L’immaginazione è peggio dei sogni. Ed è pure peggio della realtà. Dentro i sogni non decidi tu, anche se sei tu. Nella realtà quello che decidi si compie, punto e basta. Nell’immaginazione, invece, può succedere ancora tutto quanto, sale a galla la persona che potresti essere; e quello che sei sta lì, ancora non compiuto.

Clicca sulla copertina per accedere alla scheda sul sito della casa editrice Einaudi.
Clicca sulla copertina per accedere alla scheda sul sito della casa editrice Einaudi.

Sul filo dell’immaginazione così intesa si dipana la narrazione di “Cattiva” (Einaudi) di Rossella Milone, narrato in prima persona da Emilia, con una lingua che senza indulgere al napoletano, lo “canta” nella disposizione delle parole e nell’uso “storpiato” di alcuni vocaboli, così da valorizzare il tono introspettivo e interiore. Un libro intimo che si pone al di là del romanzesco, assolutizzando l’esperienza della nascita di un figlio, il primo figlio, con tutto il carico di conflitti e contraddizioni incomprensibili che la accompagnano.

Voglio scoprire i segreti delle cose, confessa Emilia da ragazzina al fratello Daniele, in una delle loro incursioni nella villa d’Elboeuf, che hanno eletto a loro rifugio. La vecchia villa è il simbolo di ciò che rimane inalterato, quel grumo corposo sudicio e denso che resiste in ognuno di noi, fino alla fine, dinnanzi a tutti gli altri rivolgimenti che la vita ci destina:

La villa d’Elboeuf si impenna oscura verso il mare, non verso il cielo: è troppo vecchia per stare dritta, ma non teme nulla, quando le sue gambe di cemento crolleranno in uno sbuffo stanchissimo, l’acqua sarà lì, il mare ai suoi piedi sarà pronto ad accoglierla come un servitore fedele. Io sono ai suoi piedi. Io sono la bambina che la guardava dal basso. Sono la sorella che diceva al fratello Da grande voglio fare quella che scopre le ville.

Ed è lì che ritorna Emilia, neomamma, nel tentativo di scoprire il segreto che la attanaglia, perché come pensava da adolescente:

scoprire i segreti delle cose significa aggiustarle.

Rossella MiloneEd è quello che cerca di fare Rossella Milone in poco più di un centinaio di pagine, che hanno il respiro corto e affannato della ricerca di sé, e la profondità dell’apnea con la sospensione ottundente di tutto ciò che è intorno.

Il segreto più vero e autentico, che con prepotenza spavalda Rossella Milone porta alla luce, “caccia” come direbbe la sua protagonista Emilia è:

era questo che stavo facendo, mica solo partorire: stavo arrivando alla verità delle cose.

La verità non è mai semplice né da comprendere né da ricercare, ed è nel groviglio della ricerca che Emilia si sente sola e spaesata. Nulla possono la madre e il padre, che di fronte alle esigenze di un neonato sono presi da occupazioni che sono loro a giudicare importanti, ma che non scalfiscono né tirano fuori Emilia dal marasma in cui si sente coinvolta. Nulla può Vincenzo, il marito, se non condividere con lei un pezzetto di strada, quella della fatica e della mancanza di sonno, senza inoltrarsi nei labirinti contrastanti di sentimenti, quasi in sacrale adorazione di un mistero che può osservare ma al quale non può fino in fondo partecipare. Non a caso è l’unico momento “magico” in cui la scrittrice cede l’io narrante da Emilia e Vincenzo:

ma io sento, che c’è qualcosa nell’aria: una turbolenza viva che si agita e so che viene dalla furia che siete. Vi sento ribollire, quasi, come un’incandescenza. Contenete ogni cosa: l’ossigeno, l’acqua, la terra, il caldo: mi incantate, proprio, e ti accarezzo, e osservo lei così tranquilla e capisco che non è una cosa nuova, al contrario, lei è un fossile e noi siamo la sua montagna, e tu sei il suo centro, e un centro non è mai un bersaglio, è soltanto il punto dove si incontrano due persone. Dove tu hai incontrato tua figlia.

… e dove Rossella Milone ha trovato la forza e la bellezza di parole che partecipano e sono distanti contemporaneamente, svelando una paternità commossa e incantata. In filigrana c’è sempre questa differenza: la calma della figlia nella percezione del padre, e le urla avvertite dalla madre, una sonda di impulsi ancestrali che non sono affermati in via di principio, ma intuibili nei dettagli messi in campo.

Eppure, nonostante Emilia e sua figlia Lucia siano al centro della narrazione come una statua neoclassica, che nella grazia e nell’armonia della forma nasconde l’inquietudine di emozioni difficili da decifrare e da dirigere, “Cattiva” non è semplicemente un libro sulla maternità, ma nasconde qualcosa di più profondo e vero. È un libro sul tempo, sulla perdita di una parte di sé, sulla vita e sulla morte che diventano rinascita, sul desiderio di fuga, sull’essere adulti, sulla nascita di genitori, sulla rivoluzione e lo scardinamento di esistenze, sulla felicità. Rossella Milone riesce con una scrittura graffiante, che scortica lo smalto luccicante con cui di solito si ricopre la narrazione della nascita di un figlio, e che scopre il “fondo” torbido e inquieto, a tenere uniti tutti i diversi elementi, senza scartarne i conflitti e le contraddizioni, sul filo dell’immaginazione, che è potente cifra stilistica e narrativa di “Cattiva”.

Una persona buona e una persona cattiva.

Io sono buona quando l’allatto, sono cattiva quando voglio fuggire.

Si può “aggiustare” questa dicotomia? Rossella Milone in “Cattiva” la insegue tra le pagine con scarti e illuminazioni, ferite stupori e pianti, fughe e ritorni, sul doppio binario di due momenti che invece di essere linearmente successivi, sono intrecciati e incastrati l’uno nell’altro: il lungo momento del parto e la sospensione della quotidianità alla ricerca di un nuovo equilibrio quando si rientra a casa con un fardello e una carrozzina lilla.

A un certo punto della notte la verità viene a galla, viene proprio su come un legnetto che emerge dall’acqua, e appare quella lucidità inaudita che solo le verità hanno: il mio legnetto è mia figlia che mi dice Sei una pessima madre.

Cattiva
Tag: