di Alice Pisu

Libraia e giornalista, al timone con Antonello Saiz dei Diari di bordo, libreria indipendente a Parma, con la rubrica "I libri di Alice"
Libraia e giornalista, al timone con Antonello Saiz dei Diari di bordo, libreria indipendente a Parma, con la rubrica “I libri di Alice”

 

 

 

 

 

 

 

 

Nella solitudine dalle unghie di ferro di Francesco Permunian

Matt Mahurin, Carnivale
Matt Mahurin, Carnivale

Ci sono ore penose nella notte in cui si può anche udire l’eco dei passi dei fantasmi notturni, compagni d’infanzia scomparsi per sempre, ore in cui nei tristi tramonti di novembre le voci dei morti si perdono nel silenzio della sera. Al crepuscolo i personaggi di Francesco Permunian escono dal buio e vanno a bussare alla sua porta. Quel castigo, l’insonnia, consegna all’autore ormai da anni il dono delle visioni attraverso cui intessere storie. Può capitare di incontrare ballerine con problemi di alcolismo, una donna turbata da deliri mistici che si convince di andare a letto col demonio per lenire le ferite di un incesto e ombre che vagano nelle nebbie del Polesine, o di aggirarsi tra i reparti della casa dal sollievo mentale che nascondono le storie dei reietti di un manicomio di provincia, e finire persino nel cesso alla turca della stazione di Desenzano usato da Kafka e Sebald per aggiungere parole nuove al cacciatore nella selva nera.

Avvicinarsi alla scrittura di Francesco Permunian significa calarsi in una dimensione altra, dove il grottesco e il tragicomico raccontano i lati più cupi dell’essere umano, che si tratti della realtà degli anni Cinquanta del Polesine o della Milano dell’editoria di oggi. Dopo Un lungo sguardo silenzioso, esordisce alle soglie dei cinquant’anni con Cronaca di un servo felice, per Meridiano zero, che riprenderà in mano quasi vent’anni dopo. Una sorta di discesa negli inferi quella storia ambientata nel Veneto degli anni Cinquanta e incentrata su una contessa ed il suo servo, costata trentadue rifiuti editoriali e che marcherà la scrittura dei libri successivi, come Camminando nell’aria della sera e Nel paese delle ceneri per Rizzoli, Dalla stiva di una nave blasfema per Diabasis, L’attesa per Kellerman, La casa del sollievo mentale, Il gabinetto del dottor Kafka e La polvere dell’infanzia per Nutrimenti, oltre alla pubblicazione per il Saggiatore de Ultima favola. Durante la stesura di Cronaca di un servo felice, Permunian appuntava su un faldone note sparse su personaggi bizzarri, creature “bislacche e crepuscolari”, a cui aveva dato il nome di Costellazioni del crepuscolo. A distanza di quasi vent’anni il nome di quegli appunti sarebbe poi diventato il titolo della nuova uscita, edita da il Saggiatore, comprendente il primo romanzo uscito per la prima volta per Meridiano zero e Camminando nell’aria della sera, con gli appunti rimasti sinora inediti, pensieri e parole ai bordi della notte. Le sue costellazioni  sono miriadi di figure,

“che vivevano di luce riflessa, immerse com’erano in quel livido alone antelucano che le rendeva simili a un coro di lemuri”.

Di matrice leopardiana, con motivi ispiratori legati a Tommaso Landolfi, Giorgio Manganelli e certamente alla poetica di Andrea Zanzotto e Goffredo Parise nella cura riversata nella parola e nelle prose poetiche, la scrittura di Francesco Permunian restituisce al lettore quanto di visionario e grottesco l’occhio dello scrittore vede nella società del suo tempo. Non a caso la copertina di Costellazioni del crepuscolo immortala una scena di vita quotidiana in famiglia incorniciata in una finestra spalancata: l’occhio dello scrittore, e del lettore, che li guarda.

La polvere dell'infanzia, Francesco Permunian, Nutrimenti (dettaglio)
La polvere dell’infanzia, Francesco Permunian, Nutrimenti (dettaglio)

Nasce tra le mura del manicomio di Brusegana la scrittura di Permunian, da dove sceglie di avvicinarsi al disagio mentale e investigarlo, archiviando e trascrivendo quelle voci che si annidano nella mente assieme a quelle che ogni notte lo vanno a trovare nelle sue allucinazioni. Si nutre della sua solitudine e attende paziente l’arrivo delle tenebre, quando l’insonnia apre i cancelli della notte e al riparo da tutto il resto si rifugia nella scrittura, cercando di acquietare le voci che affollano i pensieri con lo sguardo di un sonnambulo che ha un piede

“ben piantato a terra e l’altro sulle nuvole”.

I ricordi sono come tarli nei mobili, un rumore assordante nel cervello. Si confronta con quei ricordi Permunian quando racconta i suoi luoghi e crede di sentire le voci di quei compagni d’infanzia che non rivedrà mai più. Le proprie allucinazioni uditive si fondono con quelle dei suoi personaggi, diventano le voci dell’acqua sentite da Mariolina, la migliore catechista della parrocchia che sente voci di nani malvagi sussurrarle frasi oscene ogni volta che apre i rubinetti del bagno. Deve andare a lavare i suoi peccati fuori dal paese Mariolina, prima di impazzire cercando di fuggire da quelle ossessioni. Sono le voci intrappolate per sempre a Salò, nelle mura che hanno conosciuto l’orrore degli internati.

“Ed è inutile fingersi sordi. Assolutamente inutile: arrivano, fra non molto arriveranno al tuo orecchio, le senti queste voci dentro i muri? Sono voci inesistenti e furtive, che giungono quando meno te l’aspetti. E che poi se ne vanno appena ne desideri la compagnia: lo sterminato vocio dei morti”.

Racconta i lati oscuri della follia attraverso piccole storie di realtà di provincia, come quella di Tonino Bilancia che usava i trampoli al posto delle scarpe nel terrore di toccare terra e sprofondare nella pazzia, o la donna-piccione che ogni giorno andava a messa con sottobraccio Famiglia Cristiana per dare da mangiare agli uccelli chiamandoli per nome prima di essere internata nel manicomio di Castiglione delle Stiviere. La realtà del più grande centro di igiene mentale del Nord Italia, “il paese dei matti”, che dalla metà dell’Ottocento iniziò ad accogliere i malati, è raccontata da Permunian anche nel rapporto tra la popolazione e gli internati, realtà che affronta già ne La casa del Sollievo Mentale. Un sanatorio che gli appare anche in sogno e che assomiglia a quello in cui Kafka cercò di curare i suoi nervi con l’idroterapia, trasformandosi in un luogo tetro e macabro e dove i malati ascoltano

“una banda di ubriachi travestiti da medici e infermieri”.

È un carnevale grottesco la vita, richiamata dalle immagini di un sogno tra le strade di Venezia di cinquant’anni fa, mentre il sonno e la morte si fanno sempre più vicini. Morire è come inabissarsi nel nulla, pensa, mentre attorno a se vede uomini e donne diventare maschere grottesche di se stessi. Un’ironia dissacrante vena le pagine di ogni romanzo di Permunian nel mostrare quanto di patetico possa celarsi tra le anziane bigotte appartenenti all’associazione “Figlie di Maria”, tra preti che recitano la farsa piuttosto che credere a un miracolo, sagrestani che non entrano più in chiesa per via del catetere e fedeli che credono alle promesse della Bibbia:

“Ogni pretesa apocalittica è destinata al fallimento; in fondo, ogni preghiera altro non è che un sogno a occhi aperti”.  

Il crepuscolo è metafora del tramonto della vita, Costellazioni del crepuscolo racconta vite che gravitano attorno a un luogo senza speranza e che si consumano con la consapevolezza della propria finitezza, tra gli anziani abitanti di una casa di riposo che diventa un microcosmo e “donne sfigurate dal tempo, ruderi di uno splendore passato”. Quella commedia che si trasforma in tragedia mette in atto personaggi legati irrimediabilmente alle apparenze al punto da finire sull’orlo del baratro per assecondarle: gli aborti di gravidanza e quelli letterari di un’anziana scrittrice di romanzi rosa un tempo bella e corteggiata persino da D’Annunzio, le frustrazioni di una ricamatrice in pensione della Bassa Bresciana e il pellegrinaggio a Sant’Agata di una vecchia soubrette per riavere i suoi seni dopo un’operazione fallita. Le sue storie sono il tetro spettacolo teatrale del carnevale della vita, dove il destino non è altro che

“il senso oscuro di un’ordinata necessità”. 

Cosa rappresenta la scrittura per Francesco Permunian? Voce di rottura del nostro tempo, indipendente e irriverente, fuori da ogni schema stilistico e formale, racconta il lato oscuro dell’animo umano, la sua violenza, le inquietudini, capace anche di instillare gioia pura nel piacere della lettura. Gioca costantemente con l’elemento tragico e comico portando il lettore in una dimensione quasi fiabesca nel dipingere i contorni di luoghi che accolgono personaggi, spesso di natura eccentrica e bizzarra, che non sono mai solo tratteggiati ma resi nella loro profondità psicologica. Caustica e sferzante, la scrittura di Permunian diventa mezzo per raccontare le contraddizioni del nostro tempo, giocando costantemente tra passato e presente, tra reale e immaginifico, dove la follia a volte è capace di ridefinire un concetto alternativo di realtà.

Matt Mahurin, Bullyng
Matt Mahurin, Bullyng

 Riflette sul ruolo dello scrittore e su quello della vera letteratura e nel vagare costantemente tra finzione e materia incontra di volta in volta i grandi maestri della letteratura senza mai mitizzarne l’immagine, come nel viaggio in treno con Sartre, ubriacone incontinente, e Simone de Beauvoir attraverso le loro lettere. La sua è una critica feroce alla letteratura contemporanea di autori esordienti dall’ego sconfinato, al “grottesco tribunale di intellettuali di paese” e ai cenacoli esclusivi, ai quali contrappone la bellezza dei versi di Pavese o la visionarietà di Bruno Schulz. Sono proprio le pagine del carteggio privato dello scrittore polacco a innescare un’identificazione totale da parte dell’autore, quando scrive di essersi addentrato in una nuova fase della vita, la cui dominante è

“l’immensa e sostanziale disillusione – la nullità della vita”.

Anche Maxim Biller subirà il fascino dello scrittore polacco dedicandogli il racconto visionario Nella testa di Bruno Schulz, nella raccolta Taci, memoria, edita da L’orma.

Ci sono cose che solo la letteratura è in grado di dare, sosteneva Calvino nelle Lezioni americane, rilevandone il valore salvifico. Occorrerebbe guardare a autori come Paolo Volponi, Silvio D’Arzo, Dolores Prato, o Angelo Fiore per capire come tra quelle pagine venate di sudore e follia visionaria ci sia la vera letteratura, quella lontana e indifferente alle mode letterarie, quella che per Permunian ha il sapore della polvere dell’infanzia. O avvicinarsi ai testi di Antonio Lobo Antunes, il già citato Bruno Schulz e Robert Walser, la sua trinità laica, per capire l’attrazione per i deliri della mente. Risuona tra le pagine l’omaggio a Sergio Quinzio e al suo La croce e il nulla,

“La croce è la vera matrice del nichilismo, e la resurrezione è la possibilità di guardarlo”,

con lo sguardo a Cesare Pavese e alla prosa di Guido Piovene.

“Che serve ammattire per ritrovarsi infine tra le mani una pagina tutta sporca di ghirigori e cancellature?”

la scrittura, paragonata a un farmaco pieno di controindicazioni, a volte, come insegna Permunian, può aiutare a contrastare le turpitudini della vita.

E nel gioco costante tra finzione e realtà per mettere in scena il confine labile tra vita e morte, desiderio e impossibilità, Permunian apre al lettore le sue pagine più intime, tra narrazione romanzata e diaristica, per raccontare le storie della sua infanzia nel Polesine, anche quelle presagio di un calvario infernale, tra poeti in barca e autunni della memoria. Anche i ricordi invecchiano, constata osservandoli come oggetti allineati in una vetrina impolverata.

Un tempo lento scorre inesorabile sui luoghi, arsi dal sole o imbiancati dalla neve da sembrare così remoti “da esistere soltanto nei sogni”. Sono portatori di storie i luoghi raccontati da Permunian, come direbbe Marguerite Duras, quelli di un passato che riaffiora tra le ombre di fantasmi, nel rumore della pioggia che si addensa nel Polesine, o nell’odore di muffa e palude delle coperte della casa dei genitori. Una casa che fu nido della sua infanzia e che ora è desolata al punto che anche i suoi fantasmi se ne sono andati. I luoghi del suo passato, dominati da

“fame, miseria, alcolismo e ridicole superstizioni”,

si ritrovano costantemente nei suoi romanzi, luoghi legati a violenze incestuose diventate deliri della mente di una giovane donna, e delle innumerevoli storie che si perdono nel vento, tra il fruscio delle canne, nello sciame di lucciole in un’oscura primavera. Luoghi che furono anche teatro della guerra partigiana nel Polesine tra il 1943 e il 1945 e che Permunian ha voluto immortalare, attraverso gli scatti di Mario Dondero, nel volume fotografico che ritiene il suo vero lascito per le nuove generazioni,  Partigiani del Polesine, edito da Giunti.

Leggere Francesco Permunian significa approdare nei luoghi del passato e del presente, fisici e della mente al tempo stesso, deserti e inospitali, tra buio e luce.

“Una terra di mezzo che temo stia per diventare la mia patria. La mia unica casa. È lì che mi sento a mio agio, acquattato in un cantuccio per acchiappare al volo farfalle e fantasmi. Angeli e demoni. È una terra [..] avvolta dalle ombre del crepuscolo risulta pressoché invisibile ad occhio umano. O forse perché per arrivarci occorre uscire dalle solite strade e imboccare, inavvertitamente, un cammino senza ritorno”.

 Letture di Alice Pisu. Recensione uscita su Repubblica Parma in Libri – Parole e dintorni, il 28/11/2017

I Libri di Alice: Francesco Permunian