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Quando il Paradiso diventa amaro, vuol dire che  non c’è via di scampo alle difficoltà e ai sacrifici; ma se, nonostante l’amaro, riusciamo a scorgere il paradiso che sempre si nasconde nelle tragedie umane, allora anche le esperienze più abbrutenti e umilianti trovano il calore e il bagliore della vita.

afrika1Non è facile parlare di “Paradiso amaro” di Tatamkhulu Afrika, che come si legge nella quarta di copertina, esordisce giovanissimo nel 1940 all’età di diciannove anni con un romanzo intitolato “Broken Earth”, per tornare alla scrittura solo dopo cinquant’anni, a partire dal 1990 fino alla morte, avvenuta per le ferite riportate in un investimento all’età di 82 anni. Nell’anno della morte, 2002, esce “Bitter Eden”, tradotto in italiano mirabilmente da Monica Pavani per Playground nel 2012.

Il romanzo scava nelle vicende autobiografiche legate alla prigionia durante la seconda guerra mondiale.

La voce narrante è quella di Tom Smith, che conosciamo nelle prime pagine immerso nella noia di una vita matrimoniale vissuta come un dato naturale e scontato, lontana dalla feroce passione in cui avrebbe potuto sperare:

Posso dire di amarla? “Amore” è una parola che mi spaventa proprio come le due lettere appena arrivate e, se anche dovessi dire di sì, mi premerebbe aggiungere che – nel nostro caso e da parte mia – l’amore è un’emozione troppe volte minacciata dalla noia per ambire alla grande passione in cui ho smesso di sperare da tempo.

Sono proprio le due lettere e un pacco ben fatto, a risvegliarlo dal torpore in cui sembra essersi avvolto:

Mi tocco la cicatrice sulla guancia, che pulsa, come se la pelle, morta da tempo, fosse improvvisamente risorta.

La prima lettera è quella di uno studio legale inglese, che accompagna il resto della spedizione: la seconda lettera e il pacco.

Sul mittente della seconda, Tom non ha dubbi, riconosce subito la grafia tondeggiante, marcata e irregolare, che rompe un silenzio durato cinquant’anni. Siamo dunque agli inizi degli anni Novanta, proprio quelli in cui Tatamkhulu Afrika deciderà di tornare a scrivere dopo un silenzio che coincide con quello del mittente. Sarà un caso, o un messaggio cifrato che lo scrittore e poeta  vuole inviare ai suoi lettori, che da dieci anni hanno potuto leggere tre precedenti romanzi e otto raccolte di poesie, che lo consacrano come uno dei più importanti poeti sudafricani di lingua inglese? Mi piace pensare a questa seconda ipotesi: perché nel romanzo il protagonista subirà una metamorfosi, che lo trasformerà nell’uomo che non credeva di essere e che per il resto della vita rinnegherà.

Starved prisoners, nearly dead from hunger, pose in concentration camp in Ebensee, Austria. The camp was reputedly used for "scientific" experiments. It was liberated by the 80th Division. May 7, 1945. Lt. A. E. Samuelson. (Army) NARA FILE #: 111-SC-204480 WAR & CONFLICT BOOK #: 1103

E allora forse il Paradiso amaro del titolo non è quello della prigionia, ma quello della ritrovata normalità nella convenzione borghese del matrimonio in cui sembra essersi imbozzolato, senza avere il coraggio di trasformarsi nella farfalla intravista nelle misere camerate e nei pidocchiosi giacigli dei diversi campi di prigionia, prima tedeschi e poi italiani. Amaro è il senso frustrante e pieno della negazione di sé.

Le lettere sono accompagnate da un pacco, che il protagonista del romanzo avrà il coraggio di aprire solo nelle ultime righe, e il cui contenuto non vi svelo: tranquilli!

 Nel pacco un pegno di amicizia, un ricordo tormentato, una passione mai sopita, perché quella tra Tom e Danny è una storia virile e viscerale di amicizia e tormento, di attrazione e repulsione, in cui cadono tutte le barriere e gli stereotipi, inghiottiti dalla natura che prepotentemente svela il suo volto ferino, ancestrale, sensuale e sessuale.

Un equilibrio instabile in cui la brutalità è squarciata violentemente da lampi di infinita tenerezza; in cui la fisicità dei corpi è rivelata dalla violenza e dall’accudimento; in cui si passa da un silenzio riottoso e scontroso alla piena comprensione dell’altro.

Io e Danny, però, a volte ci bisbigliamo cose sulla primavera, ci confessiamo l’uno all’altro – e ciascuno a se stesso – che stiamo scivolando in una remissività foriera di morte mentre tutto attorno si prepara alla nascita e allora giuriamo di restare aggrappati – aggrappati perfino al di là delle nostre forze – al sottilissimo filo della bava di vento che è la nostra vita. Ma c’è ancora così tanta neve, nessuno sa quanta strada dobbiamo percorrere, sempre di più ci sentiamo mancare l’energia e la volontà mano mano che le centrali energiche delle nostre pance chiudono i battenti e perfino l’intelligenza, dall’alto della sua torre d’avorio, vacilla, sentendo la pazzia intrufolarsi su per le scale.

In un mondo in cui tutto è rovine e macerie, in cui gli uomini sono ridotti a pidocchi ed escrementi, a sperma inutile e ferite infette, Tom e Danny cementano la loro amicizia, scoprendosi nudi più ancora della loro visibile nudità, sentendosi fratelli e via via qualcosa di diverso a cui loro stessi non vogliono, o non possono dare un nome. Tra i due c’è un’attrazione naturale ed eccezionale, che non ha nulla a che spartire con il rapporto, quasi di sudditanza basata sulla riconoscenza e sulla gratitudine, che Tom in un primo tempo ha istaurato con Douglas, un soldato inglese dai modi effeminati che rende evidente ciò che loro tendono a negare e nascondere.

La lingua di Afrika è di feroce bellezza, dilania e accarezza, concedendosi nuda e scabra, di violenza inaudita, che nulla concede al lettore, imbavagliato e frustato, per intravedere tra gli occhi pesti e tumefatti della vita, l’atroce fierezza di un sentimento, invincibile e inarrestabile, che non può che sbranare e ridurre a brandelli chi oserà opporsi, come Douglas.

La vita è l’alleata più infida dei due uomini, quando è tragica e straziata si aggrappa a loro come un sopruso e un’angheria, quando invece è ridente e tranquilla li sconquassa e vilipende.

Lady Macbeth

Come nella versione di Macbeth, che un prigioniero vorrà mettere in scena nel campo, chiamando proprio Tom a essere Lady Macbeth, con tutti i sottintesi e gli sfottò che recitare in una parte femminile tra soli uomini può comportare, medesime sono le sensazioni perduranti durante la lettura di “Paradiso amaro”, che come artigli si avvincono alla carne e all’anima senza più abbandonarle:

Macbeth, nella versione di Tony, non ti lascia prendere fiato. Improvvisamente diventa un carnevale di luce e baccano, una bestia squarciata in due e quello che spara fuori dalle budella a volte sono brillanti stronzate, altre volte gioielli di verità imperitura. Ma nemmeno lei ti lascia prendere fiato, sta squarciando me già dalla mia prima entrata, è una tigre ringhiosa fra le mie cose, astuta e cattiva. Lo so che è quasi una vibrazione dell’aria a darle corpo, e tende a ricongiungersi non tanto a me, ma a qualcosa di trascendente, che non sono io. Però, fin dall’inizio, non è mai stato altro che questa personale emanazione di Tom.

playground-libri-e1424959248155La qualità di un libro, e con questo concludo, non è solo nel testo, ma anche nella fattura. Il pregio della copertina, la ricerca stilistica del lettering, la consapevolezza del progetto grafico, a primo acchito; e poi la qualità della carta, la correttezza del testo, senza refusi e con precisione della stampa. Un applauso a Playground che sembra aver fatto di tutti questi elementi un marchio di fabbrica, per dare rilievo alle interessanti e pregevoli proposte letterarie del catalogo.

 

BergaminiHo chiesto ad Andrea Bergamini, editor di Playgroud, dei titoli del catalogo dalla casa editrice da consigliare insieme a “Paradiso amaro”. In esclusiva per voi, lettori del blog:

Stilisticamente “Paradiso amaro” non ha veri omologhi nel nostro catalogo, mentre dal punto di vista tematico (seconda guerra mondiale, campi di concentramento) sì. Quindi direi Helen Humphreys, “Canto del Crepuscolo”, e Richard Bausch, “La pace”.

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Se fossi in voi, mi fiderei: buona lettura!

Paradiso amaro