di Antonello Saiz

Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”
Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”

 

 

 

 

 

 

Giugno in città

Diari PermunianA giugno, in città, a noi dei Diari ci pare bello e utile e coraggioso essere differenti e osare e sperimentare e tenere sempre altissimo il livello della Qualità. Per questa ragione abbiamo deciso di ragionare di filosofia, pensiero e azione con una filosofa e saggista al Mercoledì e di Sabato ospitare uno dei più grandi scrittori contemporanei, anzi il più grande in assoluto, per me, Francesco Permunian.

Mercoledì 12 Giugno abbiamo presentato “Sull’Empedocle di Giorgio Colli” di Federica Montevecchi, pubblicato da Luca Sossella Editore nella collana Numerus.

Federica Montevecchi, filosofa e saggista, è autrice, fra altri, di “Giorgio Colli. Biografia intellettuale”, Bollati Boringhieri, “Empedocle di Agrigento”, Liguori. Ha lavorato con Vittorio Foa e con lui ha scritto “Sulla curiosità”, Einaudi, e “Le parole della politica”, Einaudi. Collabora con riviste specialistiche e quotidiani.

A dialogare con l’autrice è stata Donatella Gorreta, docente di Italiano e storia, autrice di articoli e traduzioni di Simmel e Schweitzer.
Grande uomo di cultura, Giorgio Colli (1917-1979) fu filologo, pedagogo, filosofo, traduttore ed editore. Negli anni Cinquanta, curò la collana dei classici della filosofia per Einaudi. Traduttore dell’Organon di Aristotele e della Critica della Ragion Pura di Immanuel Kant, nonché – consegnandosi alla memoria del mondo intero – curatore con l’allievo Mazzino Montinari dell’edizione critica delle Opere di Friedrich Nietzsche. Di rilievo internazionale l’edizione critica delle “Opere” e dei carteggi di Friedrich Nietzsche, da lui realizzata a partire dagli anni Sessanta con la casa editrice Adelphi. Alla Scuola Normale Superiore di Pisa Colli ha insegnato Storia della filosofia antica per trent’anni, dal 1948 al 1979, anno della sua morte.

“Sull’Empedocle di Giorgio Colli” riflette sull’interpretazione colliana del filosofo-poeta presocratico dell’amore e dell’odio, considerato esponente di un mondo in cui la razionalità non può dar conto di se stessa, al contrario di ciò che pensano i moderni, perché alla sua radice sta un ‘agalon’, un’immediatezza vitale inattingibile e inesprimibile rappresentativamente. Si tratta di un’interpretazione in cui è possibile rintracciare temi della dottrina teoretica di Colli sull’espressione e soprattutto l’intendimento della filosofia come espressione di pensiero ed di azione. Giorgio Colli è stato, infatti, un esempio raro di indipendenza e originalità intellettuale: filosofo, filologo, organizzatore editoriale, ha attraversato anni decisivi della storia italiana dando contributi alle case editrici Einaudi, Boringhieri e Adelphi.

Francesco Permunian è in libreria da questa settimana con “Sillabario dell’amor crudele” pubblicato da Chiarelettere nella Collana Narrazioni curata da Michele Vaccari.

Sabato 15 giugno in anteprima abbiamo avuto l’onore di poterlo ospitare ai Diari di Parma per la seconda volta. Ha iniziato la sua presentazione seduto in mezzo al pubblico, quasi a voler dire che non c’è nessuna separazione tra lui e loro, e poi invece di soffermarsi troppo sul suo libro, ha fatto una altissima lezione di Letteratura contemporanea spaziando da Zanzotto a Piovene, da Parise a Fogazzaro, da Amelia Rosselli a Sandro Penna, passando per Elsa Morante e Moravia e finendo con Maria Corti e la Maraini.

«Di tutto il verminaio di dolore e di umiliazioni inflitte a bambini e a ragazzini molto poveri e sordomuti, ho cercato di fare un’opera di fantasia letteraria ambientata dentro un orfanotrofio… La voce narrante è quella di un nano che, alle soglie della vecchiaia, rievoca la sua infanzia violentata.»

Se grottesca è la condotta del clero in Italia, grottesca dev’essere la sua rappresentazione in forma narrativa. A cominciare dal suo protagonista, il nano Baseggio (“un aberrante capriccio divino, questo sono io”), che a distanza di anni ricorda le violenze subite in un orfanotrofio italiano (“È stato come svegliarsi in un incubo”), e chiede vendetta. Con lui ecco la bambina prostituta Baby Yaba, la madre superiora suor Clemenzia, che dirige l’orfanotrofio con metodi da lager, padre Camilo Mendes, un vescovo del Vaticano e molte altre figure – il parroco del paese, le beghine, gli intellettuali di provincia, due trans, una banda di barboni – che insieme fungono da “coro” e formano tante tessere di un’unica rappresentazione. A tratti scanzonato, a tratti feroce, in una danza di zie, eminenze, suore, mogli, il libro di Permunian ci fa entrare nei segreti della borghesia provinciale, con la Chiesa che diventa il baricentro del male italiano, dalla violenza sui disabili minorenni all’accoglienza dei migranti, in un compendio, ideale perché crudo, di bassezze che trascendono l’umano. Un libro impudente e blasfemo, un feroce atto d’accusa contro l’oscenità della pedofilia cattolica.

Nato a Cavarzere nel 1951, Francesco Permunian vive da anni a Desenzano sul lago di Garda. Ha pubblicato diversi libri, tra i quali “Il principio della malinconia” (2005), “La casa del sollievo mentale” (2011), “Il gabinetto del dottor Kafka” (2013).
Nel 2017 Il Saggiatore ha pubblicato in un unico volume i suoi primi due romanzi (Cronaca di un servo felice e Camminando nell’aria della sera) sotto il titolo “Costellazioni del crepuscolo”. A cura di Andrea Cortellessa nel 2018 esce presso Aragno “La plasmabilità artistica del cartone e il suo impiego nella scuola”, con un racconto di Permunian e uno di Bruno Schulz. Infine le edizioni Theoria, nella collana di narrativa diretta da Andrea Caterini, oltre a “Chi sta parlando nella mia testa?”, hanno in programma di ristampare “Nel paese delle ceneri”.
Angelo Guglielmi di Permunian ha detto : «Lui è il più bravo. Ha battuto i colleghi cattivi della vicina regione, i Piovene e i Parise. Loro si muovono tentennanti fra tradizione e protesta, lui d’un balzo salta al centro della scena europea.»

Tra i titoli introvabili di Permunian negli scaffali della libreria ai Diari di Parma anche un bellissimo libro edito da Diabasis qualche anno fa e quasi introvabile, “Dalla stiva di una nave blasfema”.

Esperto nell’arte del rancore e della malinconia – quella malinconia che succede inevitabilmente alle illusioni giovanili – l’autore di questo singolare “romanzo” famigliare ha costruito un quotidiano teatrino pubblico e privato, spesso crudele, spesso cialtronesco, i cui ambienti, un tempo fonti di vita e di tensioni ideali, si sono degradati a scene impolverate. Un libro zibaldone di materiali narrativi da officina letteraria personale che trasfigurano in amari o irridenti sguardi sul mondo, sul tempo che l’autore vive, sulla repubblica delle lettere, un Journal stralunato che è insieme letteratura morale, diario, estensione di abbozzi narrativi. Un teatrino popolato da una galleria di maschere grottesche e caricaturali: dai cattivi maestri di gioventù ai bravi borghesi conformisti quali sono oggi diventati; dai protagonisti di una società letteraria ipocrita e maneggiona al ritratto ormai sfigurato del paese dell’infanzia e dell’innocenza. Il tutto mentre sembrano riecheggiare le parole di Goldoni indirizzate ad Agostino Paradisi in una lettera del 28 marzo 1763: ” Questi commedianti italiani erano avvezzi a rappresentare le piu’ sconce farse del mondo”.

Altro introvabile di Francesco Permunian che invece si trova ai Diari è “Il principio della malinconia” edito da Quodlibet nel 2005.

Sono raccolti in questo volume una serie di appunti e di frammenti autobiografici, scritti dall’autore nel corso degli ultimi vent’anni. Ne è risultato una specie di diario in cui la figura della donna amata, poi perduta, e la conseguente esperienza del lutto, si spogliano di ogni accento realistico per trasformarsi in una sorta di spartito lirico visionario. Fino a diventare un canto sommesso, in cui il lamento funebre e la coscienza del nulla accompagnano la marcia trionfale del tempo il quale, con sovrana indifferenza, calpesta e umilia ogni cosa. Perfino il ricordo e la pietà dell’amore.

Il 10 giugno scorso la mia socia e compagna di vita, Alice, ha compiuto gli anni e non esiste regalo più bello per una Libraia che un libro. Così ho pensato ai uno dei libri più belli che io abbia letto in questo scorcio di 2019. Un libro che racconta molto di noi due, su chi siamo e da dove veniamo, su quali sono i nostri valori e verso dove siamo diretti: la Felicità, la Svolta, i porti sicuri che cerchiamo noi viaggiatori viaggianti che di radici ne abbiamo poche. Il libro è “La Straniera “di Claudia Durastanti, edito da La nave di Teseo.

La Durastanti è una delle più belle realtà della Letteratura italiana. Nel libro si parla di Basilicata e di un paesino attaccato alla mia Tramutola, San Martino d’Agri. Claudia Durastanti nata a Brooklyn nel 1984, è scrittrice e traduttrice. Il suo romanzo d’esordio “Un giorno verrò a lanciare sassi alla tua finestra” (2010) ha vinto il Premio Mondello Giovani; nel 2013 ha pubblicato “A Chloe, per le ragioni sbagliate”, e nel 2016 “Cleopatra va in prigione”, in corso di traduzione in Inghilterra e in Israele. E’ stata Italian Fellow in Literature all’American Academy di Roma. E’ tra i fondatori del Festival of Italian Literature in London. Collabora con “la Repubblica” e vive a Londra.

“La storia di una famiglia somiglia più a una cartina topografica che a un romanzo, e una biografia è la somma di tutte le ere geologiche che hai attraversato”. Come si racconta una vita se non esplorandone i luoghi simbolici e geografici, ricostruendo una mappa di sé e del mondo vissuto? Tra la Basilicata e Brooklyn, da Roma a Londra, dall’infanzia al futuro, il nuovo libro dell’autrice di Cleopatra va in prigione è un’avventura che unisce vecchie e nuove migrazioni. Figlia di due genitori sordi che al senso di isolamento oppongono un rapporto passionale e iroso, emigrata in un paesino lucano da New York ancora bambina per farvi ritorno periodicamente, la protagonista della Straniera vive un’infanzia febbrile, fragile eppure capace, come una pianta ostinata, di generare radici ovunque. La bambina divenuta adulta non smette di disegnare ancora nuove rotte migratorie: per studio, per emancipazione, per irrimediabile amore. Per intenzione o per destino, perlustra la memoria e ne asseconda gli smottamenti e le oscurità.
Non solo memoir, non solo romanzo, in questo libro dalla definizione mobile come un paesaggio e con un linguaggio così ampio da contenere la geografia e il tempo, Claudia Durastanti indaga il sentirsi sempre stranieri e ubiqui.
La straniera è il racconto di un’educazione sentimentale contemporanea, disorientata da un passato magnetico e incontenibile, dalla cognizione della diversità fisica e di distinzioni sociali irriducibili, e dimostra che la storia di una famiglia, delle sue voci e delle sue traiettorie, è prima di tutto una storia del corpo e delle parole, in cui, a un certo punto, misurare la distanza da casa diventa impossibile.

Nel paesino della Basilicata di Claudia Durastanti andavo con mio zio “Ciccillo” a vendere scarpe da ambulante durante la stagione estiva. Quando si arrivava all’alba, in questi paesini arroccati e con strade di comunicazione complicatissime, era una festa. Non è che ci andassi con felicità a fare una vita sacrificatissima per un ragazzino che avrebbe voluto ancora giocare, ma la povertà non era uno scherzo agli inizi degli anni ottanta. Eravamo in quattro a studiare e mio padre faceva l’operaio. Quei soldi, che accumulavo con saggezza, mi servivano per andare a Napoli a inizio settembre e a comprare i libri che occorrevano per studiare e fare quel Liceo classico a cui tanto tenevo. Di quegli anni del liceo ho un ricordo dolcissimo e meraviglioso. Lo scorso 27 febbraio è morta la mia insegnate Camilla Schiavo, grande amica e faro delle letture in tutti questi anni. Con tutti quei compagni di avventure ho mantenuto contatti in questi anni e legami. Uno di questi è con una ragazza di un paesino chiamato Paterno, Rosalba Taranto, che viaggiava in corriera con me e che dopo trenta e passa anni, segue i miei consigli di lettura in Rete, acquista libri in Rete e partecipa attivamente alle nostre iniziative solidali.

A febbraio è stato pubblicato da L’Erudita, marchio di Giulio Perrone Editore, “Io sono Fiume”, del marito di Rosalba, Mario Santamaria. Quando il libro mi è arrivato, spedito da Rosalba e Mario, ho pensato che è bello far circolare libri, cultura, e poi divulgare e far conoscere e promuovere le cose belle. Mario Santamaria è nato a Roma nel 1971. Laureato in Antropologia, si occupa di comunicazione in ambito universitario. Negli anni ’90 una sua storia breve viene inserita in una raccolta edita dal Comune della sua città. Nel 2008 pubblica a quattro mani “Le favole di Nonna Viola”, un testo per ragazzi. Nel 2014 dà vita a www.narrabit.it, un blog di racconti. Nel 2016 esce “La sezione profonda”, (L’Erudita, Gruppo Perrone Editore). Nel 2017 vince il Premio Letterario Roberto Iannilli. “Io sono il fiume” è il suo primo romanzo.

“Io sono il fiume” è la storia di due generazioni, di un figlio inseguito dal fantasma ingombrante del padre e del sogno dell’uomo di governare il tempo. È la storia di tre scienziati e della loro avventura, partita da una domanda con troppe risposte. Quanto dura il presente? È la storia di Appo e Bliss. Del viaggio attraverso le Fasce Esterne che riscriverà più volte le loro vite. È la storia di Roma, devastata dai bombardamenti della Grande Battaglia. Ridotta a un pugno di quartieri protetti dal Recinto. Il suo nome, proibito. È la storia di un uomo senza scrupoli che minaccia l’ordine universale, spinto da un’ossessione che chiama amore. Con uno stile fluido e coinvolgente, Mario Santamaria trascina il lettore in un mondo dove tutto può essere cambiato, ma a caro prezzo.

Questo spazio che mi è stato offerto da Giuditta Casale è nel tempo diventato un crocevia fatto di scambi e intrecci letterari. E così è capitato che sia la tenutaria del Blog che una grande amica dei Diari come Anna Lapenna mi abbiano segnalato il libro di Giovanni Accardo, “Il diavolo d’estate”, edito da Ronzani editore. Una sorta di giallo che racconta il percorso di formazione di un adolescente negli anni ’70 con un linguaggio capace di descrivere in modo nitido paesaggi e stati d’animo, ma anche di rinviare a un altrove che esula dalla realtà. Giovanni Accardo è nato in Sicilia nel 1962, vive a Bolzano dove insegna materie letterarie al Liceo delle Scienze Umane/Artistico “Pascoli”. Dirige la scuola di scrittura creativa “Le Scimmie”, e collabora con il quotidiano “Alto Adige”. Nel 2006 ha pubblicato il romanzo “Un anno di corsa” (Sironi Editore) e nel 2015 “Un’altra scuola. Diario verosimile di un anno scolastico” (Ediesse). Nel 2019 ha curato l’antologia di racconti “Risentimento” (Edizioni Alphabeta Verlag).

Sicilia, luglio del 1978, a un paio di mesi dall’omicidio Moro. Il diciasettenne Salvatore (Totò) si aggira annoiato per le vie deserte e infuocate di un paesino della provincia di Agrigento. Ignazio e Siso spingono l’auto rimasta senza benzina; stanno andando al mare da Michele, figlio del vicesindaco, che ha promesso di intercedere con il comune per far passare la loro proposta di trasformare il piazzale della villa del barone Farina in una discoteca all’aperto, e invitano Totò a unirsi a loro.Quella stessa estate, di Ferragosto. Totò e Siso scoprono che nella discoteca è scoppiato un incendio. In un istante, gli scontri con chi si era opposto all’apertura e il successo dell’iniziativa vengono vanificati. E tra quelle antiche mura si consuma la tragedia: gli inquirenti rinvengono un corpo ridotto a tronco carbonizzato, quello di Ignazio. Totò è costretto ad affrontare la morte dell’amico, e i dèmoni che lo affliggono.
A fare da sfondo a tormenti e passione, è una Sicilia concreta, segnata dalla disperata emigrazione verso il Nord, dall’ombra pressante della mafia e dal clientelismo che dilaga, e una Sicilia magica e visionaria, dove si mescolano paure e radicate credenze popolari.

Termino lo Zaino con una iniziativa che ci vede protagonisti in prima fila in questo giugno e in questa estate: dalla Città dei Lettori di Firenze è nata una iniziativa che mette insieme alcune librerie italiane nel segno della lettura di qualità.
Chiunque l’abbia letta, ha amato questa bellissima storia, ambientata in una calda estate, in riva all’oceano. In particolare, sette librerie italiane, da nord a sud, stanno facendo rete per puntare i fari di social e stampa su questo libro. Sette Librerie per un titolo solo. Nell’Italia delle divisioni e delle barriere, sette librerie unite da Nord a Sud propongono per tutta l’estate un romanzo divertente e malinconico, scelto dai librai tra decine di titoli perché a distanza di anni mantiene intatta la sua freschezza e originalità. Si tratta di “Acqua di mare” di Charles Simmons, appena ripubblicato da Sur nella traduzione di Tommaso Pincio.
Un libro contenuto tutto nella prima frase, quindi non esiste il rischio di spoiler: “Nell’estate del 1963 mi innamorai e mio padre annegò.”La vera sorpresa dell’estate sarà entrare nelle nostre librerie e farvi consigliare da librai appassionati e competenti. Per tutta l’estate vi terremo compagnia con le parole di questo e tanti altri bei libri.
L’iniziativa è inclusiva e aperta a tutti: si può partecipare con un post, una foto, una citazione, una considerazione.
Le sette librerie unite per questa iniziativa sono Nina di Pietrasanta , Verso Libri di Milano, Modusvivendi di Palermo, Therese di Torino, Diari di Bordo di Parma , Arcadia di Rovereto e Todo Modo di Firenze.
“Acqua di mare”, pubblicato per la prima volta nel 1998, è l’ultima opera di un grande scrittore da riscoprire: «un piccolo capolavoro», come lo ha definito il New York Times, una commedia delicata e commovente che SUR ripropone oggi in una nuova traduzione d’autore. Charles Simmons riscrive la novella di Turgenev “Primo amore”, la scoperta dell’amore, o per meglio dire l’ossessione che crea durante l’adolescenza, che può cambiare l’intera esistenza.

Estate 1963. Mentre l’America vive gli ultimi scampoli di ottimismo e prosperità dell’era kennediana, il quindicenne Michael trascorre le vacanze con il padre e la madre nella villa di Bone Point, sulle rive dell’Atlantico. Il loro sereno ménage upper class viene però travolto dall’arrivo della signora Mertz e di sua figlia Zina, ospiti nella foresteria della casa; avvenenti e disinibite, le due donne conquistano fin dal primo istante le attenzioni del ragazzo e di suo padre Peter, scatenando le gelosie della madre e quelle di Melissa, figlia di amici di famiglia e innamorata a sua volta di Michael. In questo gioco erotico di specchi, che non risparmia nessuno – perfino Blackheart, il cane di Michael, sembra incapace di controllarsi quando è nelle vicinanze della cagnetta di Zina, Sonya, a lui sdegnosamente indifferente – il ragazzo conoscerà la prima delusione della sua adolescenza e vedrà messa a dura prova l’amicizia virile che lo lega al padre.

Nello Zaino di Antonello: Giugno in città