Maxxi

Direi al museo MAXXI, a Roma, è stato lo scenario di un capitolo ne “L’amore a vent’anni” e ha un ruolo ancora più importante in questo romanzo. 

E allora tutti al Maxxi con me e Giorgio Biferali, in libreria con il secondo romanzo, “Il romanzo dell’anno” per La nave di Teseo.

Il romanzo dell'annoCon “Il romanzo dell’anno”, Giorgio Biferali mi ha conquistata per la seconda volta e quindi azzardo a dire definitivamente.
Ci siamo lasciati a Barcellona che è stato lo sfondo ideale della nostra chiacchierata su “L’amore a vent’anni” (che potete leggere QUI) e dopo aver terminato di leggere “Il romanzo dell’anno” mi sembra di non essermi mossa di lì vista l’importanza che un viaggio a Barcellona ha per il protagonista Niccolò.

Voglio però premettere che la chiacchierata su “L’amore a vent’anni” non era il primo Chiacchierando con lo scrittore romano, che avevo già entusiasticamente conosciuto come autore per ragazzi (e non solo come spesso avviene nella letteratura per ragazzi) per la collana “Scrittori del ‘900” di La Nuova Frontiera junior, con uno straordinario racconto dedicato a Calvino, che potete leggere QUI.

Fatta questa parentesi di doveroso apprezzamento per la scrittura di Giorgio Biferali in ognuna delle sue sfumature, mi accingo a cominciare questo terzo confronto sul nuovo romanzo.

Clicca sulla copertina per accedere al Chiacchierando con Giorgio Biferali.

Se in “L’amore a vent’anni” (Tunuè) sei riuscito a raccontare un tema sconfinato e abituale come l’amore con una freschezza inedita, facendo ri-sentire ventenni anche chi non lo era più da tempo, con “Il romanzo dell’anno” affronti il tema della malattia e dell’elaborazione del lutto, entrambi abbastanza usuali soprattutto in un filone contemporaneo, con una leggerezza calviniana che diventa cifra stilistica e tratto originale della tua narrazione. 
Non è né disperante né disperato “Il romanzo dell’anno” ma un vero e proprio inno alla vita, ai sogni e all’amore, nonostante la vita dei personaggi sia segnata dalla tragicità di eventi e situazioni. 
Ci presenti tu Niccolò e Livia? 
Visto che entrambi amano gli elenchi e le liste, provi a stilarne una che possa racchiudere il senso del loro essere una coppia? 

Giorgio Biferali– Niccolò e Livia volevano scrivere e infatti si sono conosciuti durante un corso di scrittura

– Niccolò dirige il palinsesto di un canale televisivo e Livia fa l’architetto, quindi, in un certo senso, entrambi fanno qualcosa per gli altri 

– Niccolò ha perso entrambi i genitori, Livia ce li ha ancora, ma sono separati, entrambi, però, riescono a trovare la loro famiglia in altre persone

– Niccolò, a un certo punto, è costretto a mettersi nei panni di uno scrittore, quando Livia finisce in coma e lui comincia a scriverle delle lettere per raccontarle tutto quello che si sta perdendo del 2016 

– Niccolò e Livia è come se facessero delle prove della vita da adulti, solo che Livia la vive serenamente, Niccolò, invece, è contraddittorio, ha paura di diventare adulto ma fa di tutto per affrettare i tempi, per far sì che quel momento arrivi il prima possibile 

– Niccolò e Livia hanno trovato il loro amore anche nelle piccole cose, e questa, forse, è la loro fortuna più grande

– Niccolò, senza di lei, si sente perso, va in analisi, fa dei sogni strani, ha delle allucinazioni (tipo Snoopy che gli parla), scrive delle lettere per lei

– Niccolò, senza di lei, si sente perso, lo so che l’ho già detto, però è così, arriva quasi a credere nell’effetto farfalla, che tutto quello che succede nel mondo è collegato a quello che gli sta capitando 

– Niccolò e Livia amano fare gli elenchi, che somigliano un po’ a questo

 

Niccolò e Livia non amano solo fare le liste, ma anche scrivere su una Moleskine.

Anche noi avevamo una Moleskine dove segnavamo tutte le stranezze, le piccole cose che meritavano di essere ricordate, e poi andavamo al piano di sotto a prendercela con quelli che ci avevano rubato il titolo per i nostri romanzi. Ecco cosa c’era in quel fazzoletto spiegazzato, i “titoli che avremmo voluto dare i nostri libri ma purtroppo li hanno già usati”: Luce d’agosto, Un giorno questo dolore ti sarà utile, Mentre morivo, Due, L’arte di correre, Vite che non sono la mia, Gli amori difficili, L’isola dell’infanzia, Geologia di un padre, Storia di un corpo, Zazie nel metrò, La ragazza dai capelli strani, Madre notte, Tutti gli intellettuali giovani e tristi.
Ma poi il Niccolò scrittore e la Livia scrittrice sono rimasti lì, su quel fazzoletto, e sono diventati ricordi. Non basta innamorarsi, soffrire, crescere, cambiare, cadere, rialzarsi, rimanere orfani, sentirsi solo o incontrare personaggi strani, per scrivere un romanzo, se no saremmo tutti scrittori. A noi in fondo non importava granché, ci bastavano le vite che ci erano capitate, e che in parte avevamo scelto. Sempre pronti ad ascoltarci, ad accorciare le distanze, a rompere il silenzio con un bacio. A far di tutto, ogni giorno, per essere felici insieme.

“Il romanzo dell’anno” è un libro sulla felicità? perché da lettrice la sensazione che permane durante la lettura e a libro terminato è quella di una frizzante, inspiegabile felicità nel leggerti e nel pensare ai tuoi personaggi. 

Curiosità allegata al brano che ho scelto: i titoli che piacciono a Niccolò e Livia sono anche dei consigli di lettura per chi legge il tuo romanzo?

Giorgio BiferaliCome sempre ci vedi bene, tu. La scena in cui loro due vanno in libreria e fanno l’elenco dei titoli che avrebbero scelto per i loro romanzi, be’, quella è una scena autobiografia, perché è una cosa (un po’ maniacale) che capita anche a me. Tra quei titoli, ce ne sono diversi che potrebbero trovarsi bene accanto al mio. “Gli amori difficili”, perché, come diceva Calvino, sono storie di come una coppia non s’incontra, ed è quello che capita a Niccolò e a Livia nel 2016. “L’arte di correre”, anche solo perché trasmette un senso di calma, quella che Niccolò cerca in continuazione ma che senza di lei non riesce a trovare. “Vite che non sono la mia”, direi, per tutta la riflessione che viene fatta sulla scrittura, sulla fiction e non, sulla metaletterarietà di una storia. Ma il titolo che forse è più vicino al mio viene citato in un sogno, quando Niccolò incontra Brezsny nella metro. “Quando siete felici, fateci caso” di Kurt Vonnegut. Ecco, è tutto quello che in fondo Niccolò rimpiange, non aver saputo godere di quella felicità che la vita gli aveva offerto per caso. Quindi sì, hai ragione tu, è un libro pieno di felicità perché nonostante le tragedie, i drammi, le grandi assenze, i ricordi amari, Niccolò sa di essere fortunato ad averla incontrata, vuole condividere il mondo con lei, ogni giorno, e spera solo che il destino gli dia un’altra occasione per farlo. 

 

Lo sai come si fa a elaborare il lutto secondo quelli che si imbucano per fare pubblicità ai privati? Bisogna esprimere tutte le emozioni possibili, bisogna come cercare dentro di sé per ritrovarle tutte, le emozioni possibili, una per una, poi bisogna andare al cimitero, per prendere contatto con la realtà delle cose, ringraziare chi non c’è più per tutto quello che ci ha dato quando eri in vita e, indovina, cose da pazzi, bisognerebbe scrivergli una lettera.

L’elaborazione del lutto e la scrittura emotiva e sentimentale delle lettere. Questi sono i perni sostanziali intorno cui si muove “Il romanzo dell’anno” per far deflagrare tutte le emozioni possibili: quelle vissute, quelle da vivere, quelle che si è  incapaci di vivere e quelle che si desidererebbe vivere, fino a quelle che ci si ripromette di vivere.

Si potrebbe allora dire che “Il romanzo dell’anno” è una lunga promessa d’amore sotto forma di lettera a chi si teme di aver perduto per sempre perché sia un richiamo alla vita e a tutte le promesse che riserva?

Altrimenti cosa spinge Niccolò a scrivere lettere pur sapendo che

le lettere d’amore sono ridicole. Anzi no, chi scrive lettere d’amore è ridicolo, soprattutto oggi che nessuno le scrive più. Chi ha il tempo di prendere carta e penna, di fermarsi a pensare, cominciare una lettera, riscriverla più volte fino a che non viene bene, rileggerla, piegarla, chiuderla in una busta, uscire di casa e andare alla posta, o magari cercare una buca dove infilarla? Le buche rosse, sì, con quelle due fessure in alto dove si infilavano le lettere, a sinistra per la città, a destra per tutte le altre destinazioni. Ti ricordi quanto abbiamo riso quel giorno, quando abbiamo scoperto che sotto casa mia c’era una di quelle buche davanti una cabina telefonica? Ormai, le ultime lettere d’amore rimaste sono scritte sui muri delle città. “Se niente dura per sempre, vuoi essere il mio niente?”, “Voglio portarti via con me tipo McDrive”, “Ti darò tutto quello che nei libri hai sempre sottolineato”, “Sei peggio delle fitte intercostali”, “Se ci amassimo quando ci odiamo, lo sai che bello”. Io mi sono sempre fermato un attimo prima, sai?

Questa volta, invece, Niccolò  non si ferma e scrive scrive scrive. Perché?

Giorgio BiferaliUn’altra bellissima domanda, Giuditta, grazie. Be’, intanto quello che capita a Niccolò, forse, è ancora più insolito, più difficile da sopportare. Il lutto è qualcosa di più netto, di più definitivo, ecco, mentre lo stato in cui si trova Livia, quello del coma, è come se fosse un limbo, in cui non si è né vivi, né morti, e quindi insieme all’assenza (che somiglia molto a quella di un lutto) lui deve “elaborare” anche la speranza che in un modo o nell’altro lei, prima o poi, possa tornare alla vita. 

E sì, come hai notato bene tu, Niccolò questa volta non si ferma davanti a nulla, anche perché è diventato grande e l’unica paura che ha è quella di non poter condividere più la sua vita con Livia. Quindi è disposto a tutto pur di rimanere in piedi, di rivedere la luce in fondo al tunnel, di ritrovare lei all’uscita. Si affida ai sogni, che spesso creano un po’ di confusione, ma poi fanno chiarezza, si affida all’analisi, alle vite degli altri, a quello che vede, che sente, che registra dentro di sé, e non essendo uno scrittore ci mette un po’ per capire quella che sarà la sua forma di salvezza più grande: la scrittura. In questo passaggio, in effetti, c’è qualcosa di autobiografico, nel senso che a me succede più o meno la stessa cosa. Anch’io percepisco la scrittura come liberazione, come salvezza, per me sarà sempre la forma più sincera di autoanalisi.  

 

Approfittando dell’aspirazione ad essere scrittori sia di Niccolò che di Livia, nel romanzo numerosi sono i riferimenti metaletterari e metanarrativi, che lo impreziosiscono e diventano quasi una chiave di lettura in termini di poetica sia del romanzo che della tua scrittura in generale.

Ma quindi è così che si scrive un romanzo? Cioè è tutto autobiografico? Non c’è nulla di inventato? chi ti conosce deve stare attento a quello che dice, quello che fa, che se no rischia di diventare un personaggio? scrivi che i dialoghi sono la cosa che ti fa più paura, perché nella vita non c’è una logica quando si parla e non appena li trascrivi sembra che quei dialoghi non abbiano più senso. Il nostro, quello sul letto, com’era, credibile? E Davide, chi è? Forse ho capito, ma non lo so se lo voglio sapere, oppure sì, lo voglio sapere, perché è come dice Ester, ha ragione lei, c’entra la pulsione di morte che se ho capito bene è tipo la voglia di sapere delle cose anche se sai che ti farà male saperle. Anche tu ce l’hai quella pulsione lì? Vorresti sapere come va avanti questa storia, senza di te?

Qual è la poetica di Giorgio Biferali, raccontare ciò che fa parte della propria vita o mettersi nei panni dell’altro? O ancora una terza via: conciliare le due direttive?

Giorgio BiferaliPer quanto riguarda me in quanto lettore, quindi direi l’aspetto più superficiale, ho sempre amato i labirinti nelle storie, le spirali, la ciclicità, penso ai romanzi di Paul Auster, di Calvino, ai racconti di Cortázar, ai film di Nanni Moretti, in cui ogni tanto c’erano degli indizi leggeri, magici, dove gli autori lasciavano socchiusa la porta della loro stanza e io potevo intravedere la luce, anche se si trattava solo di uno scherzo o di un gioco, loro davanti a un foglio mentre scrivevano la storia che stavo leggendo. Come una concessione, un momento sospeso, una piccola pausa dal patto narrativo, per rivelare ancora una volta che quella era pura finzione, niente di più, e che in fondo tutto questo somigliava molto alla realtà. Per quanto invece riguarda me come essere umano, ecco, io sono molto curioso. Amo ascoltare gli altri, vedere come vivono le loro vite, sapere cosa hanno passato, cosa vogliono raccontare, cosa preferiscono nascondere. Senza gli altri io mi sentirei perso. Non riesco quindi a distinguere ciò che mi riguarda da ciò che riguarda gli altri, perché per me è la stessa cosa. Ogni giorno mi basta uscire di casa per rimanere a bocca aperta, per prendere il telefono e scrivere nelle note quello che ho appena visto, sentito, provato, spesso in maniera confusa, in una forma che posso capire solo io. Capita che quegli appunti finiscano in una storia, ma il più delle volte me li tengo per me, e ogni tanto li rileggo perché ho paura di dimenticare. Come in quadro, come in un film, come in un romanzo che ci colpisce, alla fine, quello che conta è quello che non c’è, che è rimasto fuori, quello che si può solo immaginare.

 

…e siamo arrivati all’ultima domanda.

Una foto e un catalogo Ikea come emblema di un amore che con tutte le fragilità e le incertezze vive di bellezza e si nutre di felicità, anche nel dolore e nella disgrazia, nella “morte” apparente che a un certo punto sembra togliere ogni reale possibilità che possa svolgersi. 
La foto è scattata dalla sorella di Livia ed è la stessa che consegna a Niccolò il catalogo Ikea come un lascito importante che deve appartenere a lui.

L’unica foto che ho avuto il coraggio di fare quando lo sentivo, mi ha detto, è stata quella che ho fatto a voi, una sera che sono entrata nella camera di Livia senza bussare, che eravate sul letto, te lo ricordi? eravate così belli. Poi mi ha detto che c’era una cosa che voleva darmi, una cosa che in qualche modo apparteneva a me. Si è diretta verso la scatola, quella con su scritto” te lo regalo se vieni a prenderlo”, e da lì ha preso un catalogo dell’ikea. Mi ha detto che tu ti eri messa a sfogliarlo una sera perché stavo immaginando la nostra casa, come arredarla, come darle un po’ di colore, come farla somigliare a noi. Io l’ho ringraziato e dentro di me sapevo che come sempre io non avevo capito nulla, che non avevo mai imparato ad aspettare, ad aspettarti. Quella notte avevamo litigato per quello, perché avevamo sempre scherzato sul fatto che se nel 2016 non ci fossimo lasciati, ecco, allora saremo andati a vivere insieme. Il 2016 sarebbe stato il nostro anno. La differenza era che tu la vivevi con leggerezza, tipo che bastava solo vivere e tutto il resto sarebbe arrivato, io no, io avevo un po’ d’ansia, era come se andassi di fretta, non vedevo l’ora che arrivasse quel momento, e tu pensavi che io così non facessi altro che perdermi il presente per un futuro che ancora non c’era. E quella notte è andata così, è stata una delle prime cose che ti ho detto, neanche me le ricordo le parole che ho usato, so solo che pensavo ad altro, invece di rendermi conto che stava cominciando un nuovo anno insieme a te.

Livia e Niccolò coniugano l’amore su due tempi differenti. Lei sul presente che diviene immanente con la vitalità acquisita nei suoi progetti sfogliando un catalogo Ikea; lui sul futuro che capricciosamente dimostrerà la sua instabilità.

In questa differenza si gioca ancora una volta come già in “L’amore a vent’anni” una certa dicotomia tra i tuoi personaggi maschili, inadeguati e incerti con un tratto di fascinoso infantilismo, e quelli femminili, consapevoli e maturi, determinati e volitivi.
La differenza è nella diversa cognizione del tempo, o invece è il tuo sguardo “innamorato” a dare alle donne nei tuoi romanzi sempre un passo più avanti?

Giorgio BiferaliChe domanda, Giuditta, bella, acuta, limpida, come le altre. E in effetti ci hai visto bene anche questa volta. Anche in questo romanzo c’è una differenza, una distanza tra i personaggi femminili e quelli maschili, soprattutto tra i protagonisti. Ma se ne “L’amore a vent’anni” Giulio e Silvia erano più giovani, più immaturi, quindi più esposti all’errore, qui Niccolò e Livia sono più o meno sullo stesso livello, almeno per quanto riguarda il sentimento. Non c’è un amore sbilanciato, squilibrato, ecco. Anzi, in questa storia sembra Niccolò quello meno pronto a immaginare un futuro, a immaginarsi insieme a lei nell’età adulta, ma si tratta più che altro di paura, una paura normale, profondamente umana, dei cambiamenti. 

Prima che me lo chiedessi tu, comunque, non avevo mai pensato a questa cosa, al fatto che i miei personaggi femminili siano sempre più avanti di quelli maschili, mi viene spontaneo immaginarli e raccontarli così in una storia. Quand’ero piccolo, per quel che mi ricordo, le femmine erano sempre più sveglie di noi maschi, e anche nei bambini di oggi è così, quindi è un po’ come se partissero avvantaggiate. E nella mia vita, finora, ho avuto la fortuna di conoscere delle donne forti, luminose, infinitamente più sensibili e più intelligenti dei maschi, quindi forse questa distanza proviene da lì. I maschi sono più elementari, più prevedibili, meno profondi, e questo, secondo me, viene fuori nella vita quotidiana, e a volte anche nella letteratura. 

Chiacchierando (per la terza volta) con… Giorgio Biferali