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Di notte non dormo.

È l’incipit dell’esordio letterario di Mercedes Lauenstein, classe 1988, tedesca, tradotta in italiano da Elisabetta Dal Bello per Voland.

Le finestre con la luce accesa diventano sempre meno col passare delle ore. Le conto. Mi attraggono.

Di notte io dormo, ma vado a letto molto tardi, e la mia, se fosse in un palazzo a Monaco, potrebbe essere una delle finestre che l’anonima protagonista di “Di notte” vedrebbe accesa. Una luce fioca, le mie spalle chine, l’alone del computer.

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Chissà se il mio cognome sul campanello dell’ingresso l’avrebbe attratta e spinta a chiedermi, silenziosamente con lo sguardo o con un cenno, di salire da me. Non avrei resistito, come i venticinque personaggi che si susseguono di notte in notte, a farla entrare, forse preoccupata da una sua qualche necessità che la spinga a una richiesta così assurda, o intimorita di lasciarla sola per strada, o solo incuriosita dal conoscere le sue intenzioni. Sarebbe stato bello, nel tepore della notte che si stempera, raccontarle di me, fino a palesare verità che forse neppure conosco e immagino su me stessa, come accade alle persone che l’accolgono tra le pagine.

Uomini e donne, presi in un momento di solitudine com’è quello della notte per chi è insonne, la cui esistenza viene illuminata dalla presenza di un’estranea che ascolta, accetta da bere, e talvolta si trova a dare consigli o a lenire la malinconia.

Un libro lieve, che col passo lento della notte racconta un’umanità fragile, delicata, disponibile e generosa, bisognosa di raccontarsi. Venticinque storie, che si dipanano sul fragile equilibrio del buio e che dileguano con le tenebre al far dell’alba.

Della donna protagonista sappiamo poco e nulla, lei ama inventarsi e nascondersi nelle storie altrui. Ma percepiamo il bisogno esigente di farsi compagnia e di trovare sollievo, seppure temporaneo, a una solitudine esistenziale che è tanto più universale quanto meno è espressa e raccontata. A essere raccontati sono venticinque figure, umanissime e vere, che raccontano un mondo precario in ogni aspetto, dai sentimenti alle relazioni, dai desideri alle occupazioni.

Autorin-Mercedes-Lauenstein

Mercedes Lauenstein mantiene un ritmo pacato, senza mai risultare tragica o drammatica, ma con il dono della grazia e della leggerezza. Sono le pieghe recondite delle vite altrui a lasciarsi afferrare dallo sguardo e dalla scrittura. Niente che sporchi la pagina, ma una narrazione fatta della stessa  leggerezza degli indumenti da notte, che coprono con la loro consistenza  e scoprono con la loro trasparenza.

Una scrittura intima che non perde in realismo. A raccontare i personaggi non solo le parole, i gesti e i silenzi dell’incontro, ma anche il quartiere l’abitazione la casa in cui l’incontro avviene. Sempre una finestra, che diviene una vetrina riflettente, un nido pascoliano, in cui l’intimità è solo apparentemente profanata dalla visita notturna, ma che in realtà proprio da quella visita trae sostanza ed essenza. L’atmosfera che aleggia in “Di notte” e nelle storie di cui si sostanzia è quella del “Gelsomino notturno”, in cui inquietudine e desiderio si confondono, e la protagonista, come già il poeta, si riconosce in un’ape tardiva, che non ha più una cella perché tutte occupate e allora guarda alla finestra accesa, partecipe ed estranea nello stesso tempo, anelando un’intimità che gli è negata e nello stesso tempo appropriandosene seppure fuggevolmente. Poi si dilegua, come un fantasma, che ha trovato finalmente un momento di requie a ciò che lo tormenta e lo porta a vagare senza sosta.

Adele, Albert, Hanna, Maria, Daniel, Fedora, Hardy, Chiara, Katy, Egon, Johanna, Thomas, Leoni, David, Nadèche, Max, Gustav, Annalena, Julian, Lara, Jule, Aziz, Jenny, Nicol, Aleko: figure fugaci come fantasmi loro stessi, anime notturne come falene che si svelano solo in parte, rivelando però l’inquietudine che sostanzia la vita umana, nelle sue molteplici declinazioni.

Lauenstein sa cogliere le ombre, le impressioni, le sensazioni e riesce a immortalarle nella pagina con ricchezza e grazia che conquistano nel loro andamento sincopato e felpato. Sa, soprattutto, rendere il silenzio, totalizzante, assoluto, che diviene un compagno di viaggio per la protagonista e un guscio in cui ritirarsi ogni volta che le confessioni trovano il loro naturale termine.

Le ragioni che spingono la giovane a vagare sono trascurate per tutte le pagine e illuminate da un fievole bagliore nella pagina finale, che chiude questo romanzo lasciando tutto nella sospensione e rarefazione che ne è la cifra dominante e riuscita.

Se rimane anche una sola finestra illuminata in tutta la strada mi fermo, guardo in alto e prego che non si spenga proprio in quel momento. Una deve rimanere, almeno una deve sempre rimanere.

 

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