di Alice Pisu

Libraia e giornalista, al timone con Antonello Saiz dei Diari di bordo, libreria indipendente a Parma, con la rubrica "I libri di Alice"
Libraia e giornalista, al timone con Antonello Saiz dei Diari di bordo, libreria indipendente a Parma, con la rubrica “I libri di Alice”

 

 

 

 

 

 

 

 

Raccontare Van Gogh. Da Mirbeau a Artaud a Sanchez e Dragone

La Mousmé seduta, Vincent Van Gogh, 1888, National Gallery Washington.
La Mousmé seduta, Vincent Van Gogh, 1888, National Gallery Washington.

Johanna Van Gogh Borger cammina fiera per le strade di Bussum verso la stazione con il suo abito color granata dalle spalle ricamate, un cappello Luigi XVI ornato da due orchidee e le tele sottobraccio incorniciate d’urgenza. È passato meno di un anno dalla morte di Vincent Van Gogh e, tra l’incomprensione dei contemporanei, l’indifferenza dei famigliari e il tiepido appoggio degli intellettuali dell’epoca, una donna sola, rimasta vedova a 29 anni, decide di prendere le redini di un’eredità che intuisce avere una portata immane. Suo marito Theo, il primo e più grande sostenitore dell’arte di Van Gogh, è incapace di sopravvivere al dolore della morte del fratello e si spegnerà sei mesi dopo. Johanna prende presto consapevolezza del peso della sua responsabilità, far conoscere al mondo l’arte, sino ad allora ignorata, di Van Gogh. Lo capirà imparando a conoscerlo una volta scomparso, immergendosi nella corrispondenza con Theo: oltre seicento lettere in cui racconta i motivi della pittura, il senso del racconto nell’arte, descrizioni che sono versi poetici, confessioni private, intuizioni di ciò che da lì a pochi anni sarebbe successo in quella fine programmata con un colpo di rivoltella al petto. È il 1891, e quella donna sola con un figlio in fasce, Vincent, prenderà in mano la sua vita in un piccolo paese delle campagne olandesi ormai lontana dall’ambiente culturale parigino. Parte dalla storia di quella donna capace di emanciparsi da ogni convenzione sociale Camilo Sanchez, affascinato da un riferimento fugace colto guardando un documentario della BBC, per investigare le ragioni della riscoperta dell’opera e offrire, con La vedova Van Gogh (Marcos y Marcos, trad. Francesca Conte), un ritratto inedito del genio disubbidiente.

La vedova van GoghIl rilievo del romanzo di Sanchez non risiede tanto nell’avvicinare il lettore ad alcune delle pagine più intime dell’artista, già note con Lettere a Theo, (M. Cescon, Guanda 2007), ma nell’arricchire di elementi la narrazione eternamente incompiuta su Van Gogh, attribuendo per la prima volta a  Johanna Borger il peso fondamentale avuto nella valorizzazione dell’opera e, al tempo stesso, raccontare il modo di rendere la scoperta di sé attraverso la scrittura, intrecciando le lettere dei fratelli alle pagine del diario intimo della donna, iniziato a diciassette anni e limato una volta all’anno come esercizio di temperanza. Pagine che sono riflessioni sferzanti sulla società del suo tempo, che non lesinano il disprezzo per le conventicole di intellettuali parigini e raccontano l’urgenza di rifugiarsi nella scrittura per sfuggire “all’altrui passione per l’uniformità”.

Johanna si perde ad ammirare quadri come Campo di grano con papaveri e allodola, o Il seminatore al tramonto appeso con le puntine in salone e si dimentica della cipolla che soffrigge sul fuoco. Entra nelle sue lettere e impara ad analizzare con occhi nuovi il senso della pittura che, per Vincent, non risiede nel rendere esattamente ciò che riempie i suoi occhi, ma nel servirsi del colore in modo arbitrario per cogliere il sentimento del luogo che ritrae, l’anima del suo soggetto: nient’altro che quadri pieni di pittura, sostiene. Van Gogh vede nei colori di un quadro la vita intima delle cose. Come scrive da Arles nel 1888, per ritrarre l’amico artista che “sogna sogni grandiosi”, Eugène Boch, esaspererà i toni del giallo e dell’arancione e, nello sfondo, invece del muro del suo misero appartamento, ritrarrà l’infinito con il suo blu più ricco. Attraverso quelle lettere Johanna scoprirà il pensiero di Vincent Van Gogh sulla società del suo tempo nelle sue riflessioni sulla crisi dei principi di uguaglianza, libertà e fraternità che vede vacillare, sulla povertà dilagante resa anche nell’omaggio de I Mangiatori di patate. In controluce lo spettro del colera, gli scioperi, il profondo divario sociale tra la povertà estrema e il fervore sociale della borghesia di una città che in quegli anni rappresenta il centro del mondo e accoglie artisti come Camille Pissarro, Alfred Sisley, Pierre-Auguste Renoir, Claude Monet, Edgar Degas, o l’eccentrico Henri de Toulouse-Lautrec diviso tra conventi e bordelli.

Non si tratta solo della storia di emancipazione di una giovane donna negli anni in cui nascono i primi movimenti femministi dei Paesi Bassi e ci si interroga sul tema dei diritti, ma di come quel percorso interiore abbia come motore propulsore l’opera di Van Gogh: “con l’impulso di vivere circondata da notti stellate, caffè notturni di Arles, tronchi di larici sul punto di parlare e mulini di Montmartre, abbagliata dalle parole dello stesso Van Gogh nelle lettere, Johanna – ed era un tempo in cui le scelte delle donne aevano il mondo contro – intona come non mai le corde della sua vita”.

Ramo di mandorlo in fiore, Vincent Van Gogh,1890, Van Gogh Museum, Amsterdam.
Ramo di mandorlo in fiore, Vincent Van Gogh,1890, Van Gogh Museum, Amsterdam.

Una necessità che appare nuova, quella di leggere l’opera di Van Gogh attraverso le sue parole, che  ne I miei quadri raccontati da me, edizione di pregio appena uscita per i tipi di Donzelli a cura di Piergiorgio Dragone, oltre a fornire un apparato critico di grande spessore con taglio divulgativo, racconta i momenti fondamentali della pittura e della vita dell’artista attraverso una selezione di ventuno dipinti esplorati dal lettore anzitutto con le sue lettere. Un’intuizione già avuta da Johanna Borger nel cogliere il tratto poetico nella scrittura di Van Gogh e nel pensare alle prime esposizioni accompagnate da una selezione delle sue lettere per descrivere le opere, come accadrà anche nella trionfale celebrazione al MoMA di New York nel 1935.

Avvicinarsi a Van Gogh nel leggere opere critiche come quella a cura di Piergiorgio Dragone, biografie come Follia? di Giordano B. Guerri (Bompiani) o letture romanzate come quella di Sanchez, permette al lettore di rifuggire finalmente dall’immagine mitizzata dell’artista folle e geniale, miserabile, fiero e disperato, strumentalizzata per lungo tempo per contribuire a definire per eccessi una figura non incasellabile in stereotipi. Già sul finire dell’Ottocento Octave Mirbeau in quello che originariamente era uscito come romanzo a puntate su l’Echo de Paris tra il 1892 e il 1893, (Nel cielo, Skira, 2015), userà una figura direttamente ispirata a Van Gogh per riflettere sul dramma della condizione dell’artista nella società, tema che di lì a poco avrebbero approfondito gli esistenzialisti. Pochi decenni dopo sarà l’intellettuale Antonin Artaud a usare proprio il caso di Van Gogh per denunciare l’incapacità generale della società di accogliere figure geniali e non allineate come il pittore olandese, ferme nel denunciare le contraddizioni del tempo e nel non voler sottostare alle convenzioni. Aver vissuto un’esperienza psichiatrica simile a quella di Van Gogh con ricoveri frequenti, porta Artaud non solo a sentirsi quanto mai vicino al modo di vedere il mondo dell’artista ma a sentirsi anch’egli in qualche modo un esiliato dalla società. Con il suo infiammato manifesto di denuncia del 1948, Van Gogh il suicidato della società (Adelphi, 1988), Artaud afferma che definire folle una personalità geniale come quella dell’autore dei Girasoli sia una vendetta sociale da parte di una massa mediocre che, incapace di riconoscere la portata dell’opera, cerca di decretarne la fine.

Scoprire con occhi nuovi Van Gogh oggi, attraverso letture critiche, biografiche o romanzate, non dovrebbe prescindere dalla consapevolezza dei limiti e dell’incompiutezza che qualsiasi narrazione avrà nel parlare del vero anticipatore dell’arte moderna, e della necessità per il lettore di liberarsi realmente da visioni preconcette del genio folle.

Immagini artefatte e lontane da chi, come Van Gogh, a ventisette anni ha già letto minuziosamente la Bibbia, Eschilo, le opere di Hugo, Dickens, Stowe e per intero Shakespeare ed è capace di descrivere un dipinto vivendolo con le parole, che si tratti dei volti dei vagabondi notturni in cerca di un rifugio ne Il caffè di notte, o dello sguardo giapponese della sua Veduta di Arles con iris in primo piano. Chi come lui concepisce la tela come un quadro bianco davanti a cui sedersi non ha il sollievo di una azione di rottura e non potrà che, come scriverà la poetessa Henriette Roland Holst, continuare eternamente ad avanzare al galoppo, oltre il riflesso di sé stesso.

Recensione apparsa su Repubblica Parma. Letture di Alice Pisu, uscita il 10 gennaio 2018

I Libri di Alice: Raccontare Van Gogh