di Antonello Saiz

Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”
Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”

 

 

 

 

 

 

 

PERSONE

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Ecco che arriva la pioggia: A&A in uno scatto di Emiliano Zampella

Martedì 5 novembre ai Diari abbiamo presentato in una serata stracolma di gente il libro “Bisognava provarci. Parma e la malattia mentale: dal manicomio ai servizi territoriali” un volume di Progetto Itaca Parma. Durante la serata molto appassionate ed apprezzate sono state le letture di due grandi amici della libreria come Resi Alberici e Raffaele Rinaldi che hanno dato voce a pazienti e medici.
Il libro è un’appassionante ricerca storico-antropologica, firmata da Valerio Cervetti, Ilaria Gandolfi e Paola Gennari ed edita da Grafiche Step, sul ruolo altamente originale e innovativo svolto dalla città emiliana nel movimento che a livello nazionale ha portato alla legge 180/1978 e alla nascita dei servizi territoriali per la salute mentale.

“Bisognava provarci” è la storia di Giordana, che al manicomio di Colorno ci è nata; di Mauro, che lì ha fatto l’infermiere e ora è la sua famiglia; e di Loredana, che quando seppe che l’Ospedale avrebbe chiuso, pensò: Santo Dio e adesso? Come faremo? È la storia di Giacomo, Vincenzo, Corrado, Maria: giovani psichiatri con la voglia di cambiare il mondo, poco più che ventenni, catapultati nella bocca del leone, costretti a cercare una via di fuga dall’orrore dei reparti. È la storia di Stefano, che per evitare un TSO una notte ricoverò una Moto Morini; e di Carla, che ancora oggi ricorda i sorrisi sdentati del suo Luciano… “Bisognava provarci” è la storia di Mario; di quando pensò: Io li porto a casa! e delle strategie con cui riuscì a farlo per davvero. Delle sue telefonate a Marcella, alle sei del mattina, e di quando insieme forzarono le cose fino all’azzardo. È la storia di Franco, che seminò a Colorno ma volò quasi subito a Trieste; di Ferruccio, che silenzioso e instancabile ne prese il testimone… e di tanti, tantissimi altri.
“Bisognava provarci” è la storia dell’Ospedale Psichiatrico di Colorno e della città (della comunità) che seppe chiuderlo. Immaginandosi una risposta diversa alla malattia mentale: mai del tutto formulata, mai del tutto compiuta. Su cui ancora oggi si interroga. Perché non c’erano (e non ci sono?) ricette pronte, armi segrete, libretti di istruzione. Perché nessuno sapeva davvero come, ma bisognava provarci.
Il volume si apre con un’introduzione a firma di Pietro Pellegrini, Direttore del Dipartimento Salute Mentale e Dipendenze Patologiche dell’Azienda USL Parma, seguita dalla sezione “I matti esistono davvero: la memoria dei pazienti”: qui Paola Gennari raccoglie i ricordi di alcuni anziani ex pazienti dell’ospedale psichiatrico e dei loro famigliari, nel tentativo fornire ai lettori il punto di vista dei primiprotagonisti di questa storia. Ne emerge una serie di ritratti “senza filtro” eccezionalmente vividi ed emozionanti.
Valerio Cervetti, storico, è l’autore della seconda parte, intitolata “Dal manicomio al territorio: la storia”, in cui si dà spazio ad un ricco racconto – basato su una minuziosa ricerca d’archivio e sullo studio dei moltissimi contributi già prodotti sul tema – del rapporto tra Parma e la malattia mentale: dall’apertura della prima “Casa dei pazzi” nella centralissima Via D’Azeglio, a fine Settecento, al trasferimento nel Palazzo Ducale di Colorno un secolo dopo, fino alla nascita del movimento anti-istituzionale, alle battaglie di Mario Tommasini, alla direzione di Franco Basaglia e poi di Ferruccio Giacanelli, con le nascita dei servizi psichiatrici territoriali e delle strutture esterne, e infine alle legge 180 e la chiusura definitiva del manicomio, avvenuta negli anni Novanta.
Nella terza parte del libro, “Nella bocca del leone: testimonianze dal movimento” la giornalista Ilaria Gandolfi raccoglie le interviste ad alcuni protagonisti del movimento anti-istituzionale (psichiatri, assistenti sociali, infermieri, amministratori, volontari, storici, cooperatori) con l’obiettivo di lasciar emergere, quando non evidenziare, le molte – e molto diverse – anime che lo composero.
La quarta parte del volume ha il pregio di proporre un contributo inedito di Antonio Slavich, uno dei più stretti collaboratori di Franco Basaglia sia a Gorizia che a Parma, dove lavorò dalla fine degli anni Sessanta fino all’estate del 1971, prima di divenire direttore dei servizi di Salute Mentale di Ferrara.

Sabato 9 novembre è stata la volta de “Le cose imperfette”, LiberAria Editrice, di Gianni Montieri. Con l’autore ha dialogato Alessandro Raveggi.
Gianni Montieri è nato a Giugliano (Na) e vive a Venezia. Ha pubblicato: “Avremo cura” (2014) e “Futuro semplice” (2010). Suoi testi sono inseriti nella rivista “Argo”, e nella rivista “Versodove”; sue poesie sono incluse nel volume collettivo “La disarmata” (2014). È tra i fondatori del laboratorio di scrittura Lo squero della parola e scrive su “Doppiozero”, “minima&moralia”, “Huffington Post”, “Rivista Undici” e “Il Napolista”. È redattore della rivista bilingue “THE FLR”, è nel comitato scientifico del Festival dei matti.

“Le cose imperfette” è un libro sulle persone e sulle loro storie: note o sconosciute, amici, donne e uomini mai incontrati, vivi o morti che siano. Alcuni hanno un nome, altri non ce l’hanno, tutti hanno un volto, tutti quanti fanno memoria.I migranti, la donna amata, gli affetti familiari, Roberto Bolaño, David Bowie, Stefano Cucchi, David Foster Wallace, Silvina Ocampo, Milo De Angelis, Michele Mari, gli altri sono le cose imperfette e ognuno di loro è un pezzo del tempo che ci rimane. Un libro fatto di asfalto e mare, di divani e sedili di treni, di molte cose sconosciute. Tre capitoli con una domanda sul futuro, una sulla fortuna che abbiamo e nessuna risposta, come se la marea, nel suo ritrarsi, avesse lasciato una scia di occhi, volti, mani e parole che le poesie hanno raccolto.

Un libro, “Le cose imperfette”, sulle persone e sulle loro storie. Una di queste è Silvina Ocampo (1903-1994), scrittrice argentina geniale e affascinante che piacque a tutti i grandi, da Borges a Calvino. Poetessa di valore, ottima traduttrice è soprattutto autrice di racconti, con otto raccolte e quattro libri per l’infanzia, oltre a dieci libri di poesie. Oggi è riconosciuta come un classico della letteratura di lingua spagnola.
In libreria ai Diari di Silvina Ocampo abbiamo “Chi ama, odia”, l’unico romanzo scritto a quattro mani con un’altra figura imprescindibile del panorama letterario argentino, il marito Adolfo Bioy Casares, protagonisti, assieme, della scena letteraria di Buenos Aires dagli anni Trenta in poi.

Una giovane traduttrice di romanzi gialli viene trovata morta nell’Hotel Central di una località di villeggiatura, Bosque del Mar, mentre l’albergo è completamente isolato a causa di una tempesta di sabbia. Giocando col genere poliziesco e con innumerevoli riferimenti letterari, gli autori costruiscono la classica trama in cui «l’assassino è tra di noi». Mentre un improvvisato investigatore – il medico omeopatico Humberto Huberman – si incarica delle indagini, i sospetti vengono fatti abilmente ricadere ora sull’uno ora sull’altro dei villeggianti. Divertente e imprevedibile, Chi ama, odia è un gioiello ritrovato, in cui, come racconta Francesca Lazzarato nella postfazione: «Bioy e Ocampo non solo scrivono in continuo dialogo tra loro, con le proprie letture, con l’invisibile e onnipresente Borges, ma non smettono di interpellare i lettori».

Sempre di Silvina Ocampo, della casa editrice La Nuova Frontiera, abbiamo il romanzo “La promessa”, portato a termine tra il 1988 e il 1989, assediata dalla malattia che oscurò gli ultimi anni della sua vita. Il romanzo al quale aveva lavorato, con lunghe interruzioni, a partire dalla metà degli anni sessanta.

Una donna si china sul parapetto di un transatlantico in navigazione sull’oceano per riprendere una spilla e cade in mare. Mentre vede la poppa della nave allontanarsi fa una promessa a Santa Rita, l’avvocata dell’impossibile: se si salva scriverà un libro e lo terminerà prima del suo compleanno. Luoghi e personaggi sfilano davanti agli occhi della naufraga componendo un dizionario dei ricordi a volte vergognosi e umilianti mentre il mare, tutto intorno, mostra la sua forza minacciosa. A poco a poco l’immaginazione s’impadronisce dei ricordi e li affranca dalla schiavitù del reale: la lotta per la sopravvivenza ammette il ricorso a ogni stratagemma narrativo, a ogni invenzione di cui solo lo stile sicuro e sempre ispirato di Silvina Ocampo è capace.

Viene citato Roberto Bolaño nel libro di poesie di Gianni Montieri e ne approfitto per ricordare un suo libro “Tre”, edito da Sur nel 2017.
Il cileno Roberto Bolaño (1953-2003) è autore di romanzi, racconti, poesie. Tra i suoi libri: I detective selvaggi, Notturno cileno, Chiamate telefoniche, Puttane assassine, 2666 (vincitore del National Book Critics Circle Award), Il terzo Reich. In Tre con traduzione di Ilide Carmignani è contenuta una prefazione dello scrittore Andrès Neuman.
In un’intervista del 2003 Bolaño afferma: «La mia poesia e la mia prosa sono due cugine che vanno d’accordo. La mia poesia è platonica, la mia prosa è aristotelica». E in effetti, i suoi romanzi pullulano di poeti e la sua poesia, come dimostra questa raccolta, è godibile come una buona pagina di narrativa.

Anche se il successo internazionale gli arrivò grazie ai romanzi, Bolaño iniziò a dedicarsi alla narrativa negli ultimi anni della sua vita, mentre fino al 1990 aveva scritto solo poesia. «Sono fondamentalmente un poeta», diceva. «Ho iniziato come poeta e ho sempre creduto che scrivere prosa sia di cattivo gusto». Nelle tre sezioni di questo libro, che si può bere d’un fiato o sorseggiare poco alla volta, ci sono tutti i tratti distintivi dello stile di Bolaño: l’ironia, lo stupore, lo spaesamento, la visceralità di ogni gesto, minimo o eroico, attraverso cui il quotidiano si fa letteratura.

Sempre nel libro di Montieri si cita David Bowie. A proposito di Bowie, esiste in libreria un bel libro di Luca Scarlini edito da Add edizioni nella collana Incendi dal titolo” Ziggy Stardust. La vera natura dei sogni”

Ziggy Stardust, la più nota creazione di David Bowie, è un personaggio immaginario e il titolo del concept album del 1972 vetta del glam rock, genere che mischiava musica e performance.Negli anni dello sbarco sulla luna e delle musiche di Space Oddity (1969), delle atmosfere di 2001 Odissea nello spazio (1968), l’idea di poter fuggire verso altre dimensioni è un sogno condiviso, una fissazione generale.Ziggy è l’inviato dallo spazio che porta alla ribalta il gran reame dell’adolescenza: un brivido di ribellione immaginaria entra nelle camerette della piccola borghesia, nelle case popolari delle periferie. La sua identità aliena, multisessuale, aggressiva, incarna lo spirito dei tempi. Le avanguardie alla fine degli anni Sessanta lavorano sullo scontro degli elementi, sulla fusione violenta di suggestioni lontane tra loro: cultura camp, melodramma, teatro kabuki, gli occhi di Malcolm McDowell in Arancia meccanica, tutto partecipa alla definizione di una creatura che seduce le folle, il messia di una rivoluzione che dura una stagione sola – il tempo che passa tra la sua ascesa e la sua caduta – portatore di una nuova visione della musica e della realtà.
Luca Scarlini fa entrare il lettore nelle scene, nei teatri, nella vita di una rockstar messianica in un mondo sull’orlo dell’apocalisse.

Passiamo alle novità in libreria di questa settimana. Un posto a parte merita “Ritmi di Veglia” di Raffaella D’Elia, Exòrma edizioni. Il talento di Raffaella D’Elia è tutto ancora da scoprire. In questa prova di scrittura si rivela un’autrice imprevedibile e delicata. Emanuele Trevi dice che «Ritmi di veglia è uno dei pochi libri italiani di quest’epoca che valga la pena portarsi dietro, leggere lentamente, meditare». Andrea Cortellessa dice, invece, che «la scrittura appassionata e ondeggiante di Raffaella D’Elia, l’inclassificabilità di genere, l’alternanza di ritmi e registri sono la cifra della sua incorreggibile grazia».
Raffaella D’Elia (Roma, 1979) ha scritto Adorazione (Edilet, 2009), Come le stelle fisse (Empirìa, 2014). Collabora e ha collaborato con quotidiani e riviste letterarie tra cui «l’Unità», «il Riformista», «L’Indice dei libri del mese», «alfabeta2», «Nuovi Argomenti», «Belfagor». Si è occupata di autori quali Sanguineti, Bachmann, Walser, Weil, Campo, Ortese. Suoi contributi critici e in prosa sono presenti, tra gli altri, in La terra della prosa. Narratori italiani degli anni Zero (2014), nella riedizione del volume Gruppo 63, Il romanzo sperimentale (2013) per L’Orma, e nell’antologia Con gli occhi aperti(Exòrma, 2016).

Nell’epoca dell’interconnessione permanente nulla sembra essere più scandaloso, riprovevole e osceno che vivere appartati, essere dei solitari nel nostro folle quotidiano.
Ida vive invece la più radicale solitudine, una solitudine gioiosa e perfetta, sciolta nell’ordinario procedere dei giorni, costellata di assenze: di relazioni umane, di vita sentimentale.
Proprio quel transito che diventa per gli altri occasione di socialità, per lei è un passaggio silenzioso, invisibile, senza contatto. Proietta altrove il suo talento immaginando sé stessa alle prese con durissimi allenamenti di danza, quella che non può ballare. Le pagine di Raffaella D’Elia ci introducono a un io, delicato e potente, che cerca di dare una forma, una concretezza, a un vissuto sempre sfuggente, un io costretto a una veglia perpetua che non dà requie, che cerca un ritmo per poter accedere a una pausa, a un’interruzione della lucidità; producono l’esatta sensazione che esista una sottile parete trasparente, lieve ma invalicabile, tra il sentire e quell’intrico di possibilità, affascinanti perché terrificanti, che siamo soliti chiamare “vita”. Un testo sulla vocazione alla creazione, dal tono sospeso, disincarnato, ermetico e alto, “in fuga dai confini della prosa, verso approdi disarmati e ripari di fortuna”. È la più materica storia di un’assenza che ci si possa aspettare.

Tra le nuove uscite, edito da Sur edizioni, è da segnalare  «I casi del commissario Croce» di Ricardo Piglia nella traduzione di Pino Cacucci e con prefazione di Massimo Carlotto.
Ricardo Piglia (1940) narratore e critico letterario argentino, è autore, tra gli altri, dei romanzi “Soldi bruciati” (1997) e “Bersaglio notturno” (2010), e della raccolta di saggi “L’ultimo lettore”.

Nell’ultimo libro scritto prima di morire, Ricardo Piglia si diverte a ripercorrere in maniera originale la storia politica, civile e letteraria dell’Argentina. Lo fa inventandosi un outsider, il commissario Croce, già protagonista di Bersaglio notturno, che in questi dodici racconti vediamo in epoche e situazioni differenti, all’inizio della sua carriera o nei panni di un pensionato che non riesce a fare a meno di indagare. Ma sempre con accanto il cane Cuzco e i compagni di bevute dell’emporio dei Madariaga.
I casi sono basati a volte su leggende metropolitane (come l’episodio in cui Croce deve sventare la diffusione di un film porno interpretato da una giovanissima Evita Perón) a volte su fatti realmente accaduti, come le disavventure del marinaio jugoslavo Sandor Pesic che, non parlando una parola di spagnolo, non sa difendersi dall’ingiusta condanna per l’omicidio di una prostituta. Non c’è quasi mai un colpevole da smascherare o un delitto da punire: queste storie (in cui Piglia si diverte a far apparire alcuni dei suoi eroi letterari, da Borges a Conan Doyle all’Astrologo protagonista dei Sette pazzi di Arlt) sono divertenti intrecci fra il racconto poliziesco e l’apologo morale, tra la cronaca nera e le vicende passionali di provincia: godibili avventure che ci sfidano con lo humour e l’intelligenza del grande intrattenimento.

In libreria per mimimum fax è arrivato anche l’atteso “Fedele a me stesso – Interviste 1971-2011” di Clint Eastwood nella traduzione di Alice Casarini. Una raccolta di interviste nella quale Clint Eastwood esprime la sua filosofia di cinema e si dimostra essere l’ultimo dei grandi classici hollywoodiani.

Clint Eastwood è l’unica star del cinema americano che abbia modellato la propria carriera attraverso film da lui prodotti e spesso diretti e/o recitati. Ed è anche uno dei registi in attività più prolifici, avendo all’attivo quasi quaranta lungometraggi, dall’esordio dietro la macchina da presa di Brivido nella notte al recente The Mule, passando per autentici capolavori come Million Dollar Baby, Gli spietati, Mystic River, Gran Torino.
Se come attore la sua fama rimane legata soprattutto ai ruoli del pistolero senza nome nei film di Sergio Leone e al personaggio dell’ispettore Harry «la carogna» Callaghan, come regista ha saputo muoversi all’interno del sistema hollywoodiano rispettandone le tradizioni ma rifiutandosi di aderire alle mode culturali ed estetiche, esplorando in chiave personale e spesso problematica una grande varietà di temi, dalla vita d’artista alla natura dell’eroismo, dal culto della violenza virile alla fragilità dei sentimenti, dal razzismo insito nella società americana all’etica dell’individualismo.
Le interviste qui raccolte coprono i quattro decenni della carriera di Eastwood come regista, concentrandosi tanto sulle sue prassi concrete quanto sulla sua poetica e filosofia. E forniscono il ritratto completo e sfaccettato di un vero artista, popolare e raffinato al tempo stesso.

Nello Zaino di Antonello: PERSONE