Tavolino Bar

Sarebbe andato benissimo il tavolino di un bar, all’aperto per poter fumare qualche sigaretta.

Invito semplice e disarmante quello di Cristò, quando gli chiedo dove avremmo potuto incontrarci per chiacchierare insieme del suo nuovo romanzo edito per TerraRossa edizione.

Sedetevi anche voi insieme a noi: se siete fumatori, accanto a Cristò, controvento se come me non lo siete.

Clicca sulla foto per accedere al sito della casa editrice.
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Voglio cominciare con i complimenti per la tua scrittura così avvolgente, matura, solida e nello stesso così incisiva e incistante.

“Restiamo così quando ve ne andate”, pubblicato nella collana Sperimentali di TerraRossa edizioni con accuratezza e ottima fattura, è un romanzo strutturato in quattro parti: 10 giorni per la prima parte “L’hashish nobilita l’uomo”; 10 ore per la seconda parte “Il pensiero pomeridiano”; dieci mesi per la terza parte “La Creatura” e infine dieci anni per la parte quarta “Immobili”.

Nella tessitura narrativa un elemento fondamentale è la musica, declinata in maniera del tutto differente dal solito, non come colonna sonora o allusione artistica e dotta, ma come materia di indagine e fondamento ontologico, in cui la precisione tecnica si sposa con la valenza esistenziale che la musica assume nella vita dei personaggi.

C’è un legame tra i quattro tempi del romanzo e l’elemento musicale? e la reiterazione del numero dieci? 

Se da lettrice dovessi indicare lo “sperimentale” che sento nel romanzo non esiterei a evidenziare il profondo senso musicale da cui sono stata affascinata nelle tue pagine. La musica diviene categoria temporale, che supera e ingloba la definizione canonica di tempo, tanto della storia che del racconto.  Il ritmo della narrazione è la musica? o invece bisogna considerarla alla stregua di un personaggio, fondamentale e fondante della narrazione?

CristòGrazie per i tuoi complimenti e per aver apprezzato “Restiamo così quando ve ne andate”. Prima di rispondere alle tue domande vorrei condividere i tuoi complimenti con Giovanni Turi, editor ed editore di Terrarossa che ha creduto in questo romanzo più di quanto ci credessi io e mi ha obbligato a migliorarlo e rifinirlo, e con Tiziana Giudice che è stata un’attenta e scrupolosa correttrice delle bozze prima della stampa definitiva. 

Mi chiedi se la struttura del romanzo abbia a che fare con una struttura musicale di qualche tipo. Devo risponderti di no, anche se questo non è del tutto vero: le prime tre parti, effettivamente, sembrano corrispondere alla struttura della forma Concerto di stampo settecentesco, ma la quarta parte assomiglia di più al coro di un melodramma ottocentesco. La verità è che mentre scrivevo non pensavo a una struttura musicale precisa. L’approccio del protagonista Francesco alla vita è più vicino all’improvvisazione jazzistica che alla musica classica che lui tenta di scrivere. 

Anche il ritorno del numero dieci non risponde a una logica numerica di tipo matematico o cabalistico, ma a un equilibrio di “durata” che è stato in qualche modo imposto dalla scrittura stessa in fase di stesura. Dieci giorni sono poco più di una settimana, dieci mesi poco meno di un anno, dieci ore poco più di un turno di lavoro e dieci anni …beh dieci anni sono tanto e poco tempo a seconda dei casi. 

È vero che la musica detta in qualche modo il ritmo della narrazione. Mentre scrivevo ho ascoltato molta musica classica, in particolare la Sonata per violoncello di Kurt Weill di cui si parla nel romanzo; è una strana composizione, contemporaneamente ottocentesca e novecentesca, romantica e decadente, semplice e complessa. Penso che abbia influenzato molto il carattere del mio romanzo.

 

Se dovessi indicare il carattere sperimentale del tuo romanzo, in cosa lo ritroveresti della tua scrittura o narrazione?

Con “Restiamo così quando ve ne andate” tu dimostri chiaramente che se i temi della letteratura sono universali, si può ancora scrivere un romanzo, originale e innovativo, partendo da quei temi: l’amore, l’identità, il lavoro, le relazioni, la precarietà, l’attesa e la ricerca di sé, e ancora più in generale la vita e la morte.

Perché nel romanzo tu tocchi temi non nuovi, ma lo fai in maniera assolutamente nuova e attraverso la “musica” originale delle tue pagine tutto appare sotto una luce diversa, inedita, inaudita.

Nella quarta di copertina, per la definizione della collana Sperimentali in cui si inserisce il romanzo, si legge: questa collana è dedicata agli scrittori in grado di coniugare solidità narrativa e originalità stilistica con storie incisive e radicate nel nostro tempo.

Da lettrice, convengo che con “Restiamo così quando ve ne andate” ci sei riuscito in pieno: solidità narrativa con una chiara visione unitaria pur nella frammentazione delle parti; originalità stilistica, con un lessico sobrio e una sintassi cristallina; una storia incisiva che morde e accarezza, fino a stare male e a consolare; radicata nel nostro tempo, con l’approfondimento di quelle caratteristiche che ne fanno una “epoca di passioni tristi”, per citare un celebre saggio di Miguel Benasayag, in cui l’impotenza collettiva viene intesa come perenne inadeguatezza individuale, spingendo alla solitudine e alla sofferenza. Francesco mi sembra abbia fatto propria la lezione dello psichiatra francese che ha tentato di dimostrare in “Oltre le passioni tristi” che la vera forza va rintracciata nelle relazioni interpersonali, che ho visto incarnate nella costruzione di una Dream Machine, come progetto collettivo tra lui e l’amico Donatello, o anche nella Sonata per violoncello di Kurt Weill che ricordavi, che diventa un progetto creativo che coinvolge un quartetto amoroso complesso e complicato, Francesco Monica Fatima e Giulio.

CristòHo riflettuto molto a posteriori su quale fosse il carattere letterario del mio romanzo. Non riuscivo a catalogarlo e continuavo a dirmi che non riuscire a catalogare la propria opera è un tipico atteggiamento narcisista. Pensare di aver prodotto un’opera così originale da non poter essere in qualche modo catalogabile, non mi sembrava intellettualmente onesto. 

Alla fine credo di aver capito cosa ho scritto: penso che il mio sia un romanzo beat e insieme un romanzo decadentista. Francesco è un personaggio tipico dei romanzi di entrambe le correnti e anche la scrittura, che tenta di trattare temi universali calandoli in una contemporaneità così stretta, è coerente con questa ipotesi. Io credo che, se c’è, la sperimentazione stia proprio nell’aver trascinato un personaggio beat nello spirito decadente del nostro tempo. Quella di Francesco è una vita disordinata, per certi versi autodistruttiva e inconcludente che non ha più neanche quella spinta eversiva e provocatoria che avrebbe avuto negli anni Cinquanta del Novecento. Quelle di Francesco sono senza dubbio passioni tristi, più che aspirazioni sono “sospirazioni” (scusa il brutto neologismo). La seconda e la quarta parte del romanzo servono da contraltare: la seconda scende a fondo nel personaggio per cercare la persona e la sua verità, la quarta se ne allontana per cercare fuori una ragione che vada oltre la persona e il nodo delle ossessioni individuali e, alla fine, trova nei muri, nel non vivente, uno sguardo più lungo e forse più oggettivo. 

nabucco

“Restiamo così quando ve ne andate”: tu parlavi del coro del melodramma, e a me leggendo è venuto in mente il coro della tragedia greca da cui quello del melodramma credo discenda.

L’uso del noi trapela nella narrazione in prima persona, con distacco e partecipazione insieme, proprio come nel coro tragico. Hanno memoria e onniscienza, sono testimoni e agenti. Volutamente non rivelo la loro identità, per lasciare che sia la lettura del romanzo a svelarlo. Mi premeva della loro funzione sottolineare la carica di affermazione poetica. 

Restare immobili in silenzio a guardarvi mentre fate le cose di ogni giorno è il nostro unico interesse.

Non è questo anche l’interesse del romanzo? Guardare in silenzio, senza giudizi o lezioni, le cose di ogni giorno nella loro fragilità, perché siano esse a rintracciare il senso del tutto? E in questo senso vada anche interpretato l’esergo di Carmelo Bene? Rintracciare il dramma delle repellenti preoccupazioni domestiche perché si facciano dichiarazione del mondo in cui viviamo?

CristòPenso che il coro possa avere una sola ma potentissima funzione, molto antica in verità: è la voce dell’inconscio collettivo, la voce dell’intera umanità, se non del Creato (ovviamente considerato da un punto di vista antropocentrico). Sarà per questo che le funzioni di ogni religione hanno nella preghiera in coro i momenti più importanti delle loro funzioni. Affidare una voce di questo tipo a un’entità non umana è stata una scelta precisa che cercava di suggerire un’assenza di coralità umana. Deve essere lo spirito del tempo ad avermelo suggerito visto che anche in un bel romanzo italiano uscito mentre correggevo l’ultima stesura del mio, è presente un coro non umano; mi riferisco a “Dalle rovine” di Luciano Funetta edito da Tunuè. Adesso che ci penso anche nell’ultimo romanzo di Paolo Zardi (scrittore che sento letterariamente molto vicino) uscito con Neo lo scorso anno, “La passione secondo Matteo”, il coro è affidato a un sistema automatico di sms che accompagna il protagonista. Evidentemente siamo in molti a non sentirci più abbracciati e difesi dall’umanità e cerchiamo fuori dall’umano le risposte ai nostri grandi interrogativi.

Da questo punto di vista l’osservatore alieno non può che guardarci con occhio clinico, studiando il nostro comportamento quotidiano nei particolari, senza giudicare. Per questo il mio romanzo è costruito su gesti piccoli e ripetuti, su tutte quelle cose che in fondo occupano gran parte della nostra vita. 

 

Avevo pensato anch’io a Luciano Funetta, (di cui ho parlato QUI) anche se mentre lui spinge il pedale della narrazione sull’alienazione del coro, a me sembra che tu abbia ricercato maggiormente l’umanizzazione, nel senso di humanitas, quel sentimento che ci spinge a partecipare e comprendere le vicende umane nelle sue più articolate e molteplici attuazioni. Le sue entità vivono il fuori, le tue il dentro.

Mi interessa molto la linea che tracci tra scrittori, che ti porta a definire una sensazione e una percezione che costituisce una “comunità”. Questi “molti” a cui accenni, hanno qualcosa a che vedere con l’età di Francesco? Lo spirito decadente, come tu l’hai straordinariamente definito, è “generazionale” o più in generale “contemporaneo”? Perché Fatima, la ragazza da cui Francesco si sente attratto, mi sembra come immune all’apatia e all’insoddisfazione che investono il protagonista. Lei entra e occupa la casa di Francesco, prende delle iniziative, asseconda i suoi desideri o quelli che le appaiono tali. Monica, invece, coetanea di Francesco, pur essendo consapevole e critica, è anche lei colpita, a mio avviso, da uno spirito decadente, che la porta ad abbandonarsi agli eventi, piuttosto che a viverli. 

C’è questa sottile differenziazione  tra i tuoi personaggi? In un certo senso il triangolo che si viene a creare tra Francesco, Monica e Fatima (di cui non voglio svelare gli esiti) potrebbe valere a sottolineare le differenze generazionali? O non ti interessavano?

CristòCredo che sia entrambe le cose: lo spirito decadente di un’epoca che viene raccontato da un paio di generazioni che evidentemente lo incarnano a pieno. Sicuramente le generazioni più giovani vivono questo tempo con un approccio diverso perché, come dire, ci sono nate dentro. Lo sentono, credo, ma possono ancora aspirare a qualcosa di meglio. I quarantenni, invece, generalmente hanno la sensazione che “il meglio” ci sia già stato quando erano bambini e che quando la situazione dovesse migliorare, sarebbero troppo vecchi per poterne gustare i frutti. La nostalgia è un sentimento ampiamente diffuso tra i miei coetanei. In più, quella a cui appartengo, è una generazione che ha vissuto intorno ai venti anni una rivoluzione copernicana nel campo della comunicazione (e non solo). Abbiamo dovuto imparare di nuovo a conoscere il mondo e le sue nuove regole; nulla è stato più come prima. Questo ci ha reso bambini per una seconda volta. Bambini di venti anni eccitati e spaventati di fronte a una realtà tutta nuova di cui nessun adulto poteva spiegarci le regole, anzi i nostri genitori ci mandavano in avanscoperta e ci chiedevano delucidazioni. È per questo, secondo me, che siamo una generazione di “bambini speciali”.

 

Sono tante le domande che vorrei rivolgerti, perché tanti gli spunti e le suggestioni del romanzo, ma eccoci giunti all’ultima.

L’hashish e la musica sono i due poli d’attrazione di Francesco, nel mezzo il lavoro che ha perso il suo valore nobilitante. Che “l’hashish nobiliti l’uomo” e non più il lavoro, è una vittoria o una sconfitta? Perché mi sembra che Francesco non sappia decidersi tra le due alternative, e in questo dilemma si inserisce anche la musica, che lui, a differenza di Monica, non vuole che diventi un mestiere.

E allora la musica cosa rappresenta nella vita di Francesco, e visto il modo così tecnico e preciso, assolutamente originale, in cui viene trattata nel romanzo, che ruolo ha la musica nella vita di Cristò?

CristòQuesto romanzo chiude un’ideale trilogia intrapresa con i precedenti romanzi “Come pescare, cucinare e suonare la trota” (Florestano, 2007) in cui si racconta della formazione musicale e sentimentale di Francesco e “L’orizzonte degli eventi” ( Il grillo, 2011) in cui si racconta, tra le altre cose, della formazione letteraria e sentimentale di Donatello. Quindi un romanzo sulla musica, uno sulla scrittura e un terzo in cui le due arti si incontrano e si scontrano con il mondo del lavoro; la purezza del fatto artistico che pretende la sua centralità e la necessità di procurarsi di che vivere; un tema antico quanto l’uomo, ma che sento molto mio. 

Io sono un pianista, ma non bravo quanto Francesco e sono uno scrittore, credo, un po’ più maturo e consapevole di Donatello. Musica e scrittura sono due linguaggi che uso quotidianamente, ma mi sento di padroneggiare meglio il secondo. Direi che lo studio della musica classica in età infantile e durante l’adolescenza mi ha dato la consapevolezza che un linguaggio vada studiato e capito a fondo prima di poter essere utilizzato in tutta la sua potenza. Questo mi ha portato a studiare la scrittura e le tecniche di narrazione soprattutto attraverso la lettura consapevole, a rendermi conto di quali strumenti avevo tra le mani prima di utilizzarli per raccontare una storia. La musica mi ha insegnato che ogni linguaggio è un linguaggio tecnico e pertanto va studiato costantemente.

Dopo i complimenti, i ringraziamenti: mi era giunta voce che fossi bravissimo e leggendo il tuo romanzo lo avevo capito, ma in queste risposte hai dato la dimostrazione piena.

 

In esclusiva per i lettori del post e del blog, i consigli di Giovanni Turi, editore ed editor di TerraRossa Edizioni, per chi ha letto “Restiamo così quando ve ne andate”:

Ci sono solo altri quattro titoli nel catalogo, tutti piuttosto differenti l’uno dall’altro e da quello di Cristò. Quindi proverei a consigliare “Jenny la Secca” e “Nicola Rubino è entrato in fabbrica” a chi è attento alle dinamiche odierne del (non-)lavoro e predilige una certa originalità stilistica, “Né padri né figli” e “Il cadetto” a chi apprezza le scritture più tradizionali ma d’impatto e le tinte tendenti al noir.

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Chiacchierando con… Cristò