di Antonello Saiz

Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”
Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”

 

 

 

 

 

 

 

Grandi affabulatori, grandi divulgatori e grandi narrazioni.

Alice e Antonello con Matteo Meschiari nella foto di Emiliano Zampella
Alice e Antonello con Matteo Meschiari nella foto di Emiliano Zampella

Questa settimana ai Diari abbiamo ospitato, in due giorni diversi, due grandi affabulatori. Scrittori veri, che con le parole, siano esse scritte o parlate, sono stati capaci di incantare in modo avvincente. Sapere raccontare storie in maniera affascinante non è da tutti. Prendiamo l’antropologo poeta Matteo Meschiari: un grande affabulatore oltre che un bravissimo divulgatore. In un sabato sera di fine settembre e con una libreria colma di gente ha saputo raccontare e affascinare con nuove geografie e poi raccontare di collassi ambientali, catastrofismi ed estinzioni. Del resto la nuova geologia e poi la filologia nuova, la poesia nuova, la politica nuova sono tutte presenti in forma solida nella pagine dei tanti davvero diversi e numerosi libri che Matteo Meschiari ha scritto, sta scrivendo, scriverà.

Sabato 28 settembre è tornato a trovarci, finalmente, con “L’ora del mondo”, pubblicato la primavera scorsa con Hacca edizioni. Ci ha raccontato la storia di Libera, una bambina selvaggia con una mano sola e in un paesaggio appenninico trasfigurato nel mito, ma pure storie vere, come quella del nonno, senatore della repubblica per la Democrazia cristiana, anche lui con una mano sola.

Matteo Meschiari (Modena 1968) è poeta e scrittore. Insegna antropologia e geografia all’Università di Palermo, dove è professore associato. Studia il paesaggio in letteratura, la wilderness, il camminare, lo spazio percepito e vissuto in culture europee ed extraeuropee. Nel 1997, con Claudia Losi e Francesco Benozzo, ha fondato lo Studio Italiano di Geopoetica, affiliato all’Institut International de Géopoétique, creato dal poeta scozzese Kenneth White. Ha pubblicato le sue ricerche con Sellerio, Liguori e Quodlibet. Scrive testi di saggistica, narrativa e poesia. Per Exorma ha pubblicato “Artico Nero” nel 2016 e “Neghentopia” nel 2017. Per Mucchi editore ha pubblicato “Nelle terre estreme”.

L’ora del mondo è un romanzo assolutamente unico nel panorama italiano, una rappresentazione avventurosa, visionaria e fantastica dei paesaggi appenninici.
Una bambina nasce senza una mano e per questo motivo, forse, la abbandonano nelle Terre Soprane, le regioni sospese tra leggenda e geografia sotto i crinali dell’Appennino modenese. Si chiama Libera, ed è nata il 25 aprile. Libera in molti sensi, è destinata a salvare il mondo. Inselvatichita, cresciuta nei boschi con i lupi, viene presa e ridotta alla norma, ma scappa. Sopravvive rubando cibo dalle case dei villeggianti. Continuerebbe così, ma l’Uomo-Somaro le affida un compito: ritrovare il Mezzo Patriarca Perduto. Se non lo farà, le Terre Soprane svaniranno, e loro, i Semidei, non potranno più dialogare con gli animali del mondo. Prescelta per un compito più grande di lei, Libera parte. Tra le terre dell’Appennino modenese, Matteo Meschiari crea una nuova mitologia affascinante e avvincente, formata da Patriarchi, divinità, spiriti guida e caratterizzata dall’assenza di esseri umani. In questo romanzo l’unica esponente della nostra razza è proprio Libera, che, aiutata da L’Uomo Somaro, suo aiutante e sorta di Virgilio in questo che è a tutti gli effetti un romanzo di avventura, ci conduce per una preziosa storia ambientalista.

Matteo Meschiari ci ha salutati con la promessa di un ritorno a febbraio, visto che il 24 di questo mese esce il terzo saggio per la casa editrice Armillaria, dopo “Geoanarchia. Appunti di resistenza ecologica” e “Bambini”, entrambi presentati ai Diari negli scorsi anni. Titolo del saggio è “La Grande Estinzione-Immaginare ai tempi del collasso”

“Il mondo è sempre quello, è lì fuori, ma le strutture mentali per comprenderlo si sono dissolte. Non è solo ignoranza, analfabetismo, indifferenza. È una deevoluzione generata da avvelenamento chimico. Non è deriva populista, sovranista, totalitarismo. È una resa collettiva a modelli sociali brutalmente semplici per chi non è in grado di pensare.”
In che modo l’immaginazione può salvarci concretamente dal collasso ambientale? Quali pratiche possiamo escogitare per riaccendere nell’uomo un immaginario atrofizzato? Qual è l’efficacia del pensiero utopico, delle narrazioni fantastiche, del romanzo di anticipazione? Che ruolo hanno gli scrittori e gli artisti? E la gente? L’Antropocene ha generato una svolta antropologica irreversibile, determinando la nascita di un nuovo immaginario collettivo. Al centro di tutto c’è la messa in discussione del posto dell’uomo nel cosmo. L’imminenza della catastrofe, lo spirito di allarme che i mutamenti ambientali portano con sé, il senso di sempre maggiore precarietà sociale stanno producendo una vasta narrazione cosmologica che abbiamo appena cominciato a mappare. Ma prima di escogitare delle nuove tecnologie di sopravvivenza,che cosa si può fare di concreto? Come hanno fatto i nostri antenati a resistere a condizioni di vita critiche? Che nesso c’è tra immaginario e resistenza? In un pamphlet a cavallo tra antropologia politica, teoria letteraria e pensiero militante, Matteo Meschiari articola un nuovo paradigma: fiction is action.

Il Mercoledì precedente, il 25 settembre, era toccato ad una voce di tutto rispetto incantare il pubblico dei Diari: il tour di Gian Luca Favetto, con “Si Chiama Andrea”, ha fatto tappa a Parma, e assieme allo scrittore e giornalista di Repubblica e di Rai Radio Tre c’è stato Alberto Ibba, editore di NN E.

Gian Luca Favetto è scrittore, giornalista, drammaturgo. Collabora con «la Repubblica» e Radio Rai. I lavori teatrali più recenti sono: “Le radici davanti, Fausto Coppi. L’affollata solitudine del campione” e “Atlante del Gran Kan: Iros, Anen, Nairat”. Fra gli ultimi libri pubblicati: “Italia, provincia del Giro e La vita non fa rumore” (Mondadori), le poesie “Il viaggio della parola” (Interlinea), l’audiolibro “I nomi fanno il mondo” (Il Narratore), “Se dico radici dico storie” (Laterza), “Premessa per un addio” e “Qualcosa che s’impara” (NN editore). Nel 2018 con Leandro Agostini ha realizzato il progetto/mostra Il teatro del mondo.
Per 66thand2nd era già uscito “Il giorno perduto”, scritto con Anthony Cartwright e “Ora si chiama Andrea”.

Andrea ha avuto un’infanzia quasi felice, dei nonni affettuosi, una madre che è «l’incarnazione del sublime» e un padre che da sempre coltiva una certa arte della fuga. Andrea ha degli amici coi quali impara a leggere il mondo e amanti con cui il mondo lo assaggia. E ha un lavoro: l’agente immobiliare, direbbero in molti, anche se non cerca case adatte ai clienti. Andrea cerca abitanti adatti alle case che sceglie perché le case sono la metafora migliore per ognuno di noi. Andrea, infatti, in un giorno dei suoi sedici anni, si scopre un noi, un luogo di personalità multiple che, come sul proscenio di un teatro, si affacciano per reclamare spazio e condurre la loro e la sua esistenza, quando il direttore d’orchestra è stanco o sovrappensiero. In questa commedia umana a tratti poetica a tratti inquietante e nera, Favetto racconta la forza latente dei passaggi di stato, costruendo un personaggio unico e molteplice che con una vita ne abbraccia molte o forse infinite. Quelle che sono e quelle che sono state. Perché Andrea è un essere umano. Come tutti.

Anche “Il Volontario” dello scrittore americano Salvatore Scibona è un libro edito da 66thand2nd e possiamo tranquillamente dire che trattasi del romanzo del momento.
Salvatore Scibona, che è stato finalista al National Book Award con «Il Volontario», è nato a Cleveland, Ohio, nel 1975. Con il suo romanzo d’esordio, La fine (66thand2nd, 2011), è stato inserito nei 20 Under 40 del «New Yorker» e nella shortlist del National Book Award. Si è aggiudicato il Young Lions Fiction Award, il Pushcart Prize, l’O. Henry Award e il Whiting Award, oltre a ricevere un Guggenheim Fellowship. Attualmente dirige il Dorothy and Lewis B. Cullman Center for Scholars and Writers della New York Public Library.

Amburgo, 2010. Un bambino che parla una lingua incomprensibile si aggira da solo per l’aeroporto internazionale con un giaccone rattoppato e qualche centinaio di dollari infilati in una tasca. Per capire perché suo padre lo ha abbandonato lì, bisogna tornare indietro di qualche decennio, all’adolescenza di Vollie Frade, un ragazzo dell’Iowa che un giorno decide di arruolarsi nei Marine per combattere in Vietnam, illudendosi di poter recidere ogni legame con il passato. La sua scelta metterà in moto una inimmaginabile catena di eventi che lo porteranno, in seguito a una missione fantasma nella giungla cambogiana e a una lunga prigionia, a unirsi alle fila di una cellula clandestina dei servizi segreti. E poi a tentare di rifarsi una vita con una donna e un bambino in un ranch fatiscente nel deserto del New Mexico, dove il suo ex compagno d’armi Bobby Heflin ha creato una comune fondata sul libero amore. Ma anche questi nuovi, fragili legami saranno destinati a spezzarsi, generando un rosario di sconcertanti violenze, e lasciando i figli ad affrontare le colpe mai espiate dei padri.
A dieci anni dal suo straordinario debutto con La fine, Salvatore Scibona ripercorre l’odissea di quattro generazioni, dal Midwest rurale alla New York poliglotta degli anni Settanta ai lunari paesaggi intorno a Los Alamos, guidando il lettore in un nuovo viaggio ai margini dell’America e rivelando, nell’intreccio fra Storia e scelte individuali, la logica ineluttabile del potere, l’anima di un continente lacerato dalla sua stessa insondabile superbia, oltre al il talento degli esseri umani nel riscoprire e reinventare le proprie radici.

Tra i libri da mettere nello zaino questa settimana un posto importante lo riserviamo al libro di Laura Pigozzi “Adolescenza zero. Hikikomori, cutters, ADHD e la crescita negata”, edito da Nottetempo. Un libro che ci aiuta a capire qualcosa di più su quell’età, specialmente oggi, troppo difficile da decifrare: l’adolescenza. Laura Pigozzi è impegnata a leggere le questioni che riguardano le famiglie, il femminile e la voce alla luce della pratica e della teoria analitica. È autrice dei libri: “A Nuda Voce” (2008, ampliato nel 2017), “Chi è la più cattiva del reame?” (2012, tradotto in Francia da Albin Michel nel 2016), “Voci smarrite” (2013). È membro della Fondation Européenne pour la Psychanalyse, già vicepresidente di Lou Salomé-Donne psicanaliste in rete. Cura il blog Rapsodia (www.rapsodia-net.info) e ha fondato il Non Coro, laboratorio stabile di sperimentazione e creatività vocale. È nel comitato scientifico e docente della Società Italiana di Musicoterapia Psicoanalitica. Lavora a Milano e in provincia di Verona. “Mio figlio mi adora” è vincitore del primo premio internazionale “Città delle Rose 2017” ed è uscito, nel 2018, in Francia per Érès e in Brasile per Buzz Editora.

Attraverso l’analisi di fenomeni estremi come quelli che riguardano gli hikikomori, ragazzi reclusi in casa, o le cutters, giovani che si tagliano la pelle, la psicoanalista Laura Pigozzi si interroga sulla continuità che esiste tra essi e lo statuto “disanimato” degli adolescenti contemporanei. Il rapporto che questi intrattengono col proprio corpo, con la scuola, con il sesso e con la scoperta del mondo mostra i segnali inquietanti di una chiusura, di “un arresto del desiderio, uno scacco della vitalità, un gorgo di passività”. Piú isolati e ripiegati su di sé che in passato, gli adolescenti appaiono privi di quello slancio verso il nuovo, l’Altro e l’esterno che dovrebbe definire il passaggio all’età adulta. Che cosa è successo? E, soprattutto, quali sono gli strumenti per riaprire i loro sguardi sulla vita e sul futuro? Tramite l’esame di casi clinici e l’analisi approfondita della relazione tra istituzione scolastica e nucleo familiare, l’autrice rileva come nel passaggio dalla famiglia alla scuola, dai genitori agli amici, qualcosa è andato storto in un modo che le altre epoche non hanno conosciuto. Oggi piú di ieri, risulta faticoso il compito principale degli adolescenti: creare un legame con i pari.

“Il postino di Mozzi”, di Fernando Guglielmo Castanar é un altro di quei libri molto suggerito ai Diari, pubblicato nella Collana di Arkadia editore “Senza rotta”, curata da Marino Magliani.
Un romanzo corale sul mondo dei libri, che vi farà sorridere e meditare. Un romanzo geniale, per raccontare e raccontarsi tra mondo della scrittura e mondo reale e con preziosi scritti di Valter Binaghi, Adrián N. Bravi, Giovanni Agnoloni, Claudio Morandini, Riccardo De Gennaro, Matteo Galiazzo, Marco Candida, Giacomo Sartori, Arianna Destito, Nunzio Festa, Franco Arminio, Mauro Baldrati, Mario Bianco, Marco Drago, Francesco Forlani, Carlo Grande, Franz Krauspenhaar, Marino Magliani, lo stesso Giulio Mozzi, Beppe Sebaste, Riccardo Ferrazzi, Emilia Marasco, Stefano Zangrando, Giorgio Vasta, Alessandro Zaccuri, Alessandro Gianetti, Valentina Di Cesare, Paolo Morelli, Sergio Garufi.

Lui è un uomo metodico. Sa di voler scrivere e lo fa anche con una certa bravura. E pare abbia anche individuato la persona giusta per far emergere le sue doti. Per questo invia sempre le sue proposte letterarie a un geniaccio della letteratura qual è Giulio Mozzi. Purtroppo, per l’aspirante scrittore, pare proprio che il grande scout di talenti non riesca mai a dargli una risposta. Anzi, lo ignora del tutto. E così, un po’ per rivalsa, un po’ per disperazione, il Leopardi mancato decide di accettare quell’incarico da postino che gli era stato offerto, guarda caso proprio nella città in cui vive Mozzi. Per trenta lunghi anni consegnerà la posta a questo signore, forse non tutta, però. Infatti si riserverà di tenere per sé quelli che gli sembrano i manoscritti più interessanti.
E così, il giorno in cui andrà in pensione, spedirà allo scopritore di talenti un bel lavoro antologico, formato di frammenti di romanzi, racconti, lettere e altro materiale, tutto sottratto dalla buca delle lettere di Mozzi. Un romanzo “corale”, costruito con maestria, ricco di riferimenti letterari, capace di far sorridere e meditare, incentrato sul mondo dei libri e sulla difficile arte di farli giungere alla ribalta.

“Potrei dirle: vediamoci, parliamone. Potremmo lavorare su quest’altro romanzo. Ci sono delle debolezze d’invenzione per le quali possiamo immaginare qualcosa, ci sono dei difetti di scrittura che possono essere corretti, ci sono delle giunture narrative da sistemare, e così via. Davvero, potremmo. Ma non me la sento. Non me la sento di impegnare un anno di vita suo e mio in un’impresa che rischia di produrre l’ennesimo romanzo discreto, e niente più che discreto.

Non intendo darle alcun consiglio, se non quello di lasciar perdere.”

Nello Zaino di Antonello: Grandi affabulatori, grandi divulgatori e grandi narrazioni