di Andrea Cabassi

Andrea Cabassi

 

 

 

 

 

INSEGUITI? INSEGUITORI?

Recensione al libro di Claudio Bagnasco

“Gli inseguiti” (Cartacanta)
bagnasco

Vladimir Jankélévitch è uno dei più importanti filosofi del Novecento. Con la sua figura, con il suo pensiero è necessario un confronto continuo, soprattutto perché tratta temi fondamentali come lo charme, lo scorrere del tempo, la nostra condizione esistenziale caratterizzata dalla finitudine. Sostiene, in tutta la sua opera, e, in particolare, in “Il non-so-che e il quasi-niente” (Einaudi 2011) che è proprio la finitudine che rende le nostre vite uniche, irripetibili. Se noi fossimo eterni non avremmo questa percezione, non sentiremmo lo charme delle cose che ci circondano e le nostre scelte non sarebbero importanti e così cariche di valori. Riflessioni che echeggiano uno scritto celebrativo del 1951, composto per la ricorrenza dei duecentocinquanta anni del Ginnasio dei Padri Scolopi a Vienna, del filosofo, umanista e pedagogista tedesco Karl Dienelt “L’esistenzialismo di Omero” (La scuola di Pitagora editrice.2018). In quello scritto Dienelt sostiene che la vita di Achille e degli eroi dell’Iliade sia superiore a quella degli dei proprio perché la si sceglie, proprio perché c’è, necessariamente, un tempo che la scandisce; mentre quella degli dei è atemporale, la loro immortalità non li costringe a scelte immediate, essi possono sempre posticiparle. Ancora una volta è la finitudine il luogo centrale di queste meditazioni.

Jankélévitch è stato anche un ottimo pianista e studioso di musica. Ha dedicato saggi molto importanti a Ravel, Fauré, Debussy. A proposito di “Des pas dans la neige” di Debussy scrive:

“Così il Preludio di Debussy Des pas dans la neige, che medita lungamente sulle orme di una presenza andata, ci dice sottovoce la nostalgia dell’assenza e il rimpianto straziante… (Tempi Moderni Edizioni. 1985. Pag. 207).

Finitudine, nostalgia dell’assenza, rimpianto sono le nostre modalità di essere nel mondo, sono emozioni e sentimenti da cui non possiamo prescindere.

Claudio Bagnasco

Questa premessa era necessaria perché è un grande piacere vedere citato dallo scrittore Claudio Bagnasco, Vladimir Jankélévitch. In una intervista concessa a Marida Muscianese “Gli Inseguiti, Claudio Bagnasco ci parla del suo nuovo romanzo” (https://cultura.moondo.info. 27 febbraio 2019), Claudio Bagnasco parla dei suoi riferimenti letterari e dei filosofi che lo hanno influenzato. Tra i filosofi cita Cioran e, appunto, Jankélévitch.

Prima di addentrarmi nell’analisi de “Gli inseguiti” (CartaCanta. Capire Edizioni 2019) mi sia permessa un’altra citazione perché la vedo correlata a questo intenso e bel romanzo. Si tratta del Rilke di “Lettere a un giovane poeta” (Adelphi 1980. Ultima edizione 2018).  Rilke scrisse queste  lettere, che hanno come contenuto un’approfondita riflessione sui rapporti tra arte e vita,  al giovane scrittore Kappus tra il 1903 e il 1908. In una lettera inviata a Kappus da Roma il 14 maggio 1904, Rilke scrive:

“E questo più umano amore (che si compirà infinitamente attento e sommesso, e buono e chiaro nel legare e nello sciogliere) somiglierà a quello che noi con lotta faticosa prepariamo, all’amore che in questo consiste, che due solitudini si custodiscano, delimitino e salutino a vicenda” (Pag. 53. Il corsivo è mio).

E conclude, facendo pensare a Freud:

“… non crediate che quel grande amore che a voi, fanciullo, un tempo si impose, fosse perduto; potete voi dire se allora non siano maturati in voi grandi e buoni desideri e premesse, di cui vivete ancora oggi? Io credo che quell’amore resti così forte e potente nel vostro ricordo, perché fu la prima vostra profonda solitudine e il primo lavoro intimo che voi avete dedicato alla vostra vita…” (Pag.53-54).

Finitudine, mancanza, desideri, amore, solitudini che si sostengono a vicenda sono tutti elementi che si intersecano, si incrociano nel romanzo di Claudio Bagnasco.

Ma chi è Claudio Bagnasco? E’ nato a Genova e ha pubblicato saggi di linguistica, racconti, brani di poetica. Ha pubblicato il romanzo “Silvia che seppellisce i morti (Il Maestrale. 2010), la raccolta di racconti “In un corpo solo” (Quarup. 2011). Ha curato il volume “Dato il posto in cui ci troviamo. Racconti dal carcere di Marassi” (Il Canneto 2013). Insieme a Giovanna Piazza ha ideato e curato il blog letterario Squadernauti che, dalla primavera del 2019, diventerà rivista cartacea con periodicità semestrale. E ora, grazie a CartaCanta-Capire Edizioni, che propone titoli di grande interesse, questo “Gli inseguiti” che, specifica Bagnasco, è stato scritto tra gli anni 2012- 2013.

Chi sono gli inseguiti? Inseguiti da chi? Da cosa? Dalla vita? Dai ricordi? Da un passato che non passa? Da quei rimorsi che ci perseguitano e di cui parla Antonio Tabucchi in “Requiem” e in altri suoi racconti quando analizza la fenomenologia dell’Herpes Zoster? E’ la vita, con gli struggimenti, i rimpianti, le occasioni perdute che la caratterizzano, a  inseguirci? O siamo noi che la inseguiamo? Inseguiamo desideri che non possiamo realizzare? Inseguiamo una realizzazione, nella nostra vita, che è impossibile perché, lo si voglia a no, viviamo nella dimensione della mancanza e della finitudine?

Tutti i personaggi di Bagnasco, donne, uomini, adolescenti, sono, contemporaneamente, inseguiti e inseguitori. La città è un città di mare e ha tutta l’aria di essere Genova, anche se non viene mai citata.

Due parole sulla trama: ci sono storie parallele che si intrecciano. C’è la storia di Oreste che è perseguitato dal ricordo di una rapina che aveva fatto in cui ci sono stati morti, compreso il suo complice Michele; una rapina che lo ha reso ricco e di cui non è mai stato sospettato; c’è la storia di Franco, finito nelle mani degli usurai, che incrocia quella di Oreste e che ha un figlio adolescente, Tullio, con i problemi tipici dell’adolescenza; c’è la storia di Cesare, vedovo, che vive con la sorella Veronica molto malata e ha un rapporto molto importante con il nipote Davide, amico di Tullio; c’è la storia drammatica di Barbara, trascinata nel baratro da Nicola e che vive nello stesso stabile di Cesare; c’è la storia di Eugenio che lavora come editor, che ha una relazione, prima con Loredana, poi con la sorella di Loredana, Marzia, che ha un complesso rapporto di amicizia con Paolo, l’altro editor che condivide con lui l’ufficio; c’è la storia dell’amicizia dei due adolescenti Tullio e Davide e di quella, triste, di Antonello e il suo cane.

Difficile riassumere i personaggi. Sono tutte figure vive, reali, mai bidimensionali con le quali ci identifichiamo, con cui ci arrabbiamo, con cui condividiamo i dolori, le scelte. A volte ci stupiscono le loro invidie, le loro gelosie, le loro aspirazioni. Questa  tridimensionalità di tutti i personaggi è uno dei grandi pregi del romanzo.   

Oreste e Franco sono degli inseguiti. Oreste è inseguito dai rimorsi (che lo hanno portato a fare del bene), Franco dagli uomini dell’Organizzazione. In un drammatico incontro Oreste e Franco dialogano sull’essere inseguiti:

“Oreste, Oreste, senta. Noi non ci conosciamo. Io vorrei solo capire perché mi ha inseguito”.

“Io non l’ho mai inseguita”

Cioè?”

“Cioè io non l’ho mai inseguita. Prima di oggi l’ho vista solo due volte sulla passerella”.

“Sì”.

“E tutt’e due le volte ho immaginato che lei avesse un problema”

“…”

“E mi è venuta  voglia di… Comunque è vero, non ci conosciamo. E ovviamente lei non è obbligato a restare qui” .

Franco pensa: Gli è venuta voglia di cosa? Perché non lo ha detto?

“Non si preoccupi, non me ne vado: e avevo un problema, sì”.

Che adesso è peggiorato, aggiunge tra sé.

“Lei era già inseguito da qualcuno”. (Pag.106-7).

Un dialogo che può assurgere a dimensione simbolica del romanzo: l’inseguito dai rimorsi, l’inseguito dall’Organizzazione. 

Loredana insegue la vita, non si realizza nel suo rapporto con Eugenio e non riesce a mantenere vivo nessun interesse:

“Ma Loredana non sa mantenere vivo nessun interesse. Il suo entusiasmo a un certo punto si esaurisce. Non perché si penta delle energie fin lì profuse: è che di colpo si sente stanca, deve abbandonare il proposito, finisce per non ricordarsi più il motivo che l’aveva portata a spendersi” (Pag.125). 

Come se non ricordasse più quello che sta inseguendo, come se non fosse più motivata a farlo.

E Barbara, che andrà alla deriva inseguita da Nicola, conosciuto attraverso una telefonata di lavoro. Qui c’è solo solitudine, non ci sono solitudini che si incontrano e diventano solidali, ma un rapporto simile a quello tra vittima e carnefice.    

E Cesare che, secondo l’intervista riportata più sopra, arriverà all’inazione ricordandoci alcuni personaggi della letteratura italiana come lo Zeno Cosini della “Coscienza di Zeno”.

Mi si permetta un excursus su Cesare perché è un personaggio che, molto, mi ha colpito.  Come nel caso di Oreste anche Cesare ha avuto a che fare con la morte (è vedovo) e ha a che fare con la grave malattia della sorella. Cesare si misura con la finitudine di cui parla Jankélévitch, con lo scorrere del tempo che cerca di rallentare con gesti quotidiani e rassicuranti, con il disegno:

“Non c’è un modo giusto di impostare la vita, un modo che salvi. Allora l’unica cosa da fare, sino all’ultimo giorno, è affidarsi ai gesti, sì, proprio al decoro dei piccoli gesti come stirare i fazzoletti, piegarli in quattro. Senza sentirsi sprecati; solo i gesti esistono davvero, appartengono alla realtà di tutti. Cesare riabbassa lo sguardo sul foglio. Osserva le due linee. Si rende conto che sta disegnando un volto.

Quel volto” (Pag.116).

Cesare è un personaggio complesso. Leggendo viene da fantasticare sul suo passato che è accennato, detto e non detto. Si può pensare che abbia fatto la Resistenza, che abbia assistito a tante atrocità anche se di questo nulla sappiamo di preciso. Quello che sappiamo è che nel suo salotto fa sfilare innocenti e colpevoli di quel passato che sembra non passare. Il suo lavoro inquisitorio termina soltanto quando si dedicherà al disegno:

“Cesare ha iniziato a disegnare senza farlo apposta.

“E’ successo tanti anni prima: la voce di chi gli stava seduto di fronte nel suo salotto era diventata due, dieci, mille, troppe voci per tornare una sola: un mormorio come di fiume o di tensione elettrica.

Allora, mentre il suo ospite continuava a parlare, Cesare ha provato a fare due calcoli: da quanto tempo invito amici e nemici da me, con che frequenza vengono, quanto dura ogni conversazione, quante parole potrà aver detto ciascuno.

Nel frattempo il nemico, perché quella volta c’era il nemico seduto all’angolo opposto del salotto, non sapendo come interpretare quel suo lungo silenzio si era discolpato già sei volte. Esauriti gli argomenti a propria difesa, si era alzato dalla sedia. Mica per andarsene: sapeva che non avrebbe potuto. Lo aveva fatto per un desiderio del corpo.

In quel momento Cesare ha pensato una sola parola: proviamo. L’attimo dopo ha invitato l’ospite, con un cenno della mano, a uscire da casa sua. L’ospite non se lo è fatto ripetere, ha raggiunto l’ingresso a passettini come se si aspettasse da un momento all’altro un richiamo o magari una scarica di mitra, si è chiuso la porta alle spalle senza salutare, si è messo a correre giù per le scale.

Cesare si è sollevato dalla poltrona, ha attraversato il salotto, ha aperto il secondo cassetto del canterano, ha preso un foglio e una matita, ha aperto il primo cassetto, ha preso l’elenco telefonico per metterlo sotto il foglio e si è riseduto: Voleva scrivere quello che gli era capitato: aveva liberato un nemico. Ma ne è scaturito, anziché delle frasi, un disegno” (Pag.35-36).

E’ ancora Cesare a mettere l’accento sull’importanza dell’assenza nelle relazioni riflettendo su quanto le ha detto la figlia Livia:

“Ha ragione Livia: tutti i rapporto si guastano. Non c’è legame umano che non sia un tentativo di travasare sé nell’altro o viceversa. Cesare si asciuga l’occhio. L’unica reciprocità possibile è con una persona assente” (Pag.146. Il corsivo è mio).

Il rapporto tra i due adolescenti, Tullio e Davide, è intenso, vivace, ambivalente, fatto di confidenze e litigate, di fisicità, di difficoltà nella relazione con i rispettivi genitori. Ci sono problematicità e ricchezza nelle loro vite che devono essere colte dagli adulti. Marzia e Eugenio sono due solitudini che si incontrano e, come dice Rilke, si custodiscono a vicenda in mezzo ai tanti travagli dell’esistenza. Anche Eugenio è inseguito. È inseguito dai desideri, dal tarlo di sapere che non riuscirà mai a scrivere un capolavoro come quello anonimo che gli è stato recapitato a casa. Al lettore scoprire chi lo ha inviato.

Nella sua bella intervista a Marida Muscianese Claudio Bagnasco parla di Franco, di una sua parziale identificazione con Eugenio e di un personaggio che lo ha ispirato e che ha realmente conosciuto. Non ci dice quale sia il personaggio. Un segreto da rispettare ma che, ancora una volta, ci fa comprendere quanto siano vivi i protagonisti del romanzo.

Una parola sullo stile: nessun narratore onnisciente, qualche lacerto interiore, altrimenti l’introspezione è data dai comportamenti e dai dialoghi che rivestono una funzione molto importante. Nessun compiacimento estetico a descrivere le emozioni profonde. Si intuisce che a tutti qualcosa manca, qualcosa è mancato, qualcosa e qualcuno non c’è più. Stile pulito e terso, preciso e elegante. Con suspense e un ritmo che prende il lettore.

A proposito di ritmo: colpisce come in molte pagine Bagnasco riesca a dare il senso della simultaneità degli eventi, quasi fosse un montaggio di sequenze filmiche. Un esempio su tutti sono le ultime pagine (ma qui il finale non verrà, di certo, svelato) in cui sono descritte, con  un periodare veloce. Le azioni di Marzia e Loredana, di Eugenio che gioca a calcetto pensando ad altro, di Oreste. Sono descritte alternativamente, ma, come si diceva più sopra, danno il senso della simultaneità. Il ritmo è accelerato, il montaggio molto efficace.

Siamo esseri finiti, dobbiamo confrontarci con lutti e solitudini, rimorsi e rimpianti. Sappiamo che viviamo nella dimensione della mancanza, ma sappiamo anche che possiamo compiere azioni che possono riscattare un’intera vita. Lo sa Claudio Bagnasco che ci ha regalato un romanzo di grande spessore. Lo sanno i suoi personaggi, ognuno con una consapevolezza sua particolare. Sappiamo tutti noi che, in queste modalità di essere nel mondo, siamo immersi. 

Lo Scaffale di Andrea: “Gli inseguiti”