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Non chiedo, com’è tradizione del Chiacchierando, a Biagio Russo e Daniela Pareschi dove ci saremmo visti per chiacchierare di “Aiaccio” (Lavieri), perché non sarebbe possibile luogo diverso dal tendone del Circo Aladin sotto il cielo di gomma a spicchi colorati, sentendo ancora l’afrore nauseabondo della chiazza di merda di Menelik, in cui il pagliaccio, ex acrobata, Aiaccio è caduto di faccia.

AiaccioSedetevi intorno a noi sulle gradinate del circo, breve spazio d’oblio separato dal resto del mondo: citazione di Henry Miller sul circo che come poche si attaglia al poetico “Aiaccio”.

È così sapiente l’equilibrio tra il testo di Biagio Russo e le illustrazioni di Daniela Pareschi in “Aiaccio” che sembra che abbiano lavorato fianco a fianco, scambiandosi spunti e condividendo impressioni. 

Ancora prima di rivolgermi a scrittore e illustratrice, pongo una domanda agli editori di Lavieri: l’abbinamento delle illustrazioni di Daniela Pareschi al testo di Biagio Russo è perfetto, tanto da incantare ed emozionare. Come hanno fatto gli editori di Lavieri a comprenderne il potenziale? Qual è il segreto che sta alla base di una scelta così poeticamente azzeccata?

Con un sorriso divertito, Marcello Lavieri mi risponde: – Se lo sveliamo tutti possono copiarci il mestiere!

E allora non mi resta che rivolgermi a Biagio Russo e Daniela Pareschi, sperando di carpire almeno a loro qualche segreto su “Aiaccio”.

Il testo di questa fiaba per adulti è colmo di malinconia e leggerezza, dal lessico forbito ed elegante e dalla struttura narrativa sapiente, che come i trapezisti appesi nell’aria, volteggia nel tempo, rimanendo saldamente ancorata nello spazio del circo. Le illustrazioni ne esaltano la dinamicità ed evidenziano l’elemento surreale e onirico, dai tratti scenografici e felliniani.

Fu colpo di fulmine per entrambi, Daniela Pareschi quando per la prima volta lesse il testo, Biagio Russo quando per la prima si trovò interpretato visivamente? O invece avete avuto bisogno di sedimentare le impressioni prima di ritrovare parte di voi nell’ordito narrativo dell’altro?

pareschiDANIELA: In realtà, ho conosciuto Biagio a lavoro terminato. La scelta di questo approccio, credo sia dipesa principalmente dall’editore Lavieri, che ha deciso di non metterci subito in contatto. Può sembrare strano o controproducente, ma in effetti questa decisione  ha consentito a me di avere totale libertà nell’interpretazione del testo.

Il testo. Appena l’ho letto sono rimasta colpita dalla capacità di Biagio di descrivere  situazioni e  contesti, attraverso suggestioni emotive, dice senza dire, è evocativo e immaginifico, ma contemporaneamente segue una trama che, legata alla realtà, riesce a dare continuità senza essere didascalica.

Un grande testo, molto cinematografico, perfetto per me che per più di vent’anni ho lavorato come scenografa nel cinema!

Dunque, no, non c’è stato scambio e condivisione del lavoro, ma la capacità dell’editore di unire due mondi simili, anche se provenienti da percorsi differenti, e la “sincronicità” dell’incontro “non-casuale”. Due modi di leggere la realtà, per Biagio nell’esercizio della parola, per me nella pratica della visione, molto vicini e simili soprattutto, forse, nella capacità di lasciare aperte più strade interpretative.

biagio-russoBIAGIO: Lavorare insieme a chi non si conosce può essere rischioso, soprattutto se interpreta e rilegge, a modo proprio, ciò che hai scritto e a cui sei inevitabilmente legato.
Bravi gli editori che, conoscendo le potenzialità e le personalità “artistiche”, mie e di Daniela, hanno costruito un ingranaggio perfetto di compatibilità professionale.
Il processo alchemico ha funzionato, subito. Non ci è stato bisogno di modificare nulla. Tutto si è incastrato alla perfezione. 
Ricordo l’impatto cromatico delle prime illustrazioni, più dei dettagli, che ho scoperto solo in un secondo momento. I colori caldi, ma non strepitosi, avvolgenti e malinconici. Come l’aria che circola sotto il tendone di un circo, solo apparentemente gioiosa. 
Poi mi ha colpito la sproporzione dei personaggi, degli stessi animali, alcuni dei quali non erano presenti nella storia, così come il pubblico, che pure urla e ride, in maniera sgangherata e punitiva, ma che scompare (o riemerge zoomorfo). Daniela ha tradotto, in immagini, il “suo” Aiaccio, che dialoga con il mio, con grande naturalezza.
Il mondo del circo, che tanti intellettuali, registi, disegnatori ha incantato e suggestionato, non poteva essere raccontato con la carta carbone del didascalismo. Fellini docet. Il testo, per molti poetico (e mi fa piacere crederlo), è zeppo di metafore sulla vita. Daniela ha moltiplicato, con le visioni, con gli animaletti, con le ali, che appaiono scompaiono e si abbandonano, le metafore presenti, aggiungendo significati e ulteriori voli di fantasia. Da trapezio a trapezio. Ovviamente.

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Testo e immagini si specchiano amplificando e arricchendo le suggestioni e le emozioni della lettura. 

Il tono surreale e l’immaginario onirico richiamano con grande fascino Fellini, le sue creature e le sue ambientazioni, con quel velo di sottile malinconia che non esclude la gioia di vivere e rivela la tragicità dell’esistenza. Aiaccio e Gipsy ne sono incarnazione ed emblema.

Sul riecheggiamento felliniano sembrate convergere, e allora chiedo a Biagio, se Fellini era presente nel suo immaginario narrativo mentre scriveva la storia, oppure l’ha scoperto attraverso la rilettura dei disegni di Daniela; e a Daniela, al contrario, se la suggestione felliniana delle illustrazioni le è nata spontanea, oppure l’ha scovata nella storia narrata.

Per entrambi aggiungo, se e quali siano stati i modelli letterari e cinematografici che hanno guidato le vostre mani nello scrivere e nel disegnare la “favola bella” dei due trapezisti, perché se Aiaccio fa rima con Pagliaccio, la sua vera natura non è quella del clown, ma quella di volteggiare da un trapezio all’altro come la sua amata bramea.

pareschiDANIELA: La domanda è complessa. Partiamo dal presupposto che nell’immaginario comune delle generazioni a me vicine e non solo, il circo è spesso quello rappresentato da Fellini, mettiamoci pure che mi sono cibata di cinema per tanto tempo, sia ludicamente che professionalmente, e aggiungiamoci infine che sono emiliana, intrisa di quella allegra malinconia plumbea e nebbiosa, ecco, in sintesi, sì, il mio lavoro è assolutamente una rivisitazione del circo, così come la visione del mondo felliniano mi ha educato.

Nel leggere il testo di Biagio, ho ritrovato suggestioni e parole che immediatamente ho “riconosciuto” familiari… poi è stato facile.

Per quanto riguarda i modelli letterari e artistici, direi cose molto diversificate, ho la fortuna di vivere con un’adolescente che mi tiene aggiornata, dunque frequento Sio, insieme a Zerocalcare, Carver e Zola.

biagio-russoBIAGIO: Confesso che la tonalità felliniana, comica, tragica e poetica, che avvolge il Circo Aladin, l’ho percepita solo dopo l’uscita del libro e solo in virtù delle illustrazioni di Daniela. Lei ha tradotto in immagini l’atmosfera un po’ malinconica di un microcosmo che rimanda a “La strada”. Quando ho iniziato a scrivere “Aiaccio” avevo tre riferimenti, uno letterario, un psicologico, uno cinematografico. Il primo riguardava l’amore che ho per Pirandello e per il grottesco; il secondo (a cui anche Pirandello è legato per un saggio “L’umorismo”) era legato al mio interesse per la psicologia del comico (la mia tesi è stata un omaggio a Bergson e a Freud); ma l’imprinting è venuto dal film di Wim Wenders, “Il cielo sopra Berlino” del 1987, film stupendo. Due angeli, in bianco e nero, osservano dall’alto di un palazzo in una Berlino grigia e pre-caduta-del-muro, le vite frammentate ed effimere di uomini e donne affannati e stravolti dal ritmo urbano. Sono osservatori invisibili. Eterni loro, in quanto angeli, mortali gli umani. Ma Damien, uno dei due, nel girovagare tra le vite altrui, incontra in un circo una trapezista bella e infelice, di cui si innamora. E per lei decide di rinunciare all’immortalità (in bianco e nero) e diventare mortale. Il suo desiderio profondo è avere passioni, essere triste e felice, come un umano, soffrire e gioire. Vedere il mondo a colori. Non importa se tutto avrà un limite.

Il circo a colori di una ragazza sola, che si dondola per aria, diventa tumulto dell’anima, metafora della vita, tra voli e… cadute. Come Aiaccio. 

 

C’è un simbolo che si rincorre tra le pagine, cambiando dimensioni e posizioni: le ali. Un simbolo e una metafora della condizione esistenziale dei due protagonisti e della vita stessa, di cui loro sono emanazione e rappresentazione.
Cosa ha significato per Daniela Pareschi punteggiare il racconto di Aiaccio e Gipsy di ali? Cosa voleva evidenziare con la loro presenza in scena?     
Li immaginava alati Biagio Russo? E quale interpretazione legata al suo dettato narrativo vi vede espresso?

pareschiDANIELA: Il testo suggerisce questa interpretazione “alata”, sia nel nome di Angel, sia nel definire Gipsy una bramea, la loro presenza aiuta a rafforzare l’idea del volo e dunque dei trapezisti, inoltre l’abito di scena, con le ali suggerisce un costume circense molto più caratterizzato.

Nella storia narrata da Biagio, traspare la sospensione tra storia reale e fantastica, tangibilità e sogno, dunque le ali sono diventate per me l’aspetto “materiale” dei personaggi, l’unica cosa che rimane della loro esistenza, un segno che ci sono stati insomma.

Anche gli animali, con il ruolo di spettatori in tutte le tavole, nella triste metamorfosi di Angel in Aiaccio, indossano le ali che si fanno simbolo di trasformazione.

biagio-russoBIAGIO: Che il volo fosse archetipo del racconto, con la sua naturale nemesi, la caduta, era nella natura di Aiaccio, che dal cielo s’era atterrato per il dolore, per la perdita.
Anche Gipsy-Bramea richiamava la parabola aerea dell’esistenza, con un distacco, una sospensione e un atterraggio.
Ma che la metafora fosse oggettivata nella presenza delle ali, questo appartiene alla potenza immaginifica di Daniela, che ha avuto tra gli altri meriti, quello di illustrare le metafore all’interno del volume. Penso al “catino del cuore” e a come sia riuscita a “renderlo vero”. O alla panchina luogo d’amore, che invece Daniela innalza a metafora, per raccontare la solitudine, per cui le ali poggiate con delicatezza su di essa, dicono meglio di tante parole cosa sia la lacerazione affettiva.
Le ali con Daniela sono diventate protagoniste, così come gli animaletti-attori. Splendidi gregari, che rallentano il ritmo, attivano il pensiero e ci lasciano un sorriso.

Forse a questo punto della chiacchierata, riesco a strappare a Marcello Lavieri con quale straordinario intuito ha messo insieme questi due acrobati alati, uno della parola e l’altra delle illustrazioni.

Eccoti la risposta seria – mi scrive allora Marcello – Non possiamo saperlo con certezza: da una parte c’è del “mestiere” ovvio, ma neanche ci possiamo nascondere dietro una facile risposta. Ad analizzare come sono andati i fatti si può dire che da un lato abbiamo dovuto aspettare. La prima scelta era comunque caduta su una firma eccellente e “poeticissima” come quella di Carlos Nine che ci ha lasciato prematuramente. Poi abbiamo aspettato ancora finché non è arrivata Daniela. Serviva non solo bravura ed esperienza ma anche le spalle per raccogliere un testo e una eredità non facile. Il potenziale è facile da intuire, entrambi sono “densi” nelle loro opere, corposi ma anche fluidi. Poesia accostata con rispetto all’ironia… o viceversa? Quindi nessun segreto… pazienza, sensori attivati e un po’ di fortuna.

Non ci resta che avviarci verso la conclusione: se Daniela dovesse scegliere un brano di “Aiaccio” da leggere, e Biagio un’illustrazione da mostrare, quali sarebbero e perché?

pareschiDANIELA:

“Angel sentì una pioggia gentile nel catino del cuore. Che piano piano si riempì, senza rumore”

…ma quanti mondi immaginifici si riescono a vedere e sentire dentro queste poche parole…

Adoro i testi che hanno la capacità di essere descrittivi e puntuali, senza essere didascalici e dettagliati. 

Chapeau.

biagio-russoBIAGIO: È davvero difficile scegliere un’immagine. Ma dovendo farlo, scelgo l’immagine di Aiaccio nella pozzanghera di sterco. Nel testo la caduta è in avanti per lo strattone dato alla cerata che doveva essere tolta, ma Daniela “gira” Aiaccio, come accadrà a Gipsy nel finale (interviene uno psicoanalitico processo di sostituzione). L’espressione è fortemente malinconica, persino il trucco del pagliaccio tende verso il basso, anche la maschera assorbe la condizione esistenziale di chi, dopo aver volato, dopo aver sognato, si ritrova “nella merda”. Parafrasando Michela Murgia si potrebbe dire che sul viso di Aiaccio è scritto a chiare lettere “L’inferno è una buona memoria”. Eppure la vita, con i suoi colpi di scena, può sempre sorprendere, anche quando hai toccato il fondo.

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Chiacchierando con… Biagio Russo e Daniela Pareschi
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