Harry's bar
Harry’s bar

In un bar di Venezia.- mi scrive Chiara Valerio, alla richiesta di un luogo in cui immaginare di esserci incontrate per chiacchierare del nuovo romanzo, uscito da poche settimane in libreria.

il cuore non si vedeVenezia è ormai la seconda casa di Chiara Valerio, da quando è responsabile della narrativa italiana per Marsilio. Se già avevo considerato un dono poter leggere un libro come “Il cuore non si vede”, questo dono è diventata un’occasione speciale grazie alla possibilità di chiacchierarne con lei, come era già avvenuto per “Almanacco del giorno prima” (QUI), sempre per Einaudi.

Ci sono letture che modificano la percezione che si ha del mondo, e “Il cuore non si vede” è una di queste.

 

Solo Chiara Valerio poteva tentare felicemente di scrivere un mito moderno, temerario, sfacciato e nello stesso tempo così tenero e introspettivo. 

La letteratura per me è la forza del capovolgimento, e tu in “Il cuore non si vede” capovolgi e sconvolgi il modo di guardare ai sentimenti, agli stati d’animo, alle relazioni, al linguaggio e alle frasi fatte divenute proverbiali, e persino alla morte (che diventa un tormento perché scompare dagli orizzonti del protagonista).

Un romanzo sconvolgente e coinvolgente, nel senso più pieno e profondo del termine: la ricerca di Andrea Dileva avvolge e involge ciascun lettore con sé.

Come prima domanda partirei dalla mitologia greca, che ha un ruolo preponderante e ispiratore nel romanzo, più ancora della metamorfosa kafkiana, che si porta inevitabilmente dietro quella di Roth, che è allusa nel formidabile incipit del romanzo: Una mattina, dopo sogni inquieti, Andrea Dileva si era svegliato nel suo letto, senza il cuore.

Andrea Dileva aveva fatto studi classici e insegnava greco, era un’autorità, e, a tratti, non gliene importava niente, andava in giro per convegni e si annoiava, formava studenti dicendo loro che senza memoria del passato non esiste immaginazione del futuro e probabilmente, mentre lo diceva e lo ripeteva, ne era convinto, ma no, il futuro non gli interessava.

Ma nel momento del bisogno, gli studi classici e la sua particolare e personale bibbia, il “Libro delle meraviglie” di Flegonte non lo sostengono.

Per quanto possa stupirci, l’organo mancante non è una caratteristica delle leggende e dei mito greci. Niente in Graves, niente in Kerényi.

Il punto di partenza per “Il cuore non si vede” è la scoperta di questa falla nella mitologia da cui nasce la responsabilità di “doversi prendere a esempio” come deve necessariamente fare Andrea Dileva?

Se si prendeva a esempio, e sarebbe stata la prima volta – e per la prima volta capiva quanta responsabilità ci sia a prendersi a esempio -, se si prendeva a esempio doveva ammettere…

 

Chiara_Valerio
Foto di Lavinia Azzone

Volevo che Andrea Dileva a un certo punto, nonostante le donne, nonostante gli studi, nonostante il bambino, si ritrovasse solo, responsabile emotivamente, per una volta, della propria storia. Che decidesse cosa fare e quando, che provasse a compiere un’azione o a non compierla, temendo di sbagliare. Che, in questa scomparsa, si affidasse una volta al sé stesso di cui non si è mai fidato. Come Alessio Medrano, Andrea Dileva è un uomo che non si è mai fidato di quello che è ma più di quello che fa, ma adesso, che ha perso il cuore, capisce che nemmeno il fare, il riconoscersi di saper fare, è abbastanza. In questa che dovrebbe essere una condizione disperata, Andrea Dileva capisce che tuttavia è vivo, e che questa vita, per quanto flebile, è l’unica cosa nella quale riconoscersi, e riconoscendosi continuare a fare domande, ad amare, a curare, a ridere, a leggere.

 

La scomparsa degli organi del protagonista pone alle donne che gli stanno intorno una questione cruciale che ognuna di loro risolverà alla propria maniera connaturata alla relazione che la lega ad Andrea Dileva.

Che facciamo? come se il fatto che lui non avesse il cuore riguardasse entrambi, e invece non era un problema loro, era un problema suo.

Il dolore dei possessivi: come tu straordinariamente definisci.

Laura, Carla, Angelica, Cristina: sarebbe riduttivo definire ciascuna delle quattro con il ruolo, diverso, che svolge accanto ad Andrea. Saranno accomunate dalla necessità di fare i conti con la situazione incredibile della scomparsa degli organi dell’uomo e ognuna di loro avrà un cruccio che la riguarda e che la porterà a determinati comportamenti e reazioni.

Quello che avviene ad Andrea è un problema suo o è un problema loro?

Chiara_ValerioNon lo so, credo che alla fine la verità sulle coppie, qualsiasi natura abbiano le coppie, la sanno solo loro.

Anche nella vita. La verità sulle coppie la sanno solo i due che la coppia compongono.

Quindi non so se è un problema suo o un problema loro, di ciascuna coppia e tutti insieme.

So però che Andrea vorrebbe fosse un problema suo, visto che non è riuscito a tenersi per sé i risultati, forse vorrebbe per sé un mancamento.

Ma sai, è cambiata la mia posizione rispetto a questo libro da quanto ne ero semplicemente la scrittrice e adesso che ne sono una dei lettori.

Cambiata nel senso che si è fatta più complessa.

 

Davvero, Chiara, si diventa “una dei lettori” dei propri libri? 

Una metamorfosi “classica” con aggiunta di organi o come nel caso di Andrea Dileva richiede la scomparsa di qualche organo, e quale?

Chiara_ValerioUna volta che il libro è scritto, è di lettrici e lettori, se uno ha la fortuna di averne.

Quello che pensavo quando l’ho scritto diventa una delle possibili letture del libro.

Le intenzioni dello scrittore scompaiono, come gli organi di Andrea Dileva, e vengono sostituiti dalle intenzioni di chi legge.

Perciò leggere è una responsabilità, perché aggiunge pagine ai libri, interpretazioni, intenzioni, ossessioni che prima non c’erano.

La lettura è una azione di relazione, si arriva con il proprio bagaglio, si parla con gli altri e si va via svuotati o riempiti, più pesanti o più leggeri.

Poi io leggo sempre, leggo anche quando scrivo, è normale che mi trasformi in una lettrice.

 

Eros e thanatos: dilemma ed eterna lotta nella mitologia classica.
“Il cuore non si vede” non pone solo domande sull’amore, se sia possibile anche quando il cuore scompare; ma si interroga anche sulla morte, con un ribaltamento metafisico ed esistenziale.
Anche nei confronti della morte i possessivi si sdoppiano tra Andrea e le sue donne.
Andrea era ancora curioso di capire cosa sarebbe successo. Quando sarebbe morto, e di cosa. Se tutti muoiono, in fondo, di arresto cardiaco, lui, che non aveva più il cuore, come sarebbe morto?
Laura, Carla, Angelica e Cristina sono invece ossessionate dalla scomparsa di Andrea e ciascuna, a modo suo, non riesce a farsene una ragione, e ognuna tenta di dare una spiegazione e di trovare una soluzione.
Eppure il caso di Andrea Dileva non esclude proprio la morte rendendola impossibile? Non più l’immortalità vagheggiata dal mito e perseguita dalla scienza, ma l’impossibilità della morte che cambia radicalmente la prospettiva e gli orizzonti della vita.

Chiara_ValerioL’idea che c’è sotto, o quantomeno quella a cui pensavo mentre scrivevo – una cosa tipo filosofia di Schelling, da idealismo tedesco insomma, o di letture più recenti di Stefano Mancuso – l’idea che c’è sotto è che come singoli siamo tutti finiti, ma come specie no. E per garantire l’unica sopravvivenza che possiamo permetterci bisogna avere cura di coloro che abbiamo intorno. Anche quando, come dicono a Roma, questo prendersi cura è un “accollo”. La nostra sopravvivenza di specie ha dunque un fattore culturale, e questo mi piaceva indagare. Poi non so perché da qui è arrivato quel supereroe per difetto che è Andrea Dileva ossessionato dal proprio non poter morire.

 

E come in tutto ciò che scrivi, in “Il cuore non si vede” c’è una cura maniacale per la parola, capace di generare e svelare mondi. Dopotutto gli organi si prestano con la loro icasticità ad essere metafora, simbolo, proverbio. Su questa loro molteplice natura nel romanzo tu innesti una parola che disvela attraverso il ribaltamento.

Ad esempio il fegato:

Ecco. Non aveva mai pensato al suo fegato. Era una parola per indicare il coraggio o una sineddoche, una parte per il tutto, per scherzare su qualcuno o con qualcuno che beveva troppo. Oppure qualcosa da mangiare alla piastra o alla veneziana. Il fegato alla veneziana gli piaceva. Ma del suo fegato, di quello che lo aveva trasformato, con la semplice assenza, in un muso giallo, sporco muso giallo come nei film di spie della sua adolescenza sì, di quel fegato che non aveva più, non poteva dire niente. Non poteva perché non sapeva.

Il linguaggio, inteso come capacità di dare senso al mondo, visibile e invisibile, diventa strumento perché  la vicenda di Andrea sia del tutto naturale, seppure nel sovvertimento delle regole e delle consuetudini. 

Non chiedi al lettore di sospendere l’incredulità ma il tuo invito è ancora più  ardito: chiedergli orazianamente di essere credulus, di seguire il personaggio con fiducia nella ricerca di sé e di ciò che avviene lì dove si è  sempre creduto di non avere dubbi e perplessità, il funzionamento dei propri organi. 

La scienza arretra, la mitologia non offre esempi: a cosa possiamo affidarci per spiegare ciò che avviene ad Andrea? Un nuovo umanesimo come quello prospettato da Cristina?

Chiara_ValerioIo vorrei che per Andrea e per tutti loro ci fosse un nuovo umanesimo. E la credulità dipende dal fatto che volevo scrivere un romanzo borghese.

Dove però la borghesia, come concetto, e come classe, si è sfaldata. È più trasversale, si è borghesi, insomma, a livelli economici molto differenti.

Volevo scrivere, nella mia mitomania, un romanzo realista che cominciasse con un gesto di irrealismo, perciò l’incipit di Kafka, da “La metamorfosi”.

Solo che la metamorfosi di Andrea Dileva è interiore, non la vede nessuno, forse c’è sempre stata.

Rendere evidente una mancanza, come scrive Cvetaeva: In questa stanza ci sarà sempre una sedia vuota di te.

Volevo che le nostre mancanze fossero evidenti, tanto evidenti da avere l’ombra. Ecco, l’ombra del cuore di Andrea Dileva è la riprova che il suo cuore, in fondo, è esistito ed esiste ancora.

Solo che nessuno lo vede più.

 

Per concludere, Chiara, con tutta la mia gratitudine per il tempo e l’occasione, anche se il tuo romanzo potrebbe essere commentato parola per parola, e quindi innumerevoli sarebbero ancora le questioni e le domande: Simone.
Andrea non ha figli, ma è come se ne avesse uno, nel momento in cui conosce Simone.
Simone non gli fa desiderare la paternità, ma soddisfa, non senza qualche bruciatura, il suo senso di paternità. Ed è l’unico capace di metterne in crisi le scelte:
Ma perché invece di studiare mitologia non era diventato cacciatore di coccodrilli?
Che cosa rappresenta Simone, il figlio di Carla, nella vita di Andrea? È un organo mancante?

Chiara_ValerioSimone è Simone. È la meraviglia, la novità e soprattutto la possibilità.

Simone non è un organo mancante, è quella che Andrea percepisce come tutta una vita mancante, ma che invece c’è, solo che sta da un’altra parte.

Simone dimostra che, certe volte, quando pensiamo che qualcosa ci manchi, non stiamo guardando bene, siamo fissi in una direzione, in una volizione, ci dimentichiamo che è un grande sollievo che qualcosa possa consolarci di qualcos’altro.

Con questo romanzo, Chiara Valerio invita a guardare lì dove “Il cuore non si vede”. Buona lettura

Chiacchierando (per la seconda volta) con… Chiara Valerio
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