di Federica Pergola

Federica Pergola, lettrice, con la rubrica “Le amiche consigliano”
Federica Pergola, lettrice, con la rubrica “Le amiche consigliano”

 

 

 

 

Profumo d’arancia

Foto di Federica Pergola
Foto di Federica Pergola

 Il volto di  Yaakov Markovitch era talmente privo di peculiarità da renderlo il più invisibile agli occhi degli altri. 

lo sguardo dei soldati inglesi scivolava su di lui come l’olio sulla pistola”.

 Proprio per questa banalità del suo aspetto il comandante della organizzazione dell’Irgun (il gruppo paramilitare sionista che operò in Palestina durante il mandato britannico, dal 1931 al 1948) gli aveva assegnato il compito di trafugare armi. E Yaakov aveva trafugato armi, più di qualsiasi altro membro dell’organizzazione. Ma anche gli occhi dei compagni scivolavano sopra di lui: nessuno gli rivolgeva la parola, aveva un solo amico: Zeev Feinberg. Completamente diverso da Markovitch – timido, insicuro, introverso e silenzioso – Zeev, fortemente caratterizzato da un maestoso (e non trascurabile) paio di baffi, è una forza della natura: un seduttore infaticabile, un affabulatore divertente, di cui tutti desiderano la compagnia e i consigli…

“Markovitch non poteva fare a meno di notare la differenza abissale tra il proprio atteggiamento e quello di Zeev Feinberg. Yaakov pensava fra sé: ci sono persone che si aggirano per il mondo come se ci fossero capitate per sbaglio…altre, invece, non camminano affatto nel mondo. Ci navigano, fendendo l’acqua come una nave sicura” .

Intorno ai due amici, compagni combattenti, si snoda dunque la storia che Ayelet Gundar- Goshen racconta con una padronanza ed un’acutezza sorprendenti per la sua età (la scrittrice è nata nel 1982 e Una notte soltanto, Markovitch è la sua opera prima, con la quale ha vinto in Israele il premio Sapir) e per uno stile che ricorda un grande maestro: lo scrittore ebreo Bernard Malamud.

Dividendo la narrazione in un prima, un durante, un dopo e un dopo dopo, la Goshen -con un’ironia trascinante e a tratti amara- ci rivela che tra gli intrecci esilaranti e umanissimi che fanno vivere le pagine del suo romanzo e i suoi indimenticabili protagonisti, un’altra entità è all’opera: la guerra. Vero punto fondante da cui far partire tutte le narrazioni. Che è poi la guerra dei sionisti all’alba della costruzione della loro tanto desiderata terra

“Guarda noi. Guarda questo paese. Sono duemila anni che speriamo, che l’aspettiamo. (…) E tu pensi che questa terra ci voglia? Che ci restituisca l’amore che le diamo? Figurarsi! Continua a vomitarci, ci manda al diavolo, ci colpisce spietata. E allora? Qualcuno qui dice: Bene, se lei non mi vuole me ne devo andare? (..) No. Ci teniamo forte e speriamo. Speriamo che alla fine si guarderà intorno, ci vedrà e dirà: ecco, è questo. E’ questo che voglio”.

Ma è anche la guerra che proprio il fino ad allora balbettante Markovitch ingaggia con Bella, una donna di stupefacente bellezza che ha dovuto sposare nell’ambito di un’altra missione per l’organizzazione dell’Irgun: procurare a delle ebree europee il permesso di ingresso in Israele. Solo che il matrimonio fittizio avrebbe dovuto concludersi appena tornati a Tel Aviv, con la concessione del divorzio. E Markovitch si rifiuta di concederlo.

 “L’avrebbe portata a vivere con lui e la sua vita sarebbe stata puro inferno. Ma preferiva la certezza dell’inferno all’eternità del dubbio”

”La guerra di Bella Markovitch contro Yaakov Markovitch fu lunga  e difficile, ma solo pochi ne furono al corrente. (…) La sfortuna di Bella fu che la sua guerra si svolse proprio mentre tutti combattevano. Gli ebrei in Europa combattevano per sopravvivere. I francesi per l’onore residuo. I russi per le steppe ghiacciate. I britannici per l’Impero. Contemporaneamente combattevano anche gli altri, cinesi e giapponesi, indiani e africani”…

E, sopra tutto e tutti, c’è il desiderio. Il desiderio insoddisfatto, che il destino beffardo mescola ed imbroglia, in un gioco che sembra una giostra d’amore (e che ricorda il sogno di una notte di mezza estate per il rincorrersi, lo sfuggirsi, l’inseguirsi, il trasformarsi dei diversi personaggi).

Padri che non sono i veri genitori dei loro figli. Una moglie che non vuole esserlo- e riesce a non esserlo mai. Un uomo che ama la donna del suo miglior amico per quasi tutta la sua vita. Una bambina dai capelli d’oro, nata dalle fantasie di sua madre, che si rivela, invece, un maschietto bruno. Una donna che ha pensato di fuggire dal ricordo di un rumore (quello del cranio di un ebreo fracassato su un marciapiede, in Germania) e che infine scopre di non esserci riuscita.

E il sogno di una terra, che per gli arabi è destinato a diventare rimpianto

“-Li abbiamo cacciati da Lod, li abbiamo allontanati da Giaffa. Ci aspettano quarant’anni di tranquillità!- Il vicecapo dell’Irgun rispose: No. Non saremo tranquilli. Perché li aveva visti, lui, gli occhi degli arabi di Lod mentre ammassavano i loro pochi averi e partivano per la lunga marcia sotto il sole cocente. Aveva visto una donna che si sforzava di allattare un neonato morto. Guardandola negli occhi scorgeva il riflesso dei propri. Lui quello sguardo lo conosceva, era lo sguardo di chi ha dovuto cedere l’unica cosa che ama”

E infine come non parlare un momento di Sonia, la donna di Zeev, la cui pelle profuma d’arancia e il cui ardore e naturalezza del vivere riscalda chiunque la incontri.

“Sonia era l’unica i cui colori non sbiadivano. Non era bella, lo sapevano, eppure levavano il volto nella sua direzione come i girasoli verso la luce”.

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Una notte soltanto, Markovitch, di Ayelet Gundar-Goshen, traduz. di O. Bannet e R., Scardi, pp. 327, Giuntina, €16.50

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