di Antonello Saiz

Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”
Libraio a Parma con Alice Pisu di “Libreria Diari di bordo”

 

 

 

 

 

 

Libri di guerra, rivoluzioni e frontiere: voci eretiche di solitudini e migrazioni e memoria.

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Il Comune di Parma e l’assessorato alla Cultura hanno organizzato, per il primo centenario della Rivoluzione russa, un ricco calendario di iniziative di approfondimento storico, politico e culturale su questo momento chiave del Novecento. Ben 2 dei 24 appuntamenti che coinvolgeranno librerie, biblioteche, teatri, cinema e associazioni culturali per riflettere su un momento cruciale della storia e della cultura Europea si sono già svolti all’interno della nostra libreria Diari di bordo .
Ripensare la Rivoluzione Russa per ripensare alla Storia, al nostro Novecento. Riscrivere la Storia e gli avvenimenti cruciali che il mondo ha attraversato, per non dimenticare il passato. Avere Memoria. Ripassare per non far cadere nell’oblio eventi come questo della Rivoluzione di ottobre, da cui per molti versi il secolo è partito e che si è portato dentro i sogni e i dolori che quella rivoluzione ha creato.
21761685_1546324792077555_1431014388120935417_nCi ha fatto molto piacere che, durante la conferenza stampa di apertura della Rassegna, l’assessore Michele Guerra abbia rivolto un ringraziamento particolare alle librerie indipendenti che in città sono diventati veri e propri centri di cultura, invitando i cittadini a frequentarle più spesso e a sostenerle.

A queste iniziative aderiamo sempre con grande partecipazione, per via della nostra idea di creare un circolo virtuoso tra parola scritta e parola letta e nell’ottica di trasformare la libreria da semplice luogo che vende libri a contesto di animazione di incontri tra scrittori e lettori.
La rassegna si è inaugurata proprio all’interno della nostra libreria, Mercoledì 11 ottobre alle ore 18.00, leggendo, con i nostri Lettori ad Alta Voce, brani tratti dai 495_20140221095115“Taccuini” di Marina Cvetaeva, editi da Voland, nella traduzione di Pina Napolitano. Ad introdurre la serata è stata la slavista Giulia De Florio, dottore di ricerca presso l’Università Sapienza di Roma e docente di lingua e letteratura russa presso gli atenei di Parma, Macerata e Firenze,  che ha illustrato la figura di Marina Cvetaeva. Sono stati poi gli attori Piergiorgio Gallicani e Raffaele Rinaldi a iniziare con le Letture. Con le parole e i versi di Marina Cvetaeva siamo entrati nel pieno della Russia della Rivoluzione, attraverso la voce più eretica che per prima si accorse che qualcosa non andava nell’ideologia bolscevica. Marina Cvetaeva fin da piccola riempie taccuini di memorie e versi. In quei piccoli quaderni che spesso è lei stessa a cucire, foglio su foglio, riversa la sua anima senza censure. Questi, tradotti da Voland per la prima volta in italiano ,’Taccuini 1919 – 1921′ a cura di Pina Napolitano, coprono un arco di tempo che va dal novembre 1919 al marzo 1921 e sono quelli che abbiamo scelto accuratamente di far leggere ai nostri lettori, in una serata emozionantissima in cui tutti hanno potuto apprezzare questi Diari segreti, frammenti di Letteratura e vita dove anche l’Orrore diventa Poesia. Far arrivare Cvetaeva non attraverso la sua poesia, ma le parole della sua quotidianità non era semplice. E non era semplice raccontare la Rivoluzione di ottobre e quello che aveva rappresentato nel privato della gente. Abbiamo scelto la sorella di Savonarola, per sua stessa ammissione nei Taccuini, per raccontare i danni e i dolori immediati di quella Rivoluzione epocale. 22141261_705378189650677_6551779620110931226_noAbbiamo scelto, non a caso, i Taccuini che erano una testimonianza cruda del dopo rivoluzione. È stato emozionante dare voce a quella donna che tra guerra, sogni, ricordi e miseria con il suo vestito marrone di fustagno e gli stivali di due misure in più spacca la legna, vende il pianoforte della madre e i libri preziosi, vede la casa sbriciolarsi, la figlia morire eppure non rinuncia ai suoi versi, alle parole, alla scrittura. I nostri Lettori scelti, Silvana, Fabrizia, Cristina, Giulia, Paola, Simona e Andrea, leggendo Cvetaeva, hanno dato voce alla “rivoluzione” e ai rapporti fra Grande guerra e avvento della modernità. Leggendo Cvetaeva abbiamo mostrato che in quegli anni la rivoluzione scoppia inaspettatamente per tutti e improvvisamente: carenza di cibo e distruzione e esilio e morte . Nella Mosca postrivoluzionaria stretta dalla morsa della fame e della guerra civile, Marina Cvetaeva affida alle pagine dei taccuini il racconto delle sue giornate. Episodi di vita quotidiana si mescolano a lettere, progetti di opere, versi, fulminee riflessioni su di sé, sull’epoca, la poesia, la natura umana, ritratti di contemporanei, narrazioni di sogni e ricordi d’infanzi. Ne scaturisce un quadro vivissimo della Russia dell’epoca e un nudo ritratto dell’interiorità cvetaeviana.

Marina Cvetaeva, nata a Mosca nel 1892, è una delle voci fondamentali della poesia russa. Pubblica la prima raccolta di versi nel 1910. Lasciata l’Unione Sovietica, vive a Berlino, Praga e Parigi. Nel 1939 decide di rientrare in patria. Evacuata dopo l’invasione tedesca della Russia, pone fine ai suoi giorni impiccandosi a Elabuga il 31 agosto 1941.

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Sempre all’interno di questa rassegna, sabato 14 ottobre , assieme alla slavista Maria Candida Ghidini abbiamo presentato il libro di Davide Orecchio “Mio Padre la rivoluzione”, edito da Minimum Fax.
Abbiamo aderito a questa Rassegna del Comune di Parma con la convinzione non di fare una Celebrazione dei 100 anni, ma con l’intenzione di portare testimonianze e tracce capaci di mostrarci oggettivamente il clima della Russia di inizio novecento. Siamo partiti dalla voce di dolore di una donna dissonante, e abbiamo continuato entrando nel vivo di quegli anni e degli effetti che la rivoluzione ha promosso. Con l’aiuto, poi, di una slavista come Maria Candida Ghidini, abbiamo cercato di fare un quadro vivo della Russia di quell’epoca e non sono mancati gli spunti, le suggestioni e i richiami alla grande letteratura russa. In serate come queste accadono piccoli miracoli, per cui io mi sento di dover dire un grazie grande alla Minimum Fax a alla persona di una cara amica come Rossella Innocentini per averci, già da luglio, assicurato la presenza di un libro che sarebbe stato poi pubblicato a fine settembre e di un autore particolarissimo che lavora sulla Storia con gli strumenti e le parole della Letteratura. 0x300“Mio padre la rivoluzione” è un libro che gioca molto con il passato, i personaggi storici e i protagonisti dei libri e interroga tutti «perché la storia dobbiamo riscriverla, sennò la dimentichiamo». Citazioni, fonti e tanti personaggi hanno preso vita dentro la nostra piccola libreria. Accanto a Lenin, Stalin, Hitler e l’onnipresente Lev Trockij abbiamo conosciuto il sindacalista ebreo Plotkin o un particolare Bob Dylan o il partigiano Kim, protagonista de “Il sentiero dei nidi di ragno” di Calvino, ma anche Gianni Rodari che si aggira lungo il Volga e pure la figura del padre dell’autore, Alfredo. Del resto non era un Romanzo Storico quello che presentavamo, ma un romanzo di Storie per immagini. “Mio padre la rivoluzione” è una raccolta di racconti, di ritratti, di finestrelle, di biografie impossibili e reportage di viaggio attorno alla storia e al mito della Rivoluzione russa, dai protagonisti dell’ottobre 1917 a personaggi minori ma non per questo meno affascinanti. Davide Orecchio lavora sulla storia con gli strumenti della letteratura, ne racconta versioni altre e ne esplora possibilità non accadute: in questo libro Trockij è ancora vivo nel 1956 e medita sull’invasione sovietica dell’Ungheria e su Chrušcëv che rinnega Stalin. Qualche anno dopo, il giovane Robert Zimmerman entra in una libreria di Hibbing, Minnesota, e scopre i testi di Trockij, non diventa Bob Dylan ma compone altre bellissime canzoni rivoluzionarie come «The End of Dreams». Qui, proprio come nella realtà e oltre essa, il poeta Gianni Rodari che «ha il problema della fantasia» scrive un reportage dalla Russia per il centenario della nascita di Lenin. In “Mio padre la rivoluzione” la «controstoria» è una chiave offerta al presente per scardinare il passato, per fare i conti coi mostri politici e le speranze tradite del Novecento, ed è anche una guida per immaginare i futuri possibili. Con uno stile originalissimo. Davide Orecchio racconta il sogno e l’incubo della storia, le peripezie e le passioni, i destini aperti degli uomini. Storico di formazione, ha pubblicato la raccolta di racconti “Città distrutte. Sei biografie infedeli” (Gaffi, 2012), vincitore del premio SuperMondello, e il romanzo di racconti “Stati di grazia” (il Saggiatore, 2014).

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A proposito di Rivoluzione, tra i nostri scaffali e suggerimenti non possiamo non inserire quella che può essere considerata, a giusto titolo, una guida ideale per la comprensione e l’approfondimento di quel complesso momento storico che fu la Rivoluzione di ottobre. C’è uno scrittore britannico di nome China Miéville che racconta con chiarezza e profondità le fasi di questo momento cruciale, sia come un’opportunità tragicamente fallita sia allo stesso tempo, come un’ininterrotta fonte di ispirazione. GIG067Il libro è edito da Nutrimenti e si intitola “Ottobre. Storia della Rivoluzione russa”. China Miéville è un poliedrico e pluripremiato autore britannico, noto soprattutto per la sua produzione narrativa di genere fantasy, che comprende romanzi di successo come “La città & la città” e “Embassytown”. Attivista politico della sinistra radicale, è stato membro del Socialist Workers Party. Ha scritto per prestigiosi quotidiani e riviste tra cui New York Times, Guardian, Conjunctions e Granta, ed è tra i fondatori della rivista Salvage.

Nel febbraio del 1917, nel bel mezzo della Grande Guerra, la Russia era ancora una monarchia autoritaria. Nove mesi più tardi sarebbe diventata il primo Stato socialista della storia. Cosa portò a questa imprevedibile trasformazione? Come successe che una nazione arretrata e impoverita, trascinata dentro una guerra impopolare, venisse scossa da ben due rivoluzioni? Questo libro ripercorre la storia dei mesi incredibili tra la rivoluzione di febbraio e quella di ottobre: le forze e i protagonisti che fecero del 1917 un anno epocale, gli intrighi, le trattative, i conflitti. Dai nomi più noti come Lenin e Trotskij ai loro oppositori Kornilov e Kerenskij; dalle controversie degli attivisti di città ai più remoti villaggi dell’impero; dai grandi avvenimenti ai dettagli dimenticati. Per decenni gli storici hanno dibattuto sulla Rivoluzione russa, sulle sue cause e gli sviluppi, contribuendo a formare un imponente apparato storico. L’originalità di questo libro risiede proprio nella capacità di affrontare l’argomento in modo diverso da quanto è stato fatto fino a oggi. Forte del suo talento di narratore, China Miéville non si sofferma soltanto sul significato storico ma racconta le vite, le passioni, gli aneddoti curiosi, svelando per la prima volta il lato avvincente di un evento che ha cambiato la storia dell’Europa e del mondo.

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Parlando di Russia e Rivoluzione non si può non citare un libro uscito postumo di Tzvetan Todorov,”L’arte nella tempesta”, pubblicato in Italia da Garzanti. Il libro ha per sottotitolo “L’avventura di poeti, scrittori e pittori nella rivoluzione russa”, e già questo racconta molto di un altro libro che ci dà ancora un’altra versione della Rivoluzione Russa, raccontando le vite di artisti ed intellettuali dell’epoca, di chi inizialmente entusiasta si trovò, completamente deluso dalla nuova politica, a combattere tempeste interiori. Scrittore e filosofo dalla vastissima cultura, Tzvetan Todorov fu anche un lettore instancabile libero da ideologie e convinto oppositore di tutti i totalitarismi.
La Russia dei primi anni del Novecento rappresenta una delle poche, meravigliose congiunture della storia in cui un numero stupefacente di grandi artisti si trova a convivere e a farsi intensa, febbrile comunità. Nelle parole di uno dei protagonisti di quegli anni, il poeta Vladislav Chodasevič: «tutte le strade erano aperte, con un solo obbligo: andare quanto più possibile veloce e lontano». Sono gli anni di Bulgakov e di Majakovskij, di Pasternak e Mandel’štam, di Šostakovi, Jzenštejn e di tanti altri, donne e uomini che la sorte gettò nella tempesta della Rivoluzione e del nascente regime sovietico. 88116737479788811673743-300x459Cent’anni dopo, Tzvetan Todorov ha deciso di rievocare l’avventura di una generazione che dopo aver spesso accompagnato con entusiasmo i primi slanci antizaristi e libertari, si trovò di fronte a un potere progressivamente sempre più cieco e ottuso, ed elaborò strategie ora di opposizione, ora di compromesso, ora di drammatica resa: il suicidio, l’esilio, più spesso il silenzio. Todorov racconta questa miriade di traiettorie avventurose, laceranti, a volte semplicemente grottesche con la sua enorme cultura e la sua prosa avvincente, soffermandosi a lungo sulla figura complessa e per questo esemplare del grande pittore Kasimir Malevič. Nelle sue pagine risuonano anche gli echi della vicenda personale che lo portò nel 1963 a fuggire la cappa di piombo della natia Bulgaria e a rifugiarsi in Occidente. Anche per questo “L’arte nella tempesta”, pubblicato in Francia a un mese dalla scomparsa, resterà come il degno testamento di un grande maestro di studi e di libertà, una delle ultime grandi figure esemplari della cultura europea.

Sempre a proposito di quegli anni e di guerra e rivoluzione e dei sogni e bisogni reali degli uomini voglio segnalare un romanzo breve delle edizioni nottetempo, scritto da un autore francese schivo e riservato come Hubert Mingarelli dal titolo “Un inverno nella foresta” nella traduzione di Maria Pace Ottieri, vincitore del Prix Médicis del 2003.
Il libro ruota attorno ad una storia minima d’amicizia fra quattro soldati dell’Armata Rossa nell’anno 1919. Lungo racconto in cui lo sconforto fisico e morale conta meno dei dialoghi che accompagnano i pochi riti quotidiani o la felicità dei bei momenti: una partita a dadi in cui si vince una presa di tabacco, il bagno nello stagno, l’invenzione di una stufa che scalda la tenda… Dietro i silenzi, le battute, i gesti, si annoda con forza una strana amicizia fra esseri eterogenei, ma “il cielo è senza fine e non ci sono parole”. un-inverno-nella-foresta-d196Il libro ci racconta che la cosa peggiore che possa capitare a un uomo è di trovarsi solo al mondo. Perfino la guerra riveste un paradossale aspetto positivo se consente di spezzare quella gabbia. Così almeno sembra pensare il giovane Benia, che, persa la famiglia e raggiunta l’ Armata Rossa per combattere sul fronte rumeno, trascorrerà il rigidissimo inverno in compagnia di Sifra, Pavel, Kyabine e, successivamente, del marmocchio Evdokim. Procedendo nella lettura scopriremo che in realtà la battaglia contro la solitudine è stata vinta solo in parte. Certo, ora Benia spartisce ogni ora del giorno con dei ragazzi che come lui hanno abbandonato il fronte e ripiegato nella foresta in attesa della primavera. Mingarelli ci mostra quei giovani militari allo sbando mentre fumano, giocano a dadi, si scambiano un poco di calore nelle notti animate da incubi terribili. Poi, col cambio di stagione, mentre vanno a caccia e a pesca. Mentre fanno il bagno nello stagno. Ma con pochi, efficaci esempi, lo scrittore ci induce anche a pensare che sono tutti palliativi: il gelo della solitudine interiore incombe di continuo. E naturalmente assume le sembianze della grande assente: la donna. Yossef fa la sua piccola fortuna intagliando mani di legno – neanche a dirlo, femminili – barattate contro cibo e tabacco. Nel gruppo di Benia ogni sera nascono animate discussioni per stabilire chi ha diritto a dormire con in tasca un orologio dove è raffigurata una donna: porta fortuna, dicono. Non ci credono davvero, ma continuano a farlo. Un romanzo pacato e accorato, che ti afferra fin dalla prima frase e resta con te ben oltre la fine.

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Concludo la raccolta nello Zaino di questa settimana con una piccola nota. La settimana particolare l’avevamo iniziata con un incontro particolare, quello con Gazmend Kapllani. Ci sono libri che raccontano storie, un passato ma anche la storia, il vissuto di oggi. Per comprendere un immigrato oggi bisogna conoscerne la storia, ed è quello che abbiamo fatto in un lunedì lavorativo ai Diari invitando un grande scrittore internazionale come Gazmend Kapllani a Parma. Lo scrittore è venuto apposta dagli Stati Uniti per ritirare un Premio importante a Cassino, e non una città a caso… IL PREMIO INTERNAZIONALE LETTERATURE DAL FRONTE, XII EDIZIONE. Un riconoscimento importante e che premia un autore che ha saputo raccontare storie, avvenimenti, testimonianze nate sui fronti di guerra o del disagio. zzzzLo scrittore ha conosciuto la nostra Libreria attraverso i social, ha visto il lavoro che avevamo fatto, assieme alla casa editrice Del Vecchio, intorno al suo libro e il movimento e l’interesse che si era creato con i nostri Lettori Forti verso “Breve Diario di Frontiera”. Da là era partita una bella amicizia virtuale di scambio e confronto. Lo scorso anno Kapplani era ospite al Festival della Letteratura di Mantova e ci promise che al prossimo giro italiano sarebbe venuto a trovarci a tutti i costi. Ed ha mantenuto la promessa. Abbiamo pensato di far dialogare Kapplani con due giovani e brillanti ragazzi, Darina Zeqiri e Ilir Gjika dell’Associazione Scanderbeg Parma che rappresenta la comunità albanese a Parma per poter focalizzare l’attenzione su migrazioni e integrazioni, sulle ragioni che spingono un uomo a stare per giorni ammassato con altri mille su una barca che a malapena ne potrebbe contenere cento. 14473434092587-kapll“Breve diario di frontiera” è uno di quei libri che gli insegnanti dovrebbero leggere ai loro alunni nelle scuole per far germogliare il seme della tolleranza e cancellare ogni traccia di razzismo. “Breve viaggio di frontiera”, pubblicato da Del Vecchio editore nella collana formelunghe, racconta di un esilarante reportage su un esodo, una fuga da un paese. Un reportage sulla migrazione e sulle frontiere scritto con dosi massicce di humour nero. In questo “diario minimo” Gazmend Kapllani ci restituisce tutta la sofferenza degli albanesi che hanno attraversato il confine con la Grecia negli anni Novanta. Con mano leggera lascia che ci scorra sotto gli occhi la surreale volontà di dare un senso all’abbandono della terra natia, che in questo specifico caso è la fuga, il passaggio attraverso la cortina di ferro. In ogni capitolo, il doppio punto di vista – di chi è in Albania e di chi, esule, se ne allontana – mette in evidenza con sarcasmo, e senza fare sconti, la kafkiana condizione dell’Albania sotto il regime comunista: spie che controllano i programmi televisivi dei vicini, statue monumentali di Enver Hoxha, un dittatore troppo dittatore anche per i dittatori, e i bunker sulla spiaggia pronti per resistere a nemici che però non si presentano mai. Accurate, asciutte, intrise di humour nero, le descrizioni dell’assurdità e della rivolta alla tirannia compongono un quadro ironico e partecipe della condizione dell’esule, in cui il particolare dialoga con l’insieme e si fa narrazione universale, come in un dipinto di Bruegel. La “sindrome delle frontiere” inizia con l’abbandono del Paese e si sviluppa nella “nevrosi del successo”, un successo che conferisce il diritto a restare nella nuova terra, per giungere a un’amara riflessione sui migranti di seconda generazione, condannati ad amare e odiare contemporaneamente il loro Paese. Un romanzo che rovescia visioni del mondo e sicurezze, scuote il comune senso di empatia e commuove con il disincanto.

zzzGazmend Kapllani nato a Lushnjë, in Albania, nel 1967, nel gennaio del 1991, dopo la caduta del regime totalitario albanese, ha raggiunto la Grecia a piedi insieme ad altri migranti. Per sopravvivere vi ha svolto tutti i mestieri: manovale, lavapiatti, edicolante. Si è laureato in lettere presso l’Università Statale Giovanni Capodistria di Atene e ha svolto la tesi di dottorato presso l’Università Pantio di Atene, dove ha anche insegnato Storia e Cultura dell’Albania moderna. È stato editorialista dell’autorevole quotidiano ateniese “Ta Nea”. Nel 2012 è stato Fellow del Radcliffe Institute dell’Università di Harvard. Vive tra l’Europa e gli Stati Uniti, a Boston, dove insegna Letteratura e Storia europea.

Nello Zaino di Antonello: Libri di guerra, rivoluzioni e frontiere