di Alice Pisu

Libraia e giornalista, al timone con Antonello Saiz dei Diari di bordo, libreria indipendente a Parma, con la rubrica "I libri di Alice"
Libraia e giornalista, al timone con Antonello Saiz dei Diari di bordo, libreria indipendente a Parma, con la rubrica “I libri di Alice”

 

 

 

 

 

 

 

 

Le coincidenze dell’estate. Massimo Canuti

Miracolo a Milano Vittorio De Sica, 1951
Miracolo a Milano Vittorio De Sica, 1951

Quando Miracolo a Milano di Vittorio De Sica esce nelle sale, nel 1950, l’accoglienza è tiepida. Quello che sarà destinato a diventare uno dei capolavori del cinema italiano sperimentale negli anni del neorealismo, appare eversivo in quegli anni, anzitutto nella scelta di rendere due senzatetto i protagonisti di un film che originariamente si sarebbe dovuto intitolare I poveri disturbano. Un gioco per contrasti, tra il bagliore del benessere e il degrado del disagio sociale, particolarmente caro al suo sceneggiatore, Cesare Zavattini, che travalica il confine labile tra la dimensione del reale e del fantastico per compiere una netta denuncia sociale del suo tempo. Il cinema è lo strumento che più di ogni altro in quegli anni è capace di dare forma a quell’idea di rinnovamento civile che da Roberto Rossellini a Luchino Visconti avrà esiti anche in letteratura, anzitutto nel gioco di rimandi nella filmografia che guarda al romanzo sociale, e nella consapevolezza del ruolo civile e morale che lo scrittore sente di dover incarnare nel raccontare il Paese compiendo un’azione di denuncia popolare.

E non si tratta solo di grandi romanzi che affrontano la migrazione al Nord o l’indigenza del dopoguerra ma, in senso più ampio, del racconto del dramma del presente al di fuori da vicende spettacolari e artifici narrativi. I luoghi assumono così un ruolo di primo piano nel raccontare, attraverso l’immagine della città e il suo rapporto con la periferia, la solitudine dell’individuo, come in Cesare Pavese, indagata, anche se con modalità e forme nuove, tra gli altri, anche da Beppe Fenoglio. La città diventa il contenitore di una trasformazione sociale e culturale, il teatro di una nuova consapevolezza dell’individuo. In un quadro simile, Milano può apparire una città sottovoce, come nel racconto di Franco Loi negli anni Cinquanta nel suo Diario minimo dei giorni (ed. Hacca): è umile e lirica come in un film in bianco e nero, come la definisce Giuseppe Lupo, e i suoi ritmi sembrano essere scanditi solo dalla sua operosità. Immagine del mito, del lavoro, del bagliore del benessere, che negli anni prende contorni nuovi, continuando a ispirare generazioni di scrittori e registi, e che oggi, nello sguardo di Massimo Canuti diventa il ritratto di una modernità legata alla frenesia del presente, capace, però, nel suo arrestarsi e assopirsi all’improvviso, di richiamare immagini interiori e diventare un luogo dell’altrove, non più solo geografico, ma il riflesso delle inquietudini di chi vede in quei palazzi vuoti enormi carapaci pronti a divorare l’uomo sotto un cielo perennemente lattiginoso. Allora, anche davanti a un presente dal tempo vuoto e dall’individualismo ostentato, possono apparire improvvisi sprazzi nostalgici di un passato che riporta a Ingrid Bergman e Gina Lollobrigida nei ricordi di Evelina Mercalli, l’acconciatrice delle dive.

Usa la scrittura come la macchina da presa, Massimo Canuti, nel posare lo sguardo sul quotidiano dei suoi due protagonisti, solo all’apparenza agli antipodi per età, vissuto e estrazione sociale, seguendoli individualmente per quasi la metà del romanzo accentuando, così, il gioco di contrasti che domina la narrazione. Racconta un adolescente della borghesia milanese che scopre la propria sessualità e un cinquantenne che si ritrova senza memoria a vivere per strada, nel loro modo di affrontare quella ricerca identitaria nel tempo di un’estate che sembra dilatarsi all’inverosimile nello scandire quella trasformazione interiore. Vivono lo stesso spaesamento Vincenzo e Italo, e anche se per cause e in contesti sociali diversi, sono entrambi alla deriva: il primo nel fare i conti con una profonda solitudine in un nucleo famigliare in sfacelo dominato da genitori dimentichi del loro ruolo che lo portano a cercare riferimenti altrove; il secondo nel definire i ritmi di una vita sconosciuta fatta di panchine per dormire, di file alla mensa, di parcheggi usati come bagno e di vagabondaggi senza meta come uno spettro senza memoria per le strade di Milano.

Cesare-Zavattini-Fondazione Un Paese Luzzara

Nel raccontare la miseria umana, Zavattini non lesinava sull’elemento del fantastico per giocare su diversi piani di realtà, raccontando pagine dolorose della società del suo tempo alternando sapientemente l’elemento comico e quello tragico. Canuti trova il modo di fare proprie quelle istanze dando loro una forma nuova, nella tensione del racconto del precariato, delle vertenze sindacali, della perdita del lavoro, della crisi dell’istituzione famigliare e dell’isolamento sociale dell’individuo, affiancando pagine esilaranti e di estrema tenerezza nel racconto del presente attraverso le storie dei suoi protagonisti.

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Ciò che rende diverso Le coincidenze dell’estate da ogni altro romanzo contemporaneo incentrato sui temi del disagio sociale risiede nell’intento di creare uno scarto rispetto a qualsiasi forma di spettacolarizzazione letteraria attraverso la scelta del racconto di giornate qualunque, senza la costruzione di colpi di scena o avvenimenti particolarmente drammatici. Avvicina il lettore alla vita di un senza dimora attraverso le privazioni del quotidiano, la non accettazione sociale e l’umiliazione di non poter sopperire in modo privato a necessità fisiologiche, come nella scena in cui, costretto ad appartarsi in un parcheggio, Italo dovrà subire la ferocia dello scherno pubblico dei passanti: “e allora scappa via, l’intestino finalmente vuoto, il resto del corpo pieno di vergogna”. Ancor più che nel modo di vivere, sono le inquietudini interiori, gli spettri, le ossessioni della mente acuite dalla perdita della memoria e quindi della propria identità, a rendere in modo profondo le angosce e la disperazione di chi vive nelle condizioni del protagonista. Canuti rende tutto questo attraverso un linguaggio altro, fatto anzitutto di luoghi. Scegliere Milano d’estate esalta il profondo contrasto tra l’immagine brulicante di vita e quella deserta fatta di enormi edifici che sembrano esoscheletri grotteschi e si lega non tanto alla necessità di condurre il lettore in quell’atmosfera reale, ma all’uso della descrizione dei luoghi come specchio di quei turbamenti, come mezzo per portarlo nelle ossessioni di chi sente di vagare per la città e, metaforicamente, nella vita, senza un senso, capace di commuoversi davanti allo spettacolo casuale di fenicotteri rosa addormentati in un parco pubblico, come nuvole rosa sospese a pochi centimetri dal suolo.

Il mondo e gli altri. Biblioteca Nazionale Braidense
Il mondo e gli altri. Biblioteca Nazionale Braidense

In quel linguaggio Canuti racconta ciò che non è immediatamente esperibile con la vista o con le parole, e che risiede nelle percezioni, quelle raccontate con silenzi che definiscono i vuoti, le mancanze dell’individuo, e che dominano una casa svuotata dopo una festa di compleanno o scandiscono le sedute dallo psicanalista a quindici anni e che non sono altro che il modo di dare forma a una solitudine a volte subita e a volte cercata, come un rifugio. In quel linguaggio costruito da Canuti anche gli odori si fanno racconto per avvicinare due persone che vivono l’urgenza della ricerca della propria identità. Allora l’odore del legno può raccontare l’euforia di un nuovo progetto, come lo skate per Vincenzo, e diventare, però, anche l’odore della sconfitta, quello stesso odore che fa immaginare a Italo qualcosa del passato ma che oggi è quello che associa alle panchine del parco. L’odore del caldo di Milano si unisce all’odore del vino, capace inspiegabilmente di essere attrazione e repulsione al tempo stesso. Anche l’odore della pelle, quella del proprio compagno di classe, può raccontare una forma ignota di attrazione che per Vincenzo diventa un mistero capace di stordire di desiderio al solo pensarci. Esplorare quei linguaggi permette ai protagonisti di Canuti di cercare di dare forma a una parte nuova e sconosciuta di sé per non smarrirsi davvero. È una favola moderna Le coincidenze dell’estate, che attraverso una struttura narrativa lineare, un linguaggio pulito e uno sguardo poetico sui luoghi, regala al lettore la suggestione di cercare, assieme ai suoi protagonisti, la ricerca di una propria idea di felicità per dare un senso all’esistenza. In questo l’idea più alta di bellezza ha ottant’anni, un armadio pieno di vestiti in georgette e cappellini indossati con una grazia rara già dai tempi delle pettinature alle dive del cinema, una borsetta con la bambagia e l’essenza di geranio fatta in casa contro le zanzare e lo sguardo puro nel guardare alla vita rinnovando lo stupore, la meraviglia per la sua imprevedibilità anche quando serba profondo dolore, immaginando che a volte, le coincidenze, non siano mai davvero tali e come ricorda Bruce Dickinson nelle cuffie di Vincenzo “Don’t care, where the past was, I know where i’m going”.

‘A mia nonna, che portava l’estate’.

 

Letture di Alice Pisu. Recensione uscita su Repubblica Parma, Libri – Parole e dintorni, il 15/11/2017

I Libri di Alice: Le coincidenze dell’estate