di Alice Pisu

Libraia e giornalista, al timone con Antonello Saiz dei Diari di bordo, libreria indipendente a Parma, con la rubrica "I libri di Alice"
Libraia e giornalista, al timone con Antonello Saiz dei Diari di bordo, libreria indipendente a Parma, con la rubrica “I libri di Alice”

 

 

 

 

 

 

 

Leggere Grazia Deledda oggi                                          

Egon Schiele, Portrait of Eva Freund, c..a.1910
Egon Schiele, Portrait of Eva Freund, c..a.1910

Maria sa bene perché non ha intenzione di leggere Quo vadis? di Henryk Sienkiewicz. È lontana dal principale argomento di conversazione dei salotti dell’Italia dei primi del Novecento. Non si sente parte di quella massa di lettori capaci di profanare un libro attraverso un’ammirazione vuota riversata anche in quella che ai suoi occhi non è altro che una storia d’amore dalla moralità immorale, La famiglia Polaniecki. Lo dice al suo fidanzato Antonio Azar, Maria, la protagonista di Amori moderni di Grazia Deledda, e nell’ardore delle sue conversazioni sulla letteratura cerca disperatamente di scardinare le convenzioni della società del suo tempo incarnate da una dimensione famigliare incapace di capire i moti del suo animo e che si scuote solo a sentir parlar male dell’esercito. Si chiede cosa sia la felicità, Maria, quella parola di cui si riempie la bocca chi ne parla senza sapere. Sono ribelli, rivoluzionari e peccatori i protagonisti delle storie di Grazia Deledda, quelli che sentono di non volersi allineare allo stato di cose del loro presente, giovani donne che si esprimono sulla letteratura, figli che si ribellano ai padri, vittime di omertà e di errori giudiziari che cercano un riscatto, peccatori e preti, vinti e carnefici tra incesti e amori disperati e folli.

È lei per prima una rivoluzionaria, Grazia Deledda, capace di usare la scrittura come atto politico. È profondamente moderna nella scrittura e nei temi, gioca con la struttura e con il linguaggio, sperimentale e gotica al tempo stesso e slegata da una dimensione regionale a cui per molto tempo una parte della critica l’ha asservita. Lei che leggeva i classici russi e i francesi e amava profondamente Omero, Shakespeare e Tolstoj, divorava quanto di più rilevante la letteratura europea potesse offrire in quegli anni, consapevole della necessità di definire la propria identità costruendola nel suo personale altrove letterario. Grazia Deledda sapeva guardare al di là del panorama letterario italiano del Verismo, in favore di un Modernismo che però declinava in una chiave del tutto personale per raccontare, attraverso storie ambientate in luoghi tra l’immaginario e il reale della Sardegna tra fine Ottocento e primo Novecento, le paure personali e collettive dell’individuo. È un’immagine dell’isola lontana da quella evocativa e suggestiva e quasi turistica data da Enrico Costa o da una parte di letteratura sarda che sceglie di offrire al lettore ciò che vuole trovare nel racconto di una terra esotica e selvaggia. Grazia Deledda offre un ritratto letterario altro e nuovo dell’isola da una prospettiva di distacco diventando, come sottolinea Michela Murgia, una scrittrice

“straniera che lottò per guadagnarsi una lingua che le permettesse di raccontare il suo mondo”.

E quel mondo lo racconterà con la convinzione che il ruolo della letteratura sia quello di offrire uno specchio al lettore, mettendolo davanti a se stesso.

Ciò che per anni si è perso di vista nel considerare la scrittura di Grazia Deledda è il suo profondo legame ai temi del presente, capace di raccontare le inquietudini dell’uomo e il dramma dell’esistenza indagando sul ruolo dell’intellettuale, sul peso che la vera letteratura è in grado di avere per l’individuo, per scardinare istituzioni pubbliche e private inviolabili nella visione comune anche interrogandosi sulla crisi di quella matrimoniale come in Dopo il divorzio, (Studio Garamond), edizione rilevante oltre che per le tematiche, per la scelta di tornare alla versione originaria del 1902 rispetto alla revisione successiva quasi vent’anni dopo. Negli ultimi anni si assiste a una nuova attenzione nei confronti della scrittura di Grazia Deledda, dal romanzo in forma di teatro di Marcello Fois, Quasi Grazia, Einaudi, portato a teatro per la regia di Veronica Cruciani, all’interesse da parte dell’editoria indipendente, come il saggio di Ilaria Muggianu Scano e Mario Fadda (Arkadia) che riflette sul ruolo di primo piano del Premio Nobel nel romanzo cattolico italiano accanto a Amelia Melis De Villa, o la biografia di Maria Ciusa Una vita per il Nobel (Carlo Delfino), che esplora la dimensione più intima e privata della scrittrice, tra carteggi inediti, riviste d’epoca e testimonianze dirette del secondogenito Franz, per cogliere più da vicino i motivi ispiratori della sua scrittura. Entrando in quella dimensione personale si può anche scoprire, come fa Sandra Petrignani in La scrittrice abita qui (Neripozza), che ciò che accomuna in fondo Grazia Deledda a Colette, Marguerite Youcenar, Karen Blixen, Virginia Woolf e Alexandra David-Néel è la presa di coscienza della necessità intellettuale di vivere per la letteratura senza ricadere nella trappola della consolazione della scrittura.

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Perché leggere Grazia Deledda oggi? Anzitutto per il suo valore storico e politico: le sue narrazioni segnano un margine nelle tematiche legate ai diritti che permetterà a altre grandi pensatrici di intraprendere quel percorso usando la scrittura con una consapevolezza precisa: il suo atto politico, annoverato da George Orwell tra i motivi della scrittura. E certo anche per il suo essere innovativa nel riuscire a costruire un modello interno e originale arrivando a definire una propria e personale lingua letteraria che sarà fondamentale per gli scrittori che dopo di lei si confronteranno con quello che diventerà un modello.  Per la sua profonda attualità nel raccontare l’incanto e il disincanto dell’uomo nel presente, il sistema di potere sociale e il ruolo della donna, la ricerca di una nuova identità nella fede su cui il lettore continua a cercare risposte. Basta leggere oggi un romanzo come Elias Portolu e pensare all’eredità morale che lo avvicina ai Promessi Sposi come rilevato da Attilio Momigliano, o leggere L’edera, per tornare a Dostoevskij, o le storie di omicidi e la voglia di cercare una nuova vita e un riscatto dalla solitudine e dal disamore per la vita che da Canne al vento ispirerà generazioni di scrittori e poeti lungo tutto il Novecento. Attraverso quel fatalismo che domina il racconto di vite costantemente sul filo tra dolore e peccato, l’ardore degli istinti e la morte, e il senso di profonda solitudine dell’uomo che nelle narrazioni deleddiane è legato anche a una visione della donna che vive la ricerca di un distacco da una realtà opprimente, il lettore di oggi investiga le ragioni per raggiungere un’idea di emancipazione emotiva e sociale proprio attraverso una visione individuale e sentimentalmente indipendente dell’esistenza. In Nostalgie (1905) scriverà:

“La nostra vita è tutta un triste sogno [..] Non capisco questa smania che tutti abbiamo della compagnia. Quale miglior compagnia di noi stessi?”.

Riflessioni ancora oggi profondamente attuali e che apparivano dirompenti rispetto alle tematiche letterarie predominanti del suo tempo, esplorate poi, tra le altre, anche da scrittrici come Irmgard Keun divenute un riferimento per generazioni di donne che nella prima metà del Novecento cercavano anche in letteratura risposte legate ai temi dei diritti e dell’autonomia intellettuale della donna. Occorre leggere Grazia Deledda oggi per comprendere i motivi della scrittura nella ricerca e nel racconto di sé attraverso la costruzione e l’esplorazione dei propri personaggi, per restituire al lettore le proprie angosce, i dolori, le pene, le relazioni tormentate, attraverso quelle dei suoi protagonisti. Leggere Grazia Deledda oggi significa riappropriarsi dei luoghi, quelli che sono frutto dell’incontro tra il reale e l’immaginario, come Galte per Canne al vento. Quelli con i quali lei si sentiva una cosa sola, come il suo amato Orthobene in cui ritrovava l’anima del suo popolo, dolce, pura, aspra e dolorosa. E non si tratta di una questione di aderenza letteraria alla realtà fisica nel descrivere un luogo conosciuto ma nel riconoscersi nel suo sentimento:  diventerà reale, a prescindere da ragioni geografiche, in quell’incontro in una sorta di geografia fantastica su base antropologica, perché racconta le inquietudini e i sogni di una comunità.

978880623394GRALa sfida per il lettore innescata da Grazia Deledda oltre un secolo fa è quella di riconoscere come propri quei luoghi letterari, solo così sarà in grado di difenderli e prendere coscienza della propria appartenenza e della propria identità, vedendo finalmente se stesso davanti a quello specchio. Non smetterà mai di farsi domande attraverso la letteratura Grazia Deledda, cercando se stessa e riconnettendosi a una parte irrisolta del passato, come farà con Cosima. “Perché mai si dovrebbe scrivere se non si può rovesciare il mondo, se l’ineluttabile non si può emendare almeno sul foglio?” si chiede Palmiro in Quasi Grazia. Anche in questi interrogativi risiede la profonda attualità di Grazia Deledda e sembrano cercare risposte nuove oggi nelle riflessioni di Zadie Smith, nella consapevolezza che le invenzioni dello scrittore non siano scollegate dal suo io. È ciò che rende interessante quello che, in Perché scrivere (minimum fax), la scrittrice e saggista britannica definisce come un fallimento letterario che avviene costantemente rispetto ai parametri che si prefigge chi scrive, spesso anche in quei modi privati difficili da esprimere e facile oggetto del ridicolo, eppure nonostante tutto profondamente veri.

Recensione uscita su Repubblica Parma Letture di Alice Pisu, il 6/12/2017

I Libri di Alice: Grazia Deledda