 migliori scrittori europei nell’antologia Best European Fiction curata da Aleksandar Hemon (Dalkey Achive Press 2010). Per nottetempo sono stati pubblicati “Viaggio intorno alla madre” nel 2015 e “Vetri rosa” nel 2006.

Dicevamo che per Nottetempo, nella collana Sassi era stato pubblicato nel 2006 il suo secondo libro “Vetri Rosa”, un libricino che contiene alcuni brevi racconti, collegati tra loro dalla stessa protagonista narrante e scritti con lo stile incisivo e la prosa originale e creativa di “Il paese dove non si muore mai”. Nelle ultime pagine una serie di sue fotografie. Una plaquette, un volumetto con una maggiore forza introspettiva e che potremmo considerare complementare al capolavoro. Attraverso una serie di pensieri e illusioni e comportamenti, apparentemente insignificanti, e giochi erotici dell’infanzia tra quattro bimbe albanesi, e pure attraverso Dante Alighieri si contribuisce a comprendere in maniera originale un paese e una realtà non ancora nota nella sua complessità, come quella dell’Albania degli ultimi decenni.

Questo libro non si può definire né un racconto (ma lo è), né una serie di racconti (forse lo sono): è un raccontare, che si muove intorno all’infanzia e all’adolescenza albanese, alle amiche, ai giochi sessuali, alla solitudine infantile, all’amore, alla rivalità, alla morte. I vetri rosa sono pezzetti di vetro attraverso cui guardare la propria vita da dietro la morte, una specie di caleidoscopio in cui la vita riappare desiderabile e inspiegabile. “Niente fa male, contemplo solo come da bambini si contemplano i disegni luminosi e geometrici che crea il movimento del caleidoscopio nelle mani. Preferisco quando la geometria dei disegni è bagnata dal colore rosa. Dai vetri rosa”.

Con “Viaggio intorno alla madre”, sempre per Nottetempo, la Vorpsi sceglie il francese per proseguire la sua indagine sulle emozioni e sulla scrittura. Il libro esce in Italia nel 2015 con traduzione di Ginevra Bompiani e Benedetta Torrani. La sua penna risulta essere essenziale e tagliente come quella di Grace Paley, affrontando un argomento scomodo come quello del cambiamento della sessualità con la maternità. Viaggio intorno alla madre è un romanzo scomodo e struggente, con una madre, protagonista, spregiudicata e libera fino all’incoscienza, con un’altra madre scomoda alle spalle, e un carico di complessità. Un romanzo che è una indagine di esplorazione sulle contraddizioni della maternità e sulle emozioni di una donna. Una storia sull’amore materno e la passione con lo stile tagliente con cui la Vorpsi ci ha abituato nei suoi libri, “dove ogni parola brucia come un tizzone ardente”.

Katarina è una madre in pena per il figlio febbricitante. La sua preoccupazione è che l’indomani, quando arriverà il suo amante, non le sia possibile lasciare il bambino al nido. Forse una Tachipirina e una pastiglietta di Lexotan lo terranno a bada? Ci troviamo subito non tanto davanti a un dramma della coscienza, quanto alla coscienza della forza del desiderio, del tempo che passa, della natura esigente e crudele dell’amore, che mette a nudo la relazione insondabile tra madre e figlio. Il romanzo comincia la notte e finisce la sera successiva, quando Katarina va a riprendere il bambino al nido e torna a casa piena di propositi effimeri. “Viaggio intorno alla madre” è un romanzo scandaloso e struggente, un romanzo che “brucia”, dove ogni parola scopre un tizzone di verità difficile da toccare. Ornela Vorpsi esplora i paradossi dell’amore materno, della passione e della tentazione con un’intensità grave, quasi religiosa.

Martedì 19 Novembre la professoressa Mariolina Bertini ha tenuto ai Diari di bordo una lezione su Honoré de Balzac a partire dal libro “Il figlio maledetto”, edito da Marsilio nella collana I Fiori Blu, con una sua traduzione e una magnifica introduzione di Alessandra Ginzburg. Mariolina Bertini ha insegnato letteratura francese all’Università di Parma. Ha curato edizioni di Proust e di Balzac per Einaudi, Bollati Boringhieri, Mondadori, Sansoni e Suhrkamp. È autrice di Introduzione a Proust (Laterza 1991), Proust e la teoria del romanzo (Bollati Boringhieri 1996) e Incroci obbligati. Romanzo, ritratto, mélodrame (Unicopli 2010). È stata vicedirettore del mensile «L’Indice dei libri del mese» e nel 2018 ha pubblicato nei Chiodi di Pendragon “Torino piccola”.

Honoré de Balzac (1799-1850), dopo i primi tentativi letterari, è editore, tipografo, industriale incorrendo in un catastrofico fallimento finanziario. Tornato alle lettere, conosce subito un grande successo di scandalo grazie alla Fisiologia del matrimonio (1829). Autore alla moda, collabora a riviste, scrive novelle e romanzi (tra cui La pelle di zigrino, Louis Lambert, Eugénie Grandet, La duchessa de Langeais). Nel 1835 pubblica Papà Goriot, romanzo nel quale tornano personaggi già presenti nelle opere precedenti: è questa l’idea che presiede alla Commedia umana, grandioso mosaico costituito da 92 tessere. Tra i suoi numerosi capolavori successivi, vanno almeno ricordati Illusioni perdute, Splendori e miserie delle cortigiane, La musa del dipartimento.

Nel romanzo siamo nel pieno delle guerre di religione,e, in una notte di tempesta, Jeanne de Saint-Savin dà alla luce un bambino fragile e delicato. Il marito – un uomo d’armi rude e brutale – rifiuta di riconoscere quel figlio tanto dissimile da lui. Étienne, il «figlio maledetto», crescerà esiliato in una capanna in riva all’oceano; dialogherà con le onde, con i fiori e con le stelle, e sarà votato a un destino di amore e di morte. In questo singolare racconto, scritto tra il 1831 e il 1836, Balzac si muove alla ricerca di suspense e di atmosfere da romanzo gotico, e al tempo stesso si immerge in riflessioni sorprendenti sulla natura del pensiero e delle passioni, sui rapporti tra energia e materia. Questa edizione illumina di nuova luce un testo poco conosciuto che pure ispirò a Baudelaire i versi di Benedizione sull’infanzia del poeta: «Sotto la protezione invisibile di un Angelo, / il Figlio diseredato s’inebria di sole, / e in tutto ciò che beve e in tutto ciò che mangia / ritrova l’ambrosia e il nettare vermiglio. / Gioca col vento, parla con la nube, / s’inebria cantando della via della Croce, / e lo Spirito che lo segue nel suo pellegrinaggio / piange a vederlo lieto come un uccello dei boschi».

Durante la serata Mariolina Bertini ci ha raccontato anche di un Saggio uscito per Carocci Editore nella Collana Saggistica – Lingue e letterature straniere, dal titolo “L’ombra di Vautrin. Proust lettore di Balzac”. “L’ ombra di Vautrin. Proust lettore di Balzac”, pubblicato a marzo scorso, è in ordine di tempo l’ultimo, interessante, saggio di Mariolina Bertini che, dopo averci regalato tante pagine splendide sui due grandi romanzieri francesi, fa luce in questo caso sui rapporti esistenti tra l’autore della Commedia umana e quello della Recherche, rintracciando i segni del precoce interesse di quest’ultimo per il primo e mostrando tutta l’importanza dell’influenza esercitata da Balzac sulla poetica e sull’immaginario proustian

Gli ultimi dieci anni dell’Ottocento sono un momento cruciale per la fortuna di Balzac: è allora che comincia ad essere definito unanimemente “il padre del romanzo moderno”. Proprio in quegli stessi anni esordisce con articoli, poesie e traduzioni Marcel Proust, più sensibile inizialmente al fascino del simbolismo che al realismo della Commedia umana. Già però in Jean Santeuil, il romanzo incompiuto cui lavora dal 1896 al 1900, Proust comincia a riflettere su quel grande decifratore della storia che è stato Balzac. Negli anni successivi, ne studia da vicino la scrittura, riproducendola in esilaranti pastiches: lo stile di Balzac, a differenza di quello di Flaubert, gli appare impuro, perché incorpora frammenti di realtà non elaborati artisticamente. Come avviene che questa “impurità” di Balzac, in un primo tempo criticata severamente, diventi poi per Proust una sorta di modello, non teorizzato, ma operante nella creazione della Ricerca? E che ruolo svolge in questo processo la grande figura del trasgressore Vautrin, il fuorilegge omosessuale che domina, con i suoi poteri misteriosi, la Parigi balzachiana? È quel che cerca di ricostruire questo volume, seguendo il filo che collega sotterraneamente l’ergastolano Vautrin all’aristocratico Monsieur de Charlus, arbitro dell’eleganza nella Parigi di Proust.

Mercoledì 20 novembre, serata importante di libri e vita e migrazioni e accoglienza alla libreria Diari di bordo presentando il libro, edito da minimum fax, vincitore dell’European Union Prize for Literature 2019: “E Baboucar guidava la fila” di Giovanni Dozzini, un’iniziativa della Commissione Europea volta a promuovere la lettura a livello europeo valorizzando scrittori emergenti attraverso canali tradizionali e digitali e proprio la commissione europea finanziava questo Tour con alcune tappe nelle scuole. La mattina all’interno della Biblioteca Ilaria Alpi,150 ragazzi dell’Itis Volta avevano partecipato all’incontro promosso da noi innescando appassionate discussioni politiche, le stesse avvenute in libreria la sera. Non era mai accaduto, in tanti anni, di vedere tanta partecipazione e domande all’autore e poi alla fine tutti in piedi ancora a discutere e a dire la propria come accadeva nelle sezioni di partito decenni fa. Eravamo, invece, in una libreria, ed è stato molto bello vedere quel grado di partecipazione e coinvolgimento intorno al tema delle migrazioni e dell’accoglienza.

Un libro scritto dalla prospettiva di chi arriva in questo paese carico di belle speranze, una favola per adulti che racconta la precarietà e la provvisorietà della vita di quattro richiedenti asilo che hanno attraversato l’Africa e il mediterraneo per arrivare sin qua. In un momento storico così complesso e denso di tensioni razziali, questo piccolo libro diventa uno spunto profondo di riflessione per i lettori, sollecitati dalle continue sfide quotidiane per la sopravvivenza dei quattro migranti in un piccolo viaggio da Perugia al mar Adriatico. Uno spunto per capire che l’accoglienza è il riconoscimento di un diritto e non una concessione pietistica. Alle prese con la burocrazia e nel tempo bloccato dell’attesa qui si racconta, senza retorica, una storia che racconta di chi verso l’Europa migra alla ricerca di una vita pacifica, normale e, magari, felice.

Baboucar, Ousman, Yaya e Robert sono quattro richiedenti asilo arrivati in Italia dopo avere attraversato mezza Africa e il Mediterraneo. Sono sospesi tra la speranza che la loro richiesta venga accolta e l’ansia di essere respinti. C’è chi aspetta la prima udienza di fronte alla Commissione territoriale, chi il ricorso in primo grado al tribunale, chi invece ha ottenuto una protezione sussidiaria e per un po’ può andare avanti senza troppe ansie. Un fine settimana decidono di prendere un treno che da Perugia li porterà verso l’Adriatico. La meta è la spiaggia di Falconara Marittima e il viaggio è scandito dagli incontri, dalle ossessioni di ognuno e dall’altalenante rapporto con la lingua italiana. Sono quarantott’ore di piccoli avvenimenti: multe, bivacchi, visioni, la finale degli Europei di calcio, qualche litigio. Due giorni in cui i quattro amici si ritroveranno sempre a camminare, in fila indiana, lungo le strade della provincia del Centro Italia. E Baboucar guidava la fila è una favola senza morale, che affronta il tema delle migrazioni scegliendo di raccontare quello che viene dopo le traversate, la normalità inafferrabile di una vita dignitosa che segue ogni approdo e tutto quello che questa normalità contiene: le paure, i desideri, la rabbia, le nostalgie, riuscendo a ottenere alla fine quella particolare risonanza poetica che hanno soltanto le cose vere.

Giovanni Dozzini, classe 1978 è nato a Perugia. Giornalista e traduttore, suoi articoli sono stati pubblicati su Europa, Huffington Post Italia, Pagina99, OndaRock. È tra gli organizzatori del festival di letteratura in lingua spagnola Encuentro. Ha scritto altri tre romanzi: Il cinese della piazza del pino (Midgard 2005), L’uomo che manca (Lantana 2011) e La scelta. Quest’ultimo, edito da Nutrimenti, nel 2016, lo avevamo segnalato a proposito della memoria della Shoah e del ruolo della letteratura nel portare il lettore a confrontarsi con la Storia. Un romanzo importante, questo uscito per Nutrimenti, capace di intrecciare una vicenda poco nota, al di fuori dall’ambito locale, per investigare sulla necessità di una coscienza collettiva nel rapportarsi alla tragedia. Si racconta di un intero Paese dilaniato e diviso nell’estate del 1944 con la crudeltà recrudescente degli occupatori in progressivo ritiro verso nord e gli effetti del dramma in una piccola isola sul lago Trasimeno che accoglie la fuga di alcuni ebrei scampati alla deportazione.

Nel giugno del 1944 l’Italia è divisa in due. I tedeschi continuano a dettare la loro legge spietata di occupatori, ma gli alleati li costringono a ritirarsi progressivamente verso nord. Nel cuore del paese, poco sopra la linea del fronte, uno sparuto numero di ebrei scampati alla deportazione ha trovato rifugio su un’isola. Gli abitanti del villaggio affacciato sul lago Trasimeno conoscono alcune di quelle persone nascoste lassù al Castello, che a volte si sono spinte giù al borgo. Ma finora la guerra ha risparmiato quel piccolo pezzo di terra circondato dall’acqua, e i tedeschi hanno fatto la spola, di tanto in tanto, solo per prendere del pesce dai pescatori.
Una mattina, però, un drappello sbarca e con un pretesto inizia a perquisire casa dopo casa. La tragedia si consuma improvvisa: a causa di un tafferuglio i soldati uccidono due civili e, per reazione, uno di loro viene colpito a morte. I tedeschi se ne vanno ma è certo che torneranno. Agli isolani non resta che compiere la scelta: attendere o scappare. E ancora, consegnare gli ebrei sperando di sottrarsi alla rappresaglia, o fare ciò che è umanamente giusto: aiutarli a salvarsi.
Ispirandosi a un fatto realmente accaduto ma sconosciuto fuori dai confini locali, Giovanni Dozzini scrive un romanzo storico dall’andamento epico, una trama corale di umanità ed eroismo.

A cura di Giovanni Dozzini e sempre sul tema delle migrazioni e dell’accoglienza è uscito anche questo bellissimo libro di racconti per la casa editrice Aguaplano del nostro amico Davide W. Pairone dal titolo” A casa nostra, lontano da casa”.
I racconti sono di Pierpaolo Peroni, Giovanni Pannacci, Riccardo Meozzi, Caterina Venturini, Chiara Santilli, Stefano Baffetti, Gianni Agostinelli, Paola Rondini, Eugenio Raspi, Pasquale Guerra, Giovanni Dozzini, Antonio Senatore, Marija Strujic.

Migranti, sradicamento e Umbria sono le tre parole chiave che guidano questo progetto editoriale ideato e curato da Giovanni Dozzini nell’ambito e col sostegno del Corciano Festival: tredici racconti di altrettanti autori umbri – o che in Umbria hanno deciso di vivere e lavorare – che insieme compongono un mosaico, un collage di storie, visioni e personaggi uniti dal comune senso dello spaesamento e dell’alterità. Un’antologia di sradicati: lo è il senegalese che attraversa mezza Africa e mezzo Mediterraneo per approdare sulle coste siciliane, lo è l’albanese arrivato da poco a rimorchio di un padre o una madre o uno zio, lo sono i ricchi turisti inglesi innamoratisi dell’Alto Tevere o del Trasimeno al punto da comprarci casa e trasferirci tutta la famiglia, lo sono gli studenti del Meridione venuti a Perugia per l’Università e che non se ne sono più andati… Un’antologia che ci dice molto non solo su cosa sia oggi l’Umbria ma anche su cosa sia oggi in generale la provincia italiana, di gran lunga il grosso del corpo del Paese; su cosa sia in sé e in rapporto alle dinamiche sociali, politiche e culturali che l’hanno investita negli ultimi decenni.

Tra le ultime novità in libreria, questa settimana segnaliamo per Exòrma edizioni, “Baco” di Giacomo Sartori.
Giacomo Sartori (Trento, 1958) è agronomo, e vive a Parigi. Autore di racconti e poesie, ha pubblicato i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015) e Sono Dio (NN Editore, 2016).Alcuni suoi romanzi e racconti sono tradotti in francese, inglese e tedesco. È membro del blog collettivo Nazione Indiana.

Il cielo è in tilt e rovescia giù un acquazzone tropicale da cambiamento climatico, di quelli che sfondano i tetti e che anticipano guai: nell’ex allevamento di polli si respira un’atmosfera futuribile e al contempo di rovina incipiente: tutta la famiglia è impegnata in una resistenza sconclusionata, mentre le cose sfuggono puntualmente di mano. È l’epoca dell’intelligenza artificiale, la nostra. Con un nonno anarchico, un padre transumanista e una mamma che adora le api e che non c’è, il ragazzino, sordo profondo e con un corpo che gli va dove gli pare, cerca il modo di affrontare quel mondo silenzioso e frastornante che lo circonda. Non ha abbastanza parole nella testa per metterci dentro tutto quello che pensa.Parla con i segni, perché a lui le parole vere e proprie non gli vengono bene. Senza contare che le parole vogliono sempre far credere quello che fa comodo a loro. Segna al nonno quando lui lo porta con sé a dissotterrare i vermi da studiare al microscopio. Segna al fratello geniale impegnato a progettare rivoluzionari circuiti integrati e algoritmi. E segna alla madre, che non può rispondergli. A lei, relegata nel silenzio, nessuno racconta mai nulla. Solo lui lo fa, solo lui pensa che presto tornerà a spalancare i suoi occhi più verdi degli smeraldi.Tra stufe a trucioli che si gestiscono da sole, arnie intelligenti, venefiche multinazionali, entità digitali e reti neurali, anche il suo amico Baco impara in fretta, ha un sacco di idee su come far andare le cose. Vive nascosto come un macroanellide, interviene continuamente in tutto, abilissimo a scatenare situazioni scomode e veri disastri.

Nello Zaino di Antonello: TUTTI UGUALI