Libreria

Fino a qualche tempo fa, diciamo fino all’uscita del libro, avrei detto al bar. Ora, dopo un po’ di presentazioni, ti direi in una libreria. Mi piace questa cosa che noto: in un mondo che diventa sempre più perentorio e meno inclusivo, un mondo dove le persone si comportano, giorno dopo giorno, in maniera sempre più cinica, entri in libreria e vieni letteralmente accolto, ascoltato, consigliato, trattato teneramente. Forse tutto il pianeta dovrebbe diventare un’enorme libreria e mettiamola così: mi sto rendendo conto che leggere rende le persone migliori.

Invito straordinario di Alessio Forgione, quando gli chiedo un luogo in cui avremmo potuto incontrarci per chiacchierare di “Napoli mon amour”, il suo esordio accolto nel catalogo NN editore, uno dei più interessanti del panorama editoriale italiano.

E allora circondati dai libri, e con un’immaginaria birretta, perché non si può parlare del protagonista del romanzo, bevitore incallito, senza un bicchiere spumoso in mano, fateci compagnia che vi raccontiamo un po’ di cose.

Cover_ForgioneIl momento culminante del romanzo è l’incontro del protagonista, un trentenne disoccupato e aspirante scrittore, con Raffaele La Capria. Voglio partire proprio da quel momento, perché l’efficacia e polita critica letteraria che il giovane (si può definirlo giovane Amoresano?) presenta di “Ferito a morte” mi sembra che possa essere intesa come un’affermazione di poetica, o un’aspirazione letteraria.

A La Capria che gli chiede di parlargli di “Ferito a morte”, Amoresano risponde:

 

Gli disse che doveva considerare ch’era scritto in maniera perfetta. centotrenta pagina e non una virgola fuori posto. E poi che la vicenda era sfilacciata in questo flusso di coscienza perfetto, alla Faulkner. Gli dissi che la vicenda di Massimo De Luca, i suoi dubbi, il suo voler scappare e anche il suo non sentirsi pronto a farlo, come se un filo invisibile lo legasse alla sua vita precedente, era una vicenda universale in cui mi riconoscevo e che mi riconoscevo anche nel suo amore instabile e mai realmente compiuto. Gli dissi ch’era un romanzo così potente, che scattava a Napoli una foto così ben fatta che, nonostante fossero passati più di cinquant’anni, sembrava scattata oggi e non ieri e che quindi non sembrava una vecchia foto sbiadita. gli dissi che aveva così ben descritto Napoli che Napoli, forse per non rovinare il libro, non era più cambiata.

In questa riflessione ci sono tanti elementi che valgono per “Napoli mon amour”: la perfezione della scrittura volta all’essenzialità, senza sbavature; il riconoscersi in Amoresano di un’intera generazione e il suo approccio quasi attonito e incerto alla realtà; la totale immedesimazione del lettore nella sua testa durante la narrazione; e infine la foto di Napoli, così nitida e potente. 

Cosa si nasconde dal punto di vista del narratore in questa riflessione? Un omaggio a La Capria, semplicemente? Una dichiarazione di intenti? Il palesarsi del groviglio narrativo dal quale sei partito? La volontà di scattare a Napoli la stessa foto di “Ferito a morte”?

RepubblicaPer me è solo un omaggio a La Capria. Anzi, quando mi accomunano a lui a me fa molto strano. In realtà mi fa molto strano anche quando m’indicano quale scrittore, figurarsi comparire nella stessa riga di uno dei miei preferiti. 

Né mentre scrivevo né ora ch’è stato pubblicato riesco a giudicare quanto ho fatto, a capire bene di cosa ho parlato e cosa volevo dire e soprattutto a scorgere una mia intenzione che faceva e fa da motore al tutto: io mi sono messo lì e l’ho scritto, senza pensare a cosa fosse giusto dire e cosa omettere. Diciamo che c’ho messo proprio tutto e per questo, come dopo una corsa che termina con uno scatto, non sono molto lucido e di questo libro, quindi, ho un idea molto più vaga di quella dei suoi lettori, che mi dicono cose a cui non avevo mai pensato e mi lusinga la loro attenzione e mi piace ascoltare le loro opinioni, perché molto spesso mi dicono cose che io proprio non sapevo. Infatti, nell’ultimo mese avrò ripetuto e scritto la parola “grazie” una tonnellata di volte, perché davvero gli sono grato.

Generazionale: è una parola che sto sentendo spesso. Mi piace sentirla ma io non la uso per diversi motivi. Innanzitutto, perché non sta a me dirlo. Poi, perché è una parola importante e a maggior ragione non sta a me utilizzarla. E anche perché io intendevo scrivere di me, solo di me, di quello che mi accadeva, di quello che mi sembrava di vedere, di quello che avevo intorno.

Riguardo la foto alla città, me lo auguro. Cioè, un libro mette sempre un personaggio all’interno di un contesto, che funziona da palcoscenico e da scenario, lo fa muovere lì sopra e a volte lo fa scontrare contro i palazzi o contro il cielo o contro il mare. Quello che vorrei è aver scattato una foto che non mostri solo il qui e ora ma il per sempre, però è una cosa molto difficile da fare.

 

Il giudizio che in “Napoli mon amour” La Capria esprime sui racconti di Amoresano, rispecchia perfettamente il mio nei confronti di Alessio Forgione e del suo esordio:

Ho letto i suoi racconti e, le confesso, mi piacciono molto. Mi sono piaciuti molto… lei ha una voce, un tono. Mi piace molto, il suo modo.

La voce, il tono in “Napoli mon amour” sono molto riusciti. La voce di Amoresano è sempre convincente e coerente. È una prima persona onnipresente ma non invadente. C’è dolcezza e fragilità nel suo sguardo che lo rendono particolare; il senso del trascorrere del tempo e una rassegnazione dolorosa scandita dai numeri, sempre più ridotti, del conto in banca. 

In piedi, circondato da estranei, pensai che non avevo mai davvero preso in considerazione l’ipotesi di andare via. Che avevo provato a costruire delle cose, a farle crescere per crescerci sopra anch’io, come se mi spuntassero da sotto i piedi, ma che era anche tanto tempo, troppo, che tutto s’era bloccato. Provai orrore al pensiero che forse mi ero seduto sul ciglio della strada ad aspettare che le cose accadessero o che qualcuno si fermasse a raccogliermi.  

L’hai raccolto sul ciglio della strada, fermo ad aspettare, il tuo protagonista? qual è il momento in cui è comparso nella tua mente?

RepubblicaAmoresano è un caro amico che spero di non vedere per un po’, di allontanarlo continuando a volergli bene e, anzi, proprio perché un po’ lontano, volergli ancora più bene, dimenticando i suoi difetti.

L’idea del romanzo mi è venuta una mattina, appena sveglio, mentre oziavo nel letto. Mi riaddormentai e dimenticai di averla avuta. A pranzo mi sedetti a tavola, mi ritornò a galla e tornai subito a casa, per scrivermela da qualche parte. Lo ritengo uno dei momenti più potenti della mia vita perché poi, il giorno dopo, senza idee particolari, ma solo con l’idea generale, cominciai davvero.

A pensarci ora, che tutto è stato già fatto, è stato un po’ come se le pagine si riempissero da sole, come se fossero già scritte nella mia testa. Quindi, Amoresano era Amoresano, ancora prima di essere Amoresano.

 

L’amicizia con Russo, l’amore per Nina che invade e assedia la vita di Amoresano, il Napoli e le partite, l’alcol: questi i lati del perimetro in cui si muove e consuma la quotidianità del trentenne napoletano. Da una parte rifugio, dall’altra limite, talvolta quasi barriera a quella ipotesi di andare via che è già stata praticata nel passato del protagonista e che si profila sempre più netta a ogni estratto conto.

I quattro lati disegnano un quadrato, o invece la figura geometrica che ne viene fuori è più complicata e meno equilibrata?

RepubblicaI lati che elenchi tu sono sicuramente giusti ma più che una figura geometrica mi viene in mente il mare aperto, dove vedi davanti a te per chilometri, ma in realtà non vedi niente. Credo che lui galleggi e affondi, galleggi e affondi e, ad un certo punto, non gli stia più bene né galleggiare né affondare, perché entrambe le cose richiedono uno sforzo – e lui, più che sforzarsi, vorrebbe riuscire e vivere naturalmente. In più, il mare aperto ti dà la possibilità di conoscere davvero te stesso. Come Conrad quando dice che il lavoro è una cosa orribile ma che ti offre l’opportunità di conoscere realmente te stesso, il te stesso privo di sovrastrutture, il te stesso basic e animale. Ecco, credo che lui più che conoscersi si sia capito e che non si piaccia o che non gli piace quel che ha capito. 

 

… e questo potrebbe essere il motivo per il quale decide di scendere dalla nave, pur sapendo che a terra non ha un lavoro?
Poi nella vita di Amoresano irrompe Nina. Il loro incontro ha da subito i connotati di un amore cinematografico, e non a caso mi sembra che uno dei momenti in cui si riconoscono è in un cinema, guardando il film a cui si allude nel titolo.
Ma l’ottica di Amoresano è necessariamente antiromantica. Non solo per l’indole del trentenne ma anche per una stringente attinenza con la condizione economica di un’intera generazione di cui fa parte.

Che cosa serve perché un amore moderno possa funzionare? Cosa manca ad Amoresano e a Russo? Ma più in generale quanto costa ai trentenni di oggi credere nell’amore e spendersi in una relazione?


RepubblicaEd io invece penso che Amoresano sia assolutamente e totalmente un romantico – ed anche Russo, a suo modo, cioè in un modo più guascone. Cioè, lui, Amoresano, ci prova in continuazione ad amare e a farsi amare, e alla fine anche con Nina ci prova, ma non ci riesce mai, per vari motivi, soprattutto perché le persone oramai sono capaci di commuoversi per un cucciolo di cane, mica per un altro essere umano. Anzi, mi sembra che sia lei l’abulica, la cinica, la ventenne ventenne come sono ventenni i ventenni dei romanzi di Ellis. Amoresano, invece, cerca di dare la sua simpatia a tutti ma il più delle volte si trova davanti a persone che non gli piacciono, per un motivo o per un altro, e anche per questo si rifugia nella lettura.

All’amore moderno, per funzionare, per quanto mi riguarda, gli manca un bel pezzo di antichità. Otto Weininger, in “Sesso e carattere”, scriveva che quello che divide l’uomo moderno dall’uomo classico è la funzione del coito. L’uomo moderno nel coito ricerca se stesso mentre il classico ricercava l’oblio, di dimenticare, di non pensare, e l’uomo moderno invece pensa pensa pensa, perlopiù sciocchezze e i primi appuntamenti sembrano colloqui di lavoro dove si elencano tutti i punti del proprio curriculum e bisogna dirsi sicuri, propositivi, ottimisti, affascinanti, corteggiati e soprattutto fighi fighi fighi, mangiamo il sushi, facciamoci la story, lì c’è il tramonto e lì il mare, guarda quante view e quindi a me l’amore moderno, più che amore, sembra solo due solitudini che cercano un antidoto nello stesso posto e nello stesso momento. Tipo una farmacia.

 

“Lavori, ora?” disse.

“No, ma cerco” le risposi. “Avevo dei soldi da parte dai tempi delle navi. Vivo di quelli”.

“Cosa cerchi?”.

“Non lo so”.

“Non hai progetti?”.

“Nei giorni cattivi penso di andare a Londra”.

“E nei giorni buoni?”.

“Di andarci subito”.

Amoresano ha un rinunciato a uno stipendio perché la vita che implicava non gli stava più bene. È tornato a vivere con i genitori a Napoli e cerca affannosamente di trovare un lavoro in città, per scacciare il tarlo che l’unica soluzione sia andare via. Alessio Forgione, invece, è andato via, come Nina. Che cosa trattieni davvero Amoresano a Napoli? la squadra di calcio della città, che talvolta sembra segnare la sua vera, unica appartenenza?

RepubblicaCredo lo trattenga la speranza di poter realizzare ancora qualcosa lì. Cioè, io me ne sono andato via, ma non per scelta, anzi, ma perché mi sono sentito costretto dagli eventi ed ora mi auguro di cuore che non sia così per tutti e che qualcuno possa riuscire a trovare la sua oasi o a costruire il castello in cui si barricherà. Io non ci sono riuscito e sono andato via ed è soprattutto per questo motivo che mi piace pensare che Amoresano stia aspettando l’ultimo momento utile, perché la speranza è davvero l’ultima cosa a morire, poco dopo il corpo.  

Chiacchierando con… Alessio Forgione

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