monoscopio Rai.

Nel monoscopio Rai.

Ecco dove ci saremmo incontrati con Antonio Iovane, giornalista di Radio Capital con due romanzi all’attivo: “La gang dei senzamore” e “Ti credevo più romantico”, entrambi per la casa editrice Barbera editore, per chiacchierare del suo nuovo romanzo “Il brigatista”, edito da minimum fax.

Il brigatistaLa scintilla a leggerlo è venuta dalla coincidenza anagrafica che vede uno scrittore mio coetaneo fare i conti con un momento storico che mi ha sempre appassionata. “Il brigatista” è un romanzo complessivo che si fa anche indagine critica di un momento tra i più difficili del nostro paese.

Una ricostruzione romanzata degli anni Settanta in Italia, che propone uno sguardo dall’alto con la narrazione in terza persona, ricca di dialoghi che rendono l’immediatezza delle diverse visioni di chi ha vissuto quegli anni e che sono i personaggi che si affollano nelle pagine del romanzo; e una visione interna con la narrazione in prima persona che si intervalla alla precedente affidata a un brigatista, Jacopo Varega detto Vladimiro, che racconta la sua versione dei fatti ad una giornalista, Ornella Gianca.
L’autore Antonio Iovane è nato nel 1974. Questo dato biografico è stato per me lo stimolo a leggere il romanzo. Da coetanea dello scrittore mi interessava come la mia generazione potesse fare i conti con il decennio in cui è nata. Quale valutazione e quale interesse muovessero i passi di chi non ha vissuto gli anni Settanta, ma se n’è nutrito perché nato in quell’epoca, uno dei momenti più complicati della storia politica del nostro paese. 
A lettura ultimata sono stata completamente convinta dalla visione di insieme che Antonio Iovane presenta in “Il brigatista”, a partire dalla volontà di disegnare un affresco complessivo di quegli anni, che parta dalla strage di Piazza Fontana del 1969 e arrivi al 1982, con la sconfitta, si può affermare definitiva, delle Brigate Rosse.
Come prima domanda partirei da questo punto: perché hai deciso di raccontare gli anni in cui sei nato? e che apporto ritieni di poter aggiungere a tutto ciò che è stato scritto su quel periodo?

Antonio IovaneSono nato il 18 maggio 1974, in quei giorni il giudice Mario Sossi era nelle mani delle BR. Quell’evento fu la prova generale del sequestro Moro, anche se l’esito fu diverso. “Il brigatista” racconta una ferita ancora aperta della storia d’Italia, quella rappresentata dalla lotta armata. Penso che la distanza temporale, oggi, sia sufficiente per fare i conti e affrontare quel passato lacerante anche attraverso quel magnifico strumento di indagine che io considero il romanzo. L’apporto, se così lo vogliamo definire, è appunto questo: se tu scegli di mettere in scena, nel modo più distaccato e onesto possibile, i protagonisti di un determinato percorso storico, ecco che la loro interazione può darti delle risposte che magari – da storico – non sapevi immaginare. E questo può farlo solo il romanzo. Credo di aver fatto questo: ho messo in scena Vladimiro, Clizia, Salvatore, Paolo, Ornella e ho detto loro: adesso agite, e raccontatemi. Io, alla fine, non ho raccontato nulla, sono stati loro a farlo.

 

Il racconto finisce per essere così dettagliato, accurato e puntuale che fortissima è la tentazione di abbinare a ognuno dei tuoi personaggi il corrispettivo reale. Non mi riferisco ovviamente ai personaggi reali come il Generale Dalla Chiesa o Aldo Moro e alle altre figure “storiche” che risultano come personaggi de “Il brigatista”, ma a quelli che hanno un nome di invenzione come Jacopo o la giornalista Ornella Gianca, o lo sceneggiatore Giulio Fornati e i tanti personaggi che rappresentano la società civile che tu ben ritrai nel romanzo. 

Uno dei pregi de “Il brigatista” mi sembra sia quello di far nascere una grande curiosità di approfondire e conoscere. 

Come hai lavorato sui tuoi personaggi? quale equilibrio hai cercato tra la verità storica e la finzione romanzesca per quanto riguarda le figure che agiscono nel romanzo? E quale nell’interazione tra personaggi reali e personaggi di invenzione?

Antonio IovaneI miei brigatisti così come i giornalisti e i carabinieri, quando agiscono nella Storia, sono più o meno tutti ispirati a figure realmente esistite. Magari ciascuno attinge da più figure (per dirne uno, Varega è ispirato a Peci e Gallinari), ma nel Brigatista ho inventato ben poco.  Nello stesso tempo ho evitato di azzardare tesi o di trasferire nel romanzo ipotesi complottistiche non dimostrate. Non nego che possano esserci livelli di coinvolgimento diversi e superiori, ma Jacopo Varega ne è all’oscuro in quando la compartimentazione impediva a chi non stava ai livelli più alti di conoscere le verità ultime. Questo, in un certo senso, mi ha “salvato”, consentendomi di lasciare il fuoco sull’intreccio delle vicende umane, che è poi quello che più mi interessa.

C’è poi tutto il lavoro di costruzione fisica dei personaggi, che forse è una delle parti più divertenti nello scrivere un romanzo. Io faccio un casting: scelgo tra amici, sconosciuti per la strada, amici di facebook. Trasporto corpo e gestualità nella scrittura. Il protagonista del mio primo romanzo, “Ti credevo più romantico”, fisicamente era Luciano, un amico di famiglia.

 

Bellissima questa chicca del tuo laboratorio di scrittura, grazie Antonio!

Pur non inventando nulla, “Il brigatista” è un “romanzo romanzo”, in cui si rimane con il fiato sospeso fino alla fine. Sarà per l’introspezione dei personaggi, per l’intreccio di vite e di situazioni, per la varietà dei sentimenti che arricchiscono le pagine. Si smette di leggere con fatica e si vive interamente tra le pagine, avendo familiarità con tutti i personaggi, anche quelli secondari.
Come hai ottenuto questo effetto romanzesco così coinvolgente, senza inventare nulla? 

Antonio IovaneTi ringrazio davvero. Non so bene se ci siano segreti e se sia possibile esprimerli, ma posso darti un elemento: credo che il “montaggio” del romanzo sia fondamentale per creare l’elemento dinamico di cui parli (Il fiato sospeso). Del resto, con Brodskij, anche io credo che “la qualità di un racconto non dipende dalla storia in sé ma dal montaggio”.

 

Un altro elemento che mi ha affascinata del tuo modo di raccontare questi anni difficili, ma anche così contraddittoriamente pieni di vita e di energia, è di aprirti senza per questo dare una visione unica e unilaterale alla “critica” del periodo e dei fenomeni che l’hanno contrassegnato, se così si può definire.
Intanto nel tuo romanzo convive lo stragismo nero con le Brigate Rosse in un quesito che lasci ai lettori e che innesti nell’introspezione dei singoli personaggi: possono essere considerati la stessa cosa?
Ancora i rapporti delle Brigate Rosse con la Resistenza e i partigiani in una figura di secondo piano così carismatica e complessa come Rocco.
Inoltre il valore e il peso della cultura e della manipolazione che di essa si può fare ai propri fini.
Infine il giornalismo con i suoi personaggi più emblematici e il valore sotteso ad una corretta, acuta, lungimirante visione del reale. 
Fondamentale per buona parte del romanzo, all’interno di questo sguardo critico su quegli anni, è la figura di Paolo Galbiati: chi è? Ha un ruolo di collegamento “dall’alto” per usare una sua intuizione? sbaglio nel dire che ho come subdorato che sia il personaggio a cui ti affidi come sguardo in maniera più netta? e se sbaglio c’è tra gli innumerevoli personaggi a cui ti affidi nella narrazione del romanzo, qualche sguardo privilegiato che meglio rappresenti il pensiero di Antonio Iovane?

Antonio IovaneQuesto non è un romanzo a tesi, la mia operazione è stata quella di prendere i personaggi di quel periodo e metterli sulla scena facendoli agire. Il risultato è l’indagine sulla Storia. Non è un libro per tifosi, ci si deve entrare senza pregiudizi, senza alcuna idea preconcetta sul periodo. Ed è proprio per questo che non ti dirò dove si trovi il mio sguardo, potrebbe essere ovunque, ma ritengo che questo sia un elemento ininfluente e anche di scarso interesse. Se poi mi chiedi per quali personaggi provi più simpatia, questo è un altro discorso. Ma per me l’essenziale è che il romanzo prescinda dal suo autore.

 

Concordo con te, ed è per questo che ritengo che il tuo romanzo si presti molto bene per essere letto nelle scuole, dai ragazzi che sempre meno conoscono la storia della seconda metà del Novecento e si trovano per questo sempre più impreparati a decrittare la realtà contemporanea.
Sarà per la presenza dei dialoghi, ma “Il brigatista” si presterebbe molto bene a una riduzione cinematografica o ancora più a passo con i tempi una serie televisiva.
Ci hai pensato? Ti piacerebbe? Sarebbe un progetto al quale ti presteresti?

Antonio IovaneNon credo che troverai mai qualcuno che ti dica no, mi dispiacerebbe molto, sarebbe un vero peccato se diventasse un film. Se non altro per il traino che potrebbe rappresentare. Ma al momento voglio che “Il brigatista” viva con la sua lingua di origine. Poi chissà.

 

Mi rimane la curiosità di conoscere i personaggi che ti sono più simpatici. Ne approfitto per complimentarmi per i personaggi femminili, donne forti e coraggiose, determinate nei loro ideali e acute nel modo di osservare la vita e i sentimenti. Per nulla e in nulla stereotipate. Libere, essenzialmente e soprattutto libere.

Antonio IovaneProvo grande simpatia per Galbiati, un buono che crede in quello che fa. E anche per Ornella, con la sua testa complicata e il suo cuore ancora di più. 

Chiacchierando con… Antonio Iovane