Opera di Simona Maddalena.
Opera di Simona Maddalena.

Sarah Manguso è una ballerina delle parole, le sfiora con le punte, i muscoli tesi nello sforzo di dire che per il lettore diventa un movimento pieno di grazia, una torsione leggiadra, una postura perfetta. La difficoltà di esserci nella vita, in “Andanza”, e la tragedia di andare via, in “Il salto”, entrambi tradotti con maestria da Gioia Guerzoni e pubblicati da NN editore, diventano piroette sulla vita, con cui la scrittrice lega a sé il lettore, in un rito di catarsi e di liberazione.

Si dovrebbe uscire provati e angosciati dal racconto di un suicidio e della perdita del migliore amico, di cui fino in fondo non si sono mai capite le intenzioni, in “Il salto”, e invece a mano a mano il groviglio esistenziale che sembra pesare nelle pagine si scioglie nei movimenti di una narrazione in cui il sé è sempre profondamente se stesso, eppure così capace di inglobare gli altri. A fine lettura, è la leggerezza e l’alleggerimento ad avere la meglio sul senso di precarietà e di tragedia. Perché Sarah Manguso ha la straordinaria capacità di mostrarci ciò che siamo veramente, che è sempre un dentro e mai un fuori.

Clicca sulla foto per accedere al sito della traduttrice Gioia Guerzoni.
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L’ultima parola di “Il salto” su cui si è soffermata anche la traduttrice, nella bellissima “Nota del traduttore” che sempre chiude i volumi targati NN editore, che alla traduzione affida un ruolo e una dimensione determinanti e fondamentali, è FORTUNATA, che Gioia Guerzoni associa all’uscita dalla grotta, che come traduttrice ha vissuto insieme alla scrittrice. Ma fortunata mi sono sentita anche io come lettrice per aver letto “Il salto”, affidata alle mani di una scrittrice così sapiente e intima e intensa come Sarah Manguso. Mi sono sentita come quelle partorienti che si trovano dinnanzi all’incertezza del loro destino e non possono che affidarsi all’esperienza dell’ostetrica, per poi ritenersi fortunate di averne trovato una che l’abbia condotta in salvo, con manovre che pur essendo dolorose erano finalizzate alla buona riuscita dell’impresa. Come un’ostetrica, Sarah Manguso non teme di compiere manovre che hanno il senso fragile dell’esistenza, consapevole della delicatezza del compito e immergendosi in esso completamente. Alla fine del travaglio, non si sa più chi abbia sofferto, ma si sente solo la leggerezza infinita e indicibile dell’aver partorito.

ilsaltoSe “Il salto” con una serie di specificazioni, dettagli, ulteriori ramificazioni poteva ancora essere inquadrato in un certo genere di narrazione, seppure moltiplicati tra loro: memoir/saggio/confessione/analisi/elegia/autopsia come lo definisce Gioia Guerzoni, e di ognuno si può scuotere il capo in senso affermativo, riconoscendo che “Il salto” si presta ad essere ciascuno di essi,  con “L’andanza”, invece, Sarah Manguso oltrepassa ogni possibile definizione, laddove invece sembrerebbe chiara l’intenzione di scrivere un diario. Ma quella “Fine” ha un valore ben più preponderante della specificazione “di un diario”. È la parola fine a dettare le regole narrative, così “L’andanza” non solo non è un diario, ma non è nessuna delle narrazioni che possono essere proposte per “Il salto”.

Se con “Il salto” Sarah Manguso danzava con Harris, coinvolgendo i lettori con la forza delle parole, in “L’andanza” è un assolo che conserva un senso rituale, mescolando esistenza, cognizione del tempo, consapevolezza di sé, gravidanza e maternità, infanzia, dimenticanza, alla ricerca di ciò che li tenga insieme e li stringa gli uni agli altri. La scrittura è ciò che fa da collante, ma non nella forma ordinata ed omogenea del diario, quando in quella impalpabile e caotica che la rende necessaria. Quella urgenza che spinge a scrivere, che sostanzia la scrittura e che nel dare corpo alle parole sul foglio rende corposa e vera la vita stessa.

9788899253646_0_0_0_75Attraverso una biografia fatta per illuminazioni e tunnel, Sarah Manguso arriva in profondità nell’essenza della scrittura, creando un binomio intimo e mai sperimentato tra scrittura e vita:

Forse il modo più accurato di ricordare qualcosa è scriverla e dimenticarla subito dopo, e poi, solo negli ultimi momenti della propria vita, rievocarla – come ascoltare una cassetta rotta inserendola nel registratore un’ultima volta.

Un diario che si pone non come memoria, ma come alleggerimento della stessa. Lasciarla libera e leggera, che è il peso specifico della scrittura di Manguso. Libera di andare, di espandersi all’infinito e di perdersi nella luce, per trovare senso e direzione alla sua “Andanza”, che in italiano ha la radice del verbo andare e contiene al suo interno la parola danza, quasi a sottolineare che per Manguso vivere e quindi scrivere sono un passo di danza, a cui ci invita a partecipare.

 

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Da “Il salto” ad “Andanza”