Dieci motivi

di Alessandro Giammei

Alessandro Giammei

per NON leggere Una serie ininterrotta di gesti riusciti”

Una serie ininterrotta di gesti riusciti

  1. Dicono tutti che questo è il mio primo romanzo, ma penso sia una questione di marketing. Ad essere onesti, è una specie di almanacco di fatti miei che, ogni tanto, sembra perfino un saggio. Chi ha cuore di sacrificare il tempo angusto della lettura sull’altare dei fatti miei? I saggi poi, se non ti pagano per leggerli, corteggiano addirittura il masochismo.
  2. C’è un’appendice bibliografica di ben dieci pagine. Piena di donne tra l’altro. Sull’autofinzione, per dire, c’è Teresa Ciabatti ma non c’è Michele Mari.
  3. Simone Marchesi, un filologo e traduttore che sta appunto scrivendo un libro su filologia e traduzione dopo aver preso la tenure a Princeton (non un passante, insomma), ritiene che a pagina 84 io abbia sbagliato a trascrivere un verso da una poesia che Fitzgerald ha scritto a vent’anni su Princeton, quando studiava a Princeton. Marchesi, che ha studiato a Princeton anche lui, nota che il verso in questione è ipermetro, e che con ogni probabilità ho banalmente latinizzato “sequestered” in “sequestrated”. La mia traduzione sulla pagina successiva poi (“segregata”) non è affatto pacifica. Inoltre, varie altre cose non tornano: Valerio Magrelli non ha mai parlato in radio del ponte della Garbatella, l’uscita dal raccordo per arrivare a Mostacciano non è la 27, Severino Antonelli di Marsilio ha praticamente l’età mia, Domenico Starnone e Dacia Maraini non sono venuti in America nello stesso semestre, io e Michela Murgia non stiamo su whatsapp solo la sera, eccetera. E poi tutto questo namedropping diventa insopportabile.
  4. Sebbene la mia professoressa del liceo mi trovasse immancabilmente ‘verboso’ e la mia mentore a Princeton mi abbia ricordato più volte che ‘writing is knowing when to stop’, questo libro è pieno di frasi lunghe—a loro volta piene di avverbi, aggettivi e simili chincaglierie. Assurdamente, contiene al contempo un capitolo intero dedicato a Jhumpa Lahiri, che forse è l’autrice meno verbosa e più assolutamente sobria dell’intero canone occidentale. D’altronde Fitzgerald diceva che il sintomo primario di una vera intelligenza è la capacità di tenere in mente due idee opposte eccetera eccetera.
  5. Tutti i miei amici e colleghi italofoni mi scrivono assai carinamente su facebook e per email dicendomi che gli è piaciuta moltissimo la scena del primo capitolo in cui mi lavo le mani dai succhi dell’hamburger usando la brina nell’erba del prato davanti a Nassau Hall. Non ho il coraggio di ammettere che quel passaggio è un plagio clamoroso dal primo canto del Purgatorio, in cui Virgilio fa quella cosa lì per lavare il viso di Dante dalla fuliggine e dalle altre zozzerie dell’inferno. Tutto ciò mi pare, per molti versi, increscioso.
  6. A un certo punto nel libro dico che tornerò sulla questione di Fitzgerald a Roma, che è interessantissima. Non è vero, non ci torno mai.
  7. Verso l’inizio mi vanto di aver incontrato Jeff Bezos, il fondatore di Amazon, in un bar, ma non sono sicuro che fosse davvero Jeff Bezos. Più avanti parlo di un incontro col premio Nobel Toni Morrison e sembra una faccenda incantevole e mitologica, ma in realtà si è trattato di un mezzo minuto piuttosto sbrigativo e pioveva.
  8. È un libro inquietantemente narcissico, nel senso che parla continuamente di sé. Parla della propria copertina, del proprio editore, della propria collana, di altri libri di quella collana, della propria bandella, della propria appendice, persino della propria quarta di copertina. E in quella quarta di copertina ho tradotto la prima pagina del Grande Gatsby usando incongruamente “accolli” per “bores” solo per fare uno scherzo a Chiara Valerio.
  9. Il finale, pur nel suo ottimismo, è tristissimo.
  10. È un libro che parla di cose imbarazzanti. Parla di finzione, speranza, incanto, soldi, accademia, genealogia, vittoria, nostalgia, ostinazione, ambizione, razza, vergogna. Su queste cose sono stati scritti tanti libri decisamente migliori di questo. Per esempio, Il Grande Gatsby.
Dieci Buoni Motivi per NON leggere “Una serie ininterrotta di gesti riusciti”