colle-oppio

Qual è il posto scelto da Melissa Panarello, dove ci saremmo viste per fare una chiacchierata sul nuovo bel romanzo,  di intensità senza sentimentalismo e retorica, “Il primo dolore” edito da La nave di Teseo?

Uno dei miei posti preferiti è il parco di Colle Oppio, a Roma – mi risponde e come darle torto?

Il primo doloreQuindi scelto il luogo ideale, partiamo subito con la prima domanda.

Due lunghe notti parallele, che segnano il destino di due donne: Rosa e Agata. Presente e passato. Una prima persona che parla nel presente e una terza persona per raccontare il passato.

Due madri nel momento supremo de “Il primo dolore”. Il sentimento per antonomasia: quello materno, raccontato con intensità e senza alcun cedimento al sentimentalismo. 
Partirei dall’esergo con la citazione di Elsa Morante (scrittrice sublime che in parte condivide con Rosa quell’assenza che è l’origine del dolore), che diventa la mia prima domanda: dalle altre femmine uno può salvarsi, può scoraggiare il loro amore: ma dalla madre chi ti salva?

foto Melissa Panarello di Tommaso Bonaventura
foto Melissa Panarello di Tommaso Bonaventura

Credo che ciascuno sia responsabile della propria salvezza, anche quando il nemico da combattere è una figura tanto potente come quella della madre. Non mi riferisco ovviamente alla madre reale, ma a quella più subdola che è la madre interiore, alla quale attribuiamo gran parte delle ferite che ci portiamo dentro. Salvarsi dalla madre reale, qualora si avesse un rapporto conflittuale, potrebbe in teoria essere facile: basta, insomma, interrompere con lei ogni rapporto. Ma dalla madre immaginaria, in effetti, chi ti salva? Da quello sguardo di disapprovazione, risentimento e rancore? Ho incontrato molte persone anziane che non hanno ancora curato quella grande ferita lasciata dalle loro madri, dai loro padri; e non perché non abbiano lavorato abbastanza su se stessi, ma forse perché nonostante siano diventati loro stessi genitori, non hanno mai smesso di essere figli, hanno ancora dentro di sé quei bambini vulnerabili ancora in cerca dell’abbraccio della mamma. Forse, penso, varrebbe la pena che riscopriamo quella madre dentro di noi, e diventiamo la madre di noi stessi, diventiamo noi la nostra casa e l’abbraccio di cui abbiamo bisogno. 

 

La figura della madre non può essere disgiunta dal concetto di maternità. 
Su questo nel romanzo tu lasci affiorare una concezione molto potente che abbraccia i due personaggi femminili.
La maternità vista come rinascita. Non semplicemente nella possibilità di dare alla luce un nuovo essere, ma nell’esplosione che il dare alla luce un nuovo essere fa scattare nel corpo, ma ancora di più nella psiche femminile. 
Da quel primo dolore, dove l’aggettivo a mio avviso non va inteso in senso numerale ma nel senso pregnante di primigenio originario unico, la donna non può essere più quella di prima.

Fuori da ogni sentimentalismo mi sembra che tu abbia voluto superare l’idea che la maternità sia un bene, sempre e comunque. 
La maternità è dolore, primigenio e acuto, da cui non si ci libera più e che può essere un male come nel caso di Agata o un bene, se è vissuto intimamente come una rinascita, come nel caso di Rosa.
Il tuo romanzo ruota intorno al dolore o alla maternità, oppure nasce dall’incrocio di questi due elementi?

foto Melissa Panarello di Tommaso Bonaventura
foto Melissa Panarello di Tommaso Bonaventura

Non credo naturalmente che la maternità sia necessariamente legata al dolore, eppure sono convinta che un modo per vivere più serenamente la condizione di madre sia quello di accettare la sofferenza che spesso quel ruolo produce. Siamo circondati da messaggi positivi rispetto alla maternità, non sentiamo altro che frasi come “L’essere madre ti completa come donna” oppure “La gravidanza è il momento migliore della vita di una donna”. No, non sono d’accordo. Forse può essere vero per alcune donne, ma impossibile che lo sia per tutte. 

Il dolore di cui parli tu è assolutamente primigenio: non è il banale dolore del parto, ma il dolore di ricucire e unire dentro di sé due figure potentissime, ovvero la madre e la figlia. Pensiamo a Demetra quanto ha sofferto quando ha perso sua figlia: i lamenti di quella madre risiedono in noi e nel nostro modo di intendere la maternità; anche Persefone ha sofferto perché da Kore, ovvero semplice fanciulla, ha dovuto compiere un percorso insidioso per diventare Persefone, appunto, Regina delle anime. 

 

Ad amplificare sia le figure femminili sia i sentimenti da cui sono travolte, l’uso accorto e sapiente della categoria temporale. Una sola lunga notte, mitica ancestrale amniotica. A distanza di 44 anni e in parallelo nelle pagine del romanzo, la notte di Agata si scontra e si racconta con quella di Rosa, per trovare soluzione e sintesi all’alba con la nascita di una bambina, che le include entrambe.
Fermare il tempo per farlo divenire assoluto in cui ri-generarsi e dunque ri-nascere, o come nel caso di Agata per assolutizzare una ferita che segna per sempre. Da quella notte si dipana il passato di entrambe le donne, che avvolge e svolge il mistero della loro relazione.
Cosa succede in quella notte? E che valore assume nella struttura narrativa scegliere un tempo così ristretto che diventa perno esistenziale delle vicende?

foto Melissa Panarello di Tommaso Bonaventura
foto Melissa Panarello di Tommaso Bonaventura

È da molto tempo che tutto quello che scrivo cerco di collocarlo in un’unità di tempo e di spazio; questo perché, probabilmente, mi sono resa conto che tutte le cose più importanti e decisive non accadono mai in un lungo arco di tempo, ma spesso in una manciata di secondi: nascere, morire, vedere la propria sorte cambiare, guardare per la prima volta un uomo o una donna e innamorarsene, non sono cose che richiedono tempo. Tutto, semplicemente, accade. Nel romanzo molte cose hanno bisogno di lungo tempo per essere processate, elaborate: l’essere stata una figlia poco amata, l’essere stata una donna infelice, non sono cose che si possono risolvere in una notte. Eppure una sola notte può portare la svolta decisiva, dare finalmente uno scossone alle cose, far girare la ruota in un altro senso. 

 

Accanto alle due protagoniste, Rosa e Agata, i loro uomini: Andrea e Saverio. Anche loro in opposizione per ruolo, tempi, circostanze. Ma soprattutto per la scelta che li ha visti essere compagni. 
Andrea e Rosa si sono scelti e riconosciuti; Saverio e Agata hanno vissuto la loro scelta con meno consapevolezza, immaturità forse da parte di lui e rassegnazione da parte di lei.
Attraverso le figure maschili mi sembra che sia più netta la dicotomia dei periodi storici in cui le due donne si trovano a vivere. 
È agli uomini che hai affidato in sottofondo la traccia di un certo percorso di parità se vogliamo, o comunque di maggiore consapevolezza del proprio ruolo che le donne hanno acquisito negli ultimi decenni?

foto Melissa Panarello di Tommaso Bonaventura
foto Melissa Panarello di Tommaso Bonaventura

Le figure maschili sono state fondamentali in questa storia e lo sono state sia perché, come dici tu, incarnano la cultura del loro tempo, sia perché entrambi, inconsapevolmente, riescono a dare una svolta alla vita delle protagoniste.

Mi è sempre sembrato ingiusto tenere lontani gli uomini da tutto ciò che si è sempre considerato femminile, come lo è la maternità. Oggi per fortuna gli uomini hanno acquisito la propria dignità di padri, si sentono meno ridicoli nell’eseguire gesti e pronunciare parole fino a poco tempo fa appannaggio delle donne. Terribile, però, chiamarli “mammi” perché ancora una volta li si rende subordinati e si investono le donne di responsabilità e aspettative troppo alte. 

 

Per la prima volta dall’esordio travolgente di “100 colpi di spazzola”, firmi la copertina con il tuo cognome per intero, invece della P. che ti ha reso celebre, e con la quale hai firmato tutti i romanzi fino a “Il primo dolore”.
Una maggiore consapevolezza del tuo ruolo di scrittrice o semplicemente un esito naturale della tua figura pubblica? 
Che peso e che valore ha “Il primo dolore” all’interno della tua produzione? Segna una svolta o si innesta in un percorso?

foto Melissa Panarello di Tommaso Bonaventura
foto Melissa Panarello di Tommaso Bonaventura

Fa parte di un percorso, naturalmente, e come tutti i percorsi (almeno, quelli che a me piace intraprendere) non può e non deve essere dritto. È stata l’evoluzione naturale, qualcosa che doveva accadere anni fa, ma è un bene che sia accaduta ora nella decade dei 30 anni. Volevo sbarazzarmi di un marchio, ma non di tutto quello che finora ho fatto, realizzato. A molti piacerebbe sentirmi dire che mi pento delle scelte che ho fatto, dei libri che ho pubblicato e in particolare modo il primo: mai avuto un simile, stupido, pensiero. Sono fiera del lavoro svolto finora, ma sono anche fiera della mia capacità di modificarmi e adattarmi ai tempi e alle cose seguendo il flusso naturale. E soprattutto: rimanere libera. 

Chiacchierando con… Melissa Panarello
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