di Antonello Saiz

Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”
Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”

 

 

 

 

 

 

Un altro modo di intendere #Ioleggoperchè

copertina Antonello

Sabato 20 ottobre è iniziata per l’ennesima volta #ioleggoperchè, la manifestazione che ha lo scopo di voler migliorare le biblioteche delle scuole, quei posti meravigliosi dove i giovani studenti possono coltivare l’amore per i libri e la lettura. Certe passioni nascono a quell’età.
Si acquistano libri da destinare alle scuole cittadine in libreria per una settimana; sostenendo le biblioteche scolastiche si finisce per condividere l’amore per la lettura! Sulla carta #ioleggoperchè dovrebbe essere un progetto di grande valore e arricchimento per la scuola e per i nostri piccoli e grandi lettori. Ma Partita male all’inizio per la scarsa informazione date alle scuole, agli insegnanti e ai genitori, l’iniziativa è stata gestita ancora peggio nel corso degli anni successivi, per la mancanza di interesse reale dato dagli insegnanti. Basterebbe leggere l’ovvietà delle liste dei libri che ogni anno ci sono state consegnate per eventuali suggerimenti. La musica non è cambiata questo anno a livello di organizzazione e neanche gli insegnanti e i genitori sono mutati. Noi, però, come libreria, nonostante tutto abbiamo voluto ancora una volta provare a dare una alternativa a questi Ragazzi. Un libro come alternativa al cellulare. Per riempire gli scatoloni di libri da destinare alle biblioteche scolastiche che si sono gemellate con noi, non abbiamo fatto affidamento né sugli insegnanti né tantomeno sui genitori distratti, e neanche troppo sulla città di Parma e la politica, troppo impegnata altrove. Noi abbiamo puntato nel coinvolgere i nostri assidui frequentatori della libreria e tutti quelli che seguono le nostre pagine social, cercando di riempire le biblioteche scolastiche di libri con titoli nuovi per rinfrescare gli scaffali con boccate di Belle Storie. Tutto questo perché non vogliamo che sia l’ennesima occasione perduta e neanche vogliamo che le scatole di #ioleggoperchè rimangano solo scatole piene di belle opportunità! La vera “promozione della lettura” parte anche dall’impegno delle Librerie e dei Librai che aderiscono a #ioleggoperchè. Come possiamo pensare che un bambino o un ragazzo si affezioni alla lettura se un adulto non ritiene degna e valida la possibilità che abbia un libro tutto suo tra le mani? Noi questo vogliamo fare e portare poi i nostri libri dell’editoria indipendente di qualità direttamente nelle scuole e raccontarli uno per uno ai ragazzi, come abbiamo fatto lo scorso anno.
C’erano tutta una serie di titoli dell’editoria indipendente che ci sarebbe piaciuto far arrivare in tutte le scuole gemellate con noi per #ioleggoperché e su quelli abbiamo puntato per i suggerimenti.
Come pure abbiamo pensato di creare un evento a metà settimana che potesse interessare e coinvolgere scuole, insegnanti e alunni. Così mercoledì 24 ottobre abbiamo invitato Petunia Ollister a presentare  in libreria insieme a Caterina Bonetti “Colazione d’autore. #bookbreakfast” per provare ad avvicinare i giovani alla lettura, coinvolgendo anche gli insegnanti, su temi quali i Libri, la Letteratura e il mondo social. 
Le colazioni di Petunia Ollister sono vere e proprie opere d’arte.
Petunia Ollister è la ragazza che con le sue immagini ha creato un genere che oramai è scolpito nella storia della comunicazione editoriale, social e non. Ideatrice di #bookbreakfast su Instagram, nel libro illustrato raccoglie un centinaio di belle immagini da lei realizzate appositamente per il progetto. Abbiamo ascoltato direttamente da lei il racconto di come nascono le sue idee, i suoi scatti e il suo “Colazioni d’autore”, un libro che parla di libri e di colazioni. I libri scelti per il “ritratto” sono libri che parlano di cibo o di cucina, romanzi in cui il cibo è protagonista o in cui è contenuta anche soltanto qualche nota citazione a tema. Gli scatti, oltre al libro, hanno per protagonista la colazione slow secondo la filosofia di Slow Food, in un ipotetico viaggio attorno al mondo e a gustose preparazioni per il primo pasto della giornata. A corredo del tutto non soltanto le citazioni contenute nei libri, ma un ricco compendio di ricette per riprodurre succhi, estratti, brioches, muffins, piatti delle colazioni tradizionali regionali o estere. Una raccolta di libri, colazioni, tovaglie, oggetti, ricette: il tutto con la grazia estetica che soltanto Petunia Ollister riesce a comunicare attraverso i suoi “bookbreakfast”.

Tra i libri che abbiamo voluto far arrivare in almeno uno dei tre istituti superiori gemellati con noi per #ioleggoperchè c’era un bellissimo libro e una bellissima storia appena pubblicata da L’Orma edizioni dal titolo “Veniva da Mariupol” di Natasha Wodin nella traduzione di Marco Federici Solari e Anna Ruchat.
Natascha Wodin è nata in Baviera nel 1945 da genitori ucraini deportati come forza lavoro durante la Seconda guerra mondiale e ha trascorso l’infanzia in un campo per sfollati. Nella sua opera si è confrontata a più riprese con il materiale autobiografico affermandosi come una delle più interessanti autrici tedesche degli ultimi decenni. Ha conseguito, tra gli altri, i prestigiosi Hermann-Hesse-Preis e Alfred-Doblin-Preis.
Veniva da Mariupol“Veniva da Mariupol”, bestseller in patria e acclamato dalla critica, ha vinto il Premio della Fiera di Lipsia 2017 ed è il suo decimo romanzo . Una sorta di grande saga di famiglia capace di trasformarsi nell’affresco di tutto un secolo.
Navigando quasi sovrappensiero su un sito internet russo, una scrittrice ritrova – per un caso che ha del miracoloso – una traccia della madre, morta da decenni, di cui ignora pressochè tutto. Inizia così un’indagine appassionante che ripercorre l’incredibile destino di una donna e della sua famiglia dispersa durante gli smottamenti politici e bellici del Novecento: dalla Rivoluzione d’ottobre alla crisi dei Paesi postsovietici. Così, senza mai alzarsi dalla scrivania, Natascha Wodin lascia che la Storia colmi a poco a poco i vuoti della memoria, imbarcandosi in un viaggio a ritroso fino alla città ucraina di Mariupol, da dove i suoi genitori vennero deportati come forza lavoro al servizio del Terzo Reich.Romanzo che interroga la questione delle frontiere, della dignità dei rifugiati e delle loro sorti, “Veniva da Mariupol” è allo stesso tempo rielaborazione di una biografia incandescente e ricostruzione rigorosa di un crimine che ha segnato, nel silenzio dei popoli, milioni di individui: l’internamento dei lavoratori slavi. Tra false piste e colpi di scena Wodin restituisce un volto alle vittime rievocando personaggi memorabili come l’aristocratica rivoluzionaria zia Lidija, la folle cugina Evgenija innamorata del padre cantante lirico, la bisnonna italiana Teresa, sposa bambina che solca i mari sempre in compagnia delle sue bambole.Una vicenda struggente che cambia rotta pagina dopo pagina dando forma a quella materia spesso inverosimile che è la realtà di ogni vita.

Altro libro superconsigliato per #ioleggoperchè è stato «Il contrario della nostalgia» di Sara Taylor.
10Alex ha tredici anni quando all’improvviso sua madre decide di partire verso i luoghi del suo inquieto passato, portando con sé uno zaino che sembra aver pronto da sempre. Comincia così un lungo viaggio, al termine del quale nessuno dei due sarà più lo stesso. Tra road movie, saga familiare e romanzo di formazione, una storia di autodeterminazione, identità e libertà.
Nel giro di pochi minuti, l’esistenza di Alex verrà irrimediabilmente rivoluzionata: si ritrova in macchina, con niente da mettersi a parte i vestiti con cui ha dormito e senza la minima idea di dove sua madre abbia intenzione di andare. Comincia così un viaggio interminabile – Virginia, Michigan, Texas, California – che ripercorre le tappe dell’inquieta vita di sua madre: i genitori immigrati dalla Sicilia, l’infanzia e l’adolescenza trascorse tra orfanotrofi e famiglie d’affido, le donne che ha amato che per qualche ragione si chiamavano tutte Laura. Fra la strada e i motel, nella strana sospensione data dal costante movimento in avanti, Alex – che fin dalla più tenera età si rifiuta di assumere un’identità di genere, di essere maschio o femmina – imparerà a conoscersi e a conoscere sua madre e scoprirà che l’irrequietezza non è necessariamente un peccato, che ci sono cose a cui è impossibile dare un nome e storie che, per quanto lo si desideri, è impossibile raccontare. E che forse, in fondo, va bene così. Sara Taylor fa i conti con le questioni dell’autodeterminazione, dell’identità e della libertà in un libro che è a metà strada tra un classico road movie, una saga familiare e un inedito romanzo di formazione: doloroso, struggente, tenero ed esilarante, impossibile da dimenticare.

Sempre della Minimum fax e sempre superadatto ai ragazzi delle scuole è «E Baboucar guidava la fila» di Giovanni Dozzini.
Una favola senza morale, che racconta le migrazioni mostrando quello che viene dopo le traversate, la normalità inafferrabile di una vita dignitosa che segue ogni approdo e tutto quello che questa normalità contiene :le paure, i desideri, la rabbia, le nostalgie, riuscendo a ottenere alla fine quella particolare risonanza poetica che hanno soltanto le cose vere. Baboucar, Ousman, Yaya e Robert sono quattro richiedenti asilo arrivati in Italia dopo avere attraversato mezza Africa e il Mediterraneo. Sono sospesi tra la speranza che la loro richiesta venga accolta e l’ansia di essere respinti. C’è chi aspetta la prima udienza di fronte alla Commissione territoriale, chi il ricorso in primo grado al tribunale, chi invece ha ottenuto una protezione sussudiaria e per un po’ può andare avanti senza troppe ansie. Un fine settimana decidono di prendere un treno che da Perugia li porterà verso l’Adriatico. La meta è la spiaggia di Falconara Marittima e il viaggio è scandito dagli incontri, dalle ossessioni di ognuno e dall’altalenante rapporto con la lingua italiana. Sono quarantott’ore di piccoli avvenimenti: multe, bivacchi, visioni, la finale degli Europei di calcio, qualche litigio. Due giorni in cui i quattro amici si ritroveranno sempre a camminare, in fila indiana, lungo le strade della provincia del Centro Italia.
Giovanni Dozzini è un giornalista e traduttore perugino.Ha scritto, soprattutto di libri e musica, per Europa, Corriere dell’Umbria, Huffington Post, pagina99, Ondra rock e Nazione Indiana. È tra gli organizzatori di Encuentro, festival di letterature in lingua spagnola. Ha scritto altri tre romanzi: Il cinese della piazza del pino (Midgard 2005), L’uomo che manca (Lantana 2011) e “La scelta” per Nutrimenti nel 2016, altro titolo che abbiamo segnalato per #Ioleggoperchè.

Nel giugno del 1944 l’Italia è divisa in due. I tedeschi continuano a dettare la loro legge spietata di occupatori, ma gli alleati li costringono a ritirarsi progressivamente verso nord. Nel cuore del paese, poco sopra la linea del fronte, uno sparuto numero di ebrei scampati alla deportazione ha trovato rifugio su un’isola. Gli abitanti del villaggio affacciato sul lago Trasimeno conoscono alcune di quelle persone nascoste lassù al Castello, che a volte si sono spinte giù al borgo. Ma finora la guerra ha risparmiato quel piccolo pezzo di terra circondato dall’acqua, e i tedeschi hanno fatto la spola, di tanto in tanto, solo per prendere del pesce dai pescatori.Una mattina, però, un drappello sbarca e con un pretesto inizia a perquisire casa dopo casa. La tragedia si consuma improvvisa: a causa di un tafferuglio i soldati uccidono due civili e, per reazione, uno di loro viene colpito a morte. I tedeschi se ne vanno ma è certo che torneranno. Agli isolani non resta che compiere la scelta: attendere o scappare. E ancora, consegnare gli ebrei sperando di sottrarsi alla rappresaglia, o fare ciò che è umanamente giusto: aiutarli a salvarsi.
Ispirandosi a un fatto realmente accaduto ma sconosciuto fuori dai confini locali, Giovanni Dozzini scrive un romanzo storico dall’andamento epico, una trama corale di umanità ed eroismo.

Altro titolo che abbiamo voluto suggerire per far arrivare nelle biblioteche scolastiche è stato “La strage dei congiuntivi” di Massimo Roscia, edito da Exòrma nel 2014.
12Si tratta di un romanzo originalissimo, un gioco, un intreccio stretto di livelli narrativi diversi. Un testo divertentissimo e paradossale, denso di rimandi e suggestioni di borgesiana memoria. Una scrittura ineccepibile, un lessico affascinante, una vera delizia della Lingua! Chi ha ucciso l’assessore alla cultura? Ma, soprattutto, chi salverà la grammatica? Cinque bizzarri personaggi, abilmente descritti, si uniscono per mettere in atto un grande disegno criminoso a difesa estrema di una lingua quotidianamente vilipesa, deturpata e ferita a morte.I congiuntivi vengono invertiti con i condizionali, i verbi intransitivi goffamente resi transitivi, i gerundi sfregiati, i sinonimi ignorati, i troncamenti confusi con le elisioni, i vocabolari abbandonati nelle cantine ammuffite. Reggenze errate, fastidiose sovrapproduzioni di avverbi, insopportabili diminutivi iperbolici. Espressioni trite e banali, frasi mangiucchiate, difettose, frammentate, incoerenti, prive di punteggiatura…I più si mostrano indifferenti al progressivo diffondersi della non-lingua; altri si indignano, limitandosi a contrarre le labbra in segno di disgusto; altri ancora – Dionisio e i suoi sodali, un analista sensoriale, un bibliotecario, un dattiloscopista della polizia e un professore di letteratura sospeso dall’insegnamento a tempo indeterminato – decidono di reagire, combattere, attuare il loro salvifico piano, costi quel che costi.

È nato a Roma nel 1970 (qualcuno sostiene nel 1870). Scrittore, critico enogastronomico, docente, condirettore editoriale del periodico «Il Turismo Culturale». Autore di romanzi, saggi, ricerche, guide e vincitore di diversi premi letterari, ha esordito nel 2006 con “Uno strano morso ovvero sulla fagoterapia e altre ossessioni per il cibo”. L’originale noir sul rapporto cibo-nevrosi ha ottenuto in pochi mesi un grande successo di pubblico e di critica. Da qualche anno insegna comunicazione, tecniche di scrittura emozionale, editing, letteratura gastronomica e marketing territoriale. Nei minuti liberi continua a scarabocchiare e a chiedersi cosa fare da grande.

Altro titolo adatto ai ragazzi delle scuole è il romanzo d’esordio di Roberto Venturini ‘Tutte le ragazze con una certa cultura hanno almeno un poster di un quadro di Schiele appeso in camera’. Un romanzo fuori dall’ordinario, che stupisce, attrae. Era il giugno del 2014 quando Roberto Venturini e il regista Felice V. Bagnato pubblicarono su YouTube la prima puntata di “Tutte le ragazze con una certa cultura”. Gli internauti e la critica se ne innamorarono subito. Nel 2015, un anno dopo la pubblicazione online, è stata premiata al Roma Web Fest come la migliore web serie italiana. Dalla web serie è stato tratto il libro. Luca il protagonista del libro ha 30 anni, è un assistente universitario, corregge bozze e crede nell’amore, anche se le sue relazioni non sono mai entusiasmanti. È cresciuto guardando Bim Bum Bam, va in giro su una Fiat 500L del ’71 e pensa che i quadri di Pollock siano il risultato dello starnuto di un pittore sbronzo pestato sangue davanti a una tela bianca. Una sera conosce Silvia, con la quale fa subito sesso. Lei ostenta disincanto e cinismo ma, in fondo, ha solo una paura tremenda: apparire normale.
Inaspettatamente, se la ritrova davanti all’università: Luca vorrebbe riavvicinarla, ma Silvia non sembra interessata. All’esame, per vendicarsi le rifila un 29, «il più insignificante tra i voti alti». Segue una specie di aggressione da parte della ragazza, che culmina in uno scambio di baci. Così inizia la loro storia, angosciante come le carni livide di Schiele o esplosiva e policroma come i rapidi colpi di spatola di Monet. Ciclotimici sì, ma anche meravigliosamente normali. Una brillantissima epopea sentimentale contemporanea tratta dalla fortunata serie web Tutte le ragazze con una certa cultura. Un viaggio divertito e dissacrante nelle inquietudini di una generazione perduta tra aperitivi, mostre d’arte ed etichette come “radical chic”, “new normal”, “hygge” e “hipster”. Una coppia che si tormenta e si compiace di tormentarsi. Un amore che precipita nel vuoto cosmico di una generazione disillusa, ma sempre molto ironica. E, in quel vuoto, risuona l’eco dei miti del passato con cui si racconta.

Sicuramente da consigliare ai ragazzi per #ioleggoperchè il nuovo libro della Keller, esordio di Kristine Bilkau dal titolo “I felici”, tradotto dal tedesco da Fabrizio Cambi.
Un romanzo intelligente e acuto su paura e coraggio, sul pensare a un futuro in una società in cui i modelli delle generazioni precedenti non funzionano più, sul valore del lavoro e dell’affermazione, su come forse si può tornare a essere felici. Isabell e Georg sono una coppia felice, lei suona il violoncello in un’orchestra e lui è un giornalista.
Quando tornano a casa, la sera, osservano insieme gli appartamenti dei vicini così luminosi, con gli eleganti lampadari, gli scaffali pieni di libri e le tende colorate là dove dormono i bambini. Sognano, sognano un futuro a portata di mano, una promessa di cui già si sentono parte.
Eppure quando nasce il piccolo Matti le loro esistenze si fanno d’improvviso più incerte e tremanti, come la mano di Isabel quando ora imbraccia il violoncello. Per Georg le cose non vanno meglio con le insistenti voci di vendita del giornale, e pure l’affitto di casa aumenta. Ciò che sembrava scontato ? i caffè, i negozi, i parchi ? di punto in bianco appare inaccessibile. Una lenta deriva segnata da tante domande, calcoli, paure, solitudine ma anche da voglia di farcela e di capovolgere il proprio mondo.In questo romanzo d’esordio, accolto da un grande successo di critica e pubblico, Kristine Bilkau ci propone un ritratto magnifico e rigoroso delle giovani generazioni, così schiacciate tra l’aspirazione a una vita di successo e la costante paura di poter perdere da un momento all’altro quanto raggiunto. Una condizione “precaria” che può mettere in pericolo qualunque cosa, anche i legami più forti, raccontata con una lingua sobria e cautamente elegiaca, segnata da una grande bellezza e malinconia.Ogni generazione, si sa, trova la propria strada per la felicità. Accadrà anche questa volta?I protagonisti di questo romanzo, Isabell e Georg, sono persone che hanno investito molto nella loro istruzione, nella ricerca di un buon posto di lavoro, nella realizzazione personale che sembra dover obbligatoriamente coincidere con quella famigliare. Ma se le cose non vanno così? Se quello che pensiamo è diverso? Se non tolleriamo il pianto di nostro figlio? Se il rumore degli operai ci dà fastidio? Se non possiamo più permetterci un certo tenore di vita? Se sentiamo che il nostro corpo non risponde più ai suoi doveri?
Kristine Bilkau è bravissima nel mostrarci tutto questo, senza tralasciare nulla, neanche la possibilità di essere felici.

015

Il giovane scrittore Raffaele Riba sarà con noi ai Diari il 26 Gennaio prossimo per raccontarci “La custodia dei cieli profondi”, il suo secondo – magico – romanzo edito da 66thand2nd Editore e che noi vorremmo far arrivare, attraverso #ioleggoperchè, in uno degli Istituti Superiori gemellati con noi.
Cascina Odessa è un satellite periferico di un Pianeta ancor più periferico che naviga placido ai margini della Via Lattea. Un mausoleo eretto sopra i resti di un cane, un microcosmo un tempo forse perfetto e ora malato della malattia della dispersione. Gabriele lotta, contrappone la cura al disfacimento, è erede e custode, e resiste al progressivo sfaldarsi della propria famiglia. Finché non si consuma l’addio più doloroso, quello di suo fratello. Il legame è spezzato, e perfino l’universo sembra accordarsi a questo cataclisma minore: nel cielo compare un altro sole, un sole debole, una luce blu si fonde con la luce gialla, allaga la notte, sovverte il ritmo circadiano. Piovono poiane, i grilli tacciono, gli alberi sono allo stremo e le ore si dilatano in secoli, millenni. E per il Custode è arrivato il momento di abbandonarsi alla folle entropia del Tutto.
Raffaele Riba è nato a Cuneo nel 1983. È tra i curatori di scrittorincittà e insegna presso la Scuola Holden. Nel 2015, per Loescher, è uscito Abbi pure paura.

Aveva esordito nel 2014 con “Un giorno per disfare” (66thand2nd), altro titolo da far arrivare nelle scuole. In questo romanzo un’agghiacciante sequenza di cinque fotografie ritrae un enorme Pluto di peluche che avanza lungo Main Street, si sfila la testa pelosa e si dà fuoco con una bottiglietta di benzina. Siamo a Disneyland Paris nel pieno delle celebrazioni per il dodicesimo anniversario del parco. A scattarle è Jacques Vian, inviato di «Le Monde», affetto dai primi disturbi del Parkinson e deluso dalla vita. Sotto il vestito sintetico c’è Matteo Danza, un dottorando in Etologia convinto di conoscere il modo per contrastare il «declino dell’uomo». Jacques è attratto dal gesto di Matteo e come un esploratore si immerge nella sua storia, nelle sue convinzioni e nelle sue paure senza risparmiare sé stesso. Un lungo reportage emotivo in cui Jacques diventa il cantore dell’utopia di Matteo e ne suggella il sacrificio, consapevole anche lui che l’uomo è un animale in cattività nella natura artificiale che si è costruito e persuaso della necessità di «riordinare le nostre convinzioni e correggere il punto di fuga», ridiventando finalmente uomini.

Nello Zaino di Antonello: Un altro modo di intendere #Ioleggoperchè