Saint SulpicePiazza Sant’Oronzo

I due luoghi dove mi sarebbe piaciuto chiacchierare con te sono Parigi, piace Saint Sulpice, oppure Lecce, Piazza Sant’Oronzo.

IddaE tra il Salento e Parigi si snoda la vicenda di “Idda”, il nuovo romanzo per Einaudi Stile Libero di Michela Marzano, con la quale con grande gioia e ammirazione mi accingo a chiacchierare per approfondire i diversi temi e le tante suggestioni, che si innestano nella storia, legati dall’indagine sul senso e il valore dell’amore. Così da esclamare insieme alla protagonista, Alessandra: E invece sì, zia, l’amore esiste! Perché nonostante “Idda” sia attraversato dal dolore della perdita, dalla presenza della morte e della malattia, è un romanzo pieno di speranza e di gioia di vivere, che traggono origine dalla piena certezza dell’esistenza dell’amore. Proprio dall’amore partiamo per percorrere insieme con Michela Marzano le pagine del romanzo.

 

L’amore resta, pure quando l’oblio ce la mette tutta per cancellarlo, l’amore non sparisce mai. E  questo è più che sufficiente per dare coerenza a ciò che, di coerente, non sembra avere molto. Tanto, nella vita, i conti non tornano mai: si balbetta e si va avanti a tentoni, talvolta si frana e non ci si rialza, talvolta si ha la fortuna di poter ricominciare daccapo.

Potremmo dire, Michela, che questa riflessione è tutto ciò che sappiamo dell’amore? o sarebbe meglio dire: tutto ciò che sperimentiamo dell’amore. 

L’amore è tutto o l’amore resta, o invece non potrebbe essere Tutto se non godesse di essere permanente?

Michela MarzanoIo direi che l’amore resta proprio perché è tutto, almeno nel senso di « tutto ciò che è necessario per vivere ». L’amore di cui parlo in “Idda” è quel sentimento profondo che ci unisce alle persone care e che ce le rende familiari anche quando, come nel caso di Annie, si inizia a mescolare tutto, ci si confonde di continuo, talvolta non ci si riconosce nemmeno più guardandosi in uno specchio. È un amore che riempie la vita perché « resta », appunto, nel momento in cui tutto ciò che è superfluo scivola via e ci si concentra solo sull’essenziale. Non è un caso che la dottoressa Brun – una neurologa che da anni lavora con le persone anziane che hanno problemi di demenza senile o di Alzhiemer – quando Alessandra le chiede cosa resti di Annie ora che Annie non sa più chi sia, risponde che ogni suo paziente, quando si tratta di scrivere (o pronunciare) la prima frase che gli venga in mente, scriva (o dica) sempre: « ti amo ».

 

Uno degli elementi più suggestivi di “Idda” è certamente la relazione tra Alessandra e Annie. Due donne che non si possono “parlare” nel significato tradizionale e razionale ma riescono a “raccontarsi” in senso intimo e profondo a causa della malattia che ha colpito Annie. Finiscono così per dirsi in modo diverso cose fondamentali. Annie, in modo forse inconscio (ma chi lo può dire?) realizza attraverso la presenza di Alessandra accanto al figlio Pierre uno dei suoi desideri più profondi e laceranti, sanando una perdita e una chiusura affettiva; Alessandra attraverso la storia di Annie ricostruita dalle lettere e dalle liste, che erano un’ossessione della donna, ritrovate nella casa che Alessandra e Pierre devono liberare per pagare i debiti che la donna ha contratto a causa della demenza, si specchia e guarda dentro, fino a ricomporre i pezzi di sé che erano andati in frantumi con la morte della madre.

È proprio la relazione tra le due donne, intrecciato al tema della malattia, il nodo intorno al quale avviluppi la tua indagine sentimentale: che sentimento c’è tra Annie e Alessandra? Che ruolo gioca la demenza a cementare una relazione così autentica? 

Michela MarzanoIl rapporto tra Annie e Alessandra si trasforma pian piano, e col passare del tempo si crea tra queste due donne una grande complicità. All’inizio Alessandra pensa di poter essere lei ad aiutare Annie, e inizia a starle accanto e a ricostruire la sua storia anche per capire meglio il proprio compagno. Poi, i ruoli si invertono. Sentendosi accolta e amata da Annie – che a tratti non la riconosce e le chiede dov’è che si sono conosciute prima, ma a tratti la chiama anche « bambina mia » – Alessandra si percepisce nuovamente figlia, e sente allora l’esigenza di riaprire il proprio passato e fare i conti con la propria infanzia. È un rapporto fatto di sguardi e di sorrisi, che permette però sia ad Annie sia ad Alessandra di trovare l’una nell’altra quello che avevano perso. E paradossalmente è proprio la malattia di Annie a rendere possibile questo reciproco riconoscimento. Annie ha perso la memoria, ma continua a trasmettere amore: è l’amore che la tiene in vita, un amore che sopravvive e resta anche quando l’oblio copre tutto. Ed è attraverso quest’amore che Alessandra troverà la forza di tornare in Salendo, là dove tutto era iniziato. Anche perché, restituendo ad Annie le parole perse, Alessandra ritroverà poi anche le parole della propria infanzia, le parole del dialetto salentino con cui la madre e il padre si rivolgevano a lei quando era bambina. 

 

Parigi e il Salento: la storia di “Idda” oltre che su due binari temporali, il presente e il passato, che a sua volta si sdoppia tra quello più remoto di Annie e quello più prossimo di Alessandra, scorre anche su due differenti ambientazioni che, come per il tempo, si intrecciano e si sovrappongono, per poi culminare e in un certo senso “risolvere” la storia in una saldatura affettiva tra i due luoghi.

Pierre e Alessandra andranno in Salento, perché la donna possa fare i conti con il passato, e quando rientrerà a Parigi non sarà più una fuga ma una scelta di vita, pienamente consapevole, che darà i suoi frutti.

Sono due luoghi che si innestano fortemente nell’introspezione psicologica, in particolare della protagonista. Cosa rappresentano nella sua sfera emotiva? Perché mi sembra che dopo il soggiorno in Salento anche la relazione tra Alessandra e Pierre maturi come uva che abbia raggiunto la sua dolcezza perfetta per farne un ottimo vino.

Michela MarzanoQuando Alessandra arriva in Francia, sta fuggendo non solo dalla propria terra, ma anche dall’infanzia e dalla madre lingua. Cambia paese, cambia abitudini, e sceglie come compagno un uomo opposto rispetto al padre, un uomo-bambino che, dipendendo da lei proprio come un bambino dipende dalla madre (è almeno la percezione di Pierre che ha all’inizio della storia Alessandra) non la fa sentire in pericolo. Nel momento in cui Alessandra e Pierre tornano a Parigi dopo il viaggio in Salento, però, la loro relazione  cambia completamente, esattamente come cambia il rapporto di Alessandra col passato. Nella casa in Puglia in cui era cresciuta, Pierre diventa protagonista: è grazie a lui che Alessandra trova la forza di confrontarsi col padre e con la zia; è su di lui che può appoggiarsi per rielaborare il proprio passato. È proprio il fatto di tornare in Salento insieme al compagno che permetterà ad Alessandra di non essere più semplicemente « agita » dagli eventi tragici della propria infanzia, e di abitare di nuovo le stanze della propria memoria, capendo finalmente verso quale direzione incamminarsi con Pierre. 

 

Il tema della lingua, che affiora nel romanzo con feconda suggestione, è un altro elemento che si piega a raccontarci intimamente la protagonista.
Alessandra non arrota le r alla francese, di questo la rimproverano benevolmente il compagno e gli amici, è un marchio di diversità, perché per lei non è la MADRE lingua. Come se, avendo perso la madre, sentisse la necessità di perdere anche la lingua. Ma come la perdita della madre non è un vuoto che si può riempire o smettere di considerare sentimentalmente, così anche la lingua continua ad appartenere al subconscio e a “parlare” di ciò che è stato. Infatti è l’affiorare del dialetto in una lezione all’università in cui per la prima volta si mostra sciatta e svogliata, ad aprire la crepa emotiva che Alessandra ha cercato di colmare con la fuga e che la vicinanza di Annie, persa in una remota lontananza, sta erodendo lentamente. 
Che lingua parla Alessandra? 

Michela MarzanoIl rapporto di Alessandra con la lingua cambia esattamente come cambia il rapporto con Pierre. Quando Alessandra arriva in Francia fuggendo dal Salento e dal passato, è prima di tutto la madre lingua ad essere chiusa a chiave. Alessandra decide di parlare sempre e solo in francese illudendosi così di dimenticare tutto. Certe cose, dirà a un certo punto del romanzo, esistono solo quando le si nominano. Smettere di nominarle, quindi, significa farle sparire. Dietro il francese, però, resta non solo l’italiano. Resta anche e soprattutto la lingua che parlava con i suoi genitori quando era bambina, ossia il dialetto. E quando la prima parola dialettale irrompe durante una lezione in università, è solo l’inizio del ritorno progressivo di tutte quelle parole che si era illusa di dimenticare. Dopo l’uva, l’ua, è la volta della « puricina » (pulcina) della mamma e della « caledda » (carina) del papà. La lingua dell’amore, per Alessandra, è il dialetto. Non è un caso che ritrovando il dialetto potrà anche amare in maniera più adulta e autentica Pierre.

 

Nel romanzo ci sono due domande fondamentali, anche se non le uniche, che danno spessore e profondità alla storia. Sono le stesse che Alessandra pone alla dottoressa Brun che lei e Pierre consultano per cercare di districarsi nel labirinto in cui è finita Annie.

Una è: Al di là di ciò che accade nel cervello, che cosa rimane di noi quando perdiamo la memoria?

L’altra: Chi siamo quando i ricordi svaniscono l’uno dopo l’altro, e sopravvivono soltanto alcune tracce del passato?

Mi sembra che la risposta della dottoressa ad Alessandra sveli il perché Michela Marzano si sia affidata alla narrativa per tentare di dare delle risposte, che somigliano a prospettive esistenziali più che a teorie o certezze:

Le sue sono domande esistenziali, Alessandra. Non hanno a che fare con la scienza, ma con il senso della vita.

È il romanzo, Michela, che meglio di un saggio può dare spazio al senso della vita che pervade “Idda” e alle domande esistenziali che pone al lettore?

Michela MarzanoDopo aver scritto molti saggi, mi sono resa conto che è solo attraverso la scrittura narrativa, e in modo particolare attraverso il romanzo, che si riesce a parlare dell’esistenza e degli affetti in modo molto più profondo e quindi a dare spazio alle domande esistenziali che attraversano appunto “Idda”. In fondo, scrivere un saggio è più semplice: c’è un’ipotesi, c’è una struttura, c’è un andamento logico-argomentativo, ci sono i riferimenti bibliografici. In un saggio, tutto torna. Quindi bene quando si vuole dimostrare qualcosa e portare avanti un ragionamento coerente. Col rischio, però, di lasciare da parte tutto ciò che nella vita non torna e non può quindi essere spiegato o argomentato. In un romanzo è tutto molto diverso. È scrivendo che pian piano emergono i sentimenti, le contraddizioni dell’esistenza, gli insuccessi e le speranze. Tutto ciò che, in fondo, costituisce il tessuto delle relazioni umane. In un romanzo non si tratta di spiegare, ma di mostrare, di raccontare, di sorprendersi, a volte, di fronte alle azioni e alle dichiarazioni dei propri personaggi. È solo quando si mostra e si racconta che si riesce poi anche ad esplorare quelle zone d’ombra dell’umano sentire che la saggistica, spesso, si limita a sfiorare.

Chiacchierando con… Michela Marzano
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