di Maria
“Quand sort la recluse”, tradotto con espressione meno felice: “Il morso della reclusa” (Traduzione di Margherita Botto, Einaudi), è il nuovo libro di Fred Vargas (pseudonimo di Frédérique Audouin-Rouzeau) ed è ancor più gotico dei precedenti.
Atmosfere cupe e spaventose – che inficiano persino la consueta calma serafica del “nebbioso” commissario Adamsberg, di ritorno dalla nebbiosa Islanda e vittima in questo romanzo (il nono della serie) di traumi infantili e inconfessate fobie – fanno da sfondo ad una torbida storia di violenze e vendette.
La trama è complessa, quasi inverosimile e visionaria, ma oliata come un ingranaggio perfetto per arrivare al finale senza incertezze.
La collezione di personaggi, ormai noti agli affezionati lettori della scrittrice francese, vale a dire gli agenti del commissariato del XIII arrondissement parigino con il curioso e pigrissimo gatto dagli stessi agenti adottato, si arricchisce di una protagonista di tutto rispetto, anziana e stravagante, di cui null’altro possiamo dire.
Le descrizioni sono minuziose e suggestive, lo stile curatissimo e le citazioni come sempre colte e accurate.
In conclusione, la Vargas non delude neppure questa volta. E Jean-Baptiste Adamsberg è ormai uno dei nostri beniamini.
“Non ci posso credere, non ci voglio credere. Torni fra noi commissario. Ma in quali nebbie ha perso la vista, porca miseria?”; “Nella nebbia ci vedo benissimo, meglio che altrove.”.