di Chiara Mezzalama

Chiara Mezzalama

 

 

 

 

 

Freeing Architecture, Junya Ishigami

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            C’è un giorno ad aprile in cui esce il sole e sprigiona un calore inaspettato. Tutti si buttano in strada per coglierne i benefici, come un frutto maturo da prendere prima che cada in terra o venga mangiato dagli uccelli. Quando abitavo a Roma aspettavo l’arrivo delle rondini, qui a Parigi è questa prima giornata di primavera che aspetto (insieme a qualche milione di altre persone). Le terrasses si riempiono, le ragazze si spogliano, ogni metro quadrato di erba è preso d’assalto. Per celebrare questo rito pagano, decidiamo di andare alla Fondation Cartier pour l’art contemporain. Amo questo luogo che è già di per sé un’opera d’arte: l’edificio di Jean Nouvel tutto in trasparenza e il suo magnifico giardino selvaggio ideato dall’artista Lothar Baugarten che si sta riempiendo di fiori. C’è una mostra inaugurata qualche giorno fa dell’architetto giapponese Junya Ishigami. Non ne ho mai sentito parlare, ma un luogo così bello non può che accogliere bellezza; il titolo della mostra è Freeing Architecture quanto basta a convincermi a entrare.

            Vincitore del Leone d’oro alla biennale d’architettura di Venezia nel 2010, classe 74, Junya Ishigami presenta in questo spazio diciannove progetti di architettura tra Asia e Europa, una trentina di plastici, disegni, video, schizzi, calcoli.  Mi basta mettere piede nella prima sala ed eccomi completamente rapita dalla forza della sua visione, una visione che lui stesso definisce

«più flessibile, più aperta, più sottile possibile per superare i preconcetti sull’architettura».

Il paesaggio è un elemento essenziale dei suoi progetti, dove l’assenza di pareti permette una vera apertura sull’esterno e il confine tra interno e esterno sfuma completamente come nel Centro Culturale di Shandong, in Cina, una passeggiata in mezzo all’acqua lunga un chilometro, dove l’acqua penetra sotto le pareti di vetro e un esile tetto sembra appena appoggiato. O il centro di accoglienza dei visitatori nel parco di Tytsjerk, nel nord dei Paesi Bassi, che sembra sciogliersi in mezzo alla natura, senza pilastri, il vetro ricurvo dei tre lunghi camminamenti ne garantisce la stabilità, ancorandosi nella terra. I giardini umidi di Tochigi, in Giappone, nei pressi di un albergo: quella che era prima una foresta, poi diventata risaia viene trasformata in una nuova foresta ripiantando degli alberi e scavando delle piccole pozze che si riempiono di acqua piovana, creando incredibili riflessi di verde che ne fanno un luogo di incantamento, una foresta fatata anche quando la neve si posa bianca e delicata come un ricamo antico.

            IMG_8067Di sorpresa in sorpresa, ecco la casa giardino, una casa pensata per una giovane coppia di sposi, dove alcune zone del pavimento sono di terra e vi sono piantati degli alberi e dei fiori, creando un vero giardino interno, che richiama antichi modi di abitare del Giappone senza tuttavia trascurare le esigenze di comodità contemporanee. Penso guardando le foto e i disegni del progetto, che mi piacerebbe abitare in una casa così o andare a meditare nel Casa della Pace a Copenaghen, un edificio a forma di nuvola di cemento bianco che sembra galleggiare sull’acqua e dove la luce penetra e riflettendosi cambia con il passare delle ore e delle stagioni. Una parte importante del lavoro di Junya Ishigami riguarda gli spazi per i bambini, un bellissimo asilo nella foresta di Shandong, per esempio, pensato per muoversi liberamente in accordo con il paesaggio circostante. C’è qualcosa di onirico nel lavoro di Ishigami, un vero senso del sacro, un rispetto profondo del bisogno di abitare di ognuno, e del rapporto che l’architettura deve instaurare con la terra e la società nella quale viviamo, con tutta la sua complessità e evoluzione costante. Questo equilibrio, l’apparente leggerezza, la trasparenza delle forme si fonda su un lavoro enorme di concezione, di studio sui materiali, di matematica e di statica, di tecnologia, quella capacità tutta nipponica di associare il futuro al passato, di combinare natura e innovazione che tanto mi affascina. Talvolta mi spaventa. E allora fa bene uscire nel giardino della Fondazione, dove ritrovo gli alberi dell’amato Penone, dove felci e narcisi e erbe selvatiche creano tra loro un’insolita armonia. Il cielo è coperto ormai, la finestra solare è pronta a richiudersi e chissà quanti altri giorni di pioggia ci aspettano.

(per le foto, che io non so fare, ringrazio Livia, mia figlia).

Suivez-moi – Fondation Cartier pour l’art contemporain