di Alice Pisu

Libraia e giornalista, al timone con Antonello Saiz dei Diari di bordo, libreria indipendente a Parma, con la rubrica "I libri di Alice"
Libraia e giornalista, al timone con Antonello Saiz dei Diari di bordo, libreria indipendente a Parma, con la rubrica “I libri di Alice”

 

 

 

 

 

 

 

 

Tre

Letture. Prosegue il viaggio nell’editoria indipendente di Alice Pisu (Libreria Diari di bordo) per raccontare uno dei maggiori autori latinoamericani del secolo, Roberto Bolaño, con il nuovo libro “Tre” e la riedizione de “L’ultima conversazione” appena pubblicati da Sur.

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La sconosciuta sorride e si siede accanto allo scrittore. Allontana gli autunni, quelli tiepidi di Girona, tra le luci della città, i pesci nell’Oñar, il fumo grigio nella notte blu metallico e la percezione di essere invisibili. Passeggiare nella letteratura è come attraversare i sogni, grotteschi e carnali, sogni di miseria e di memoria, dove incontrare Manuel Puig in camicia celeste e pantaloni di tela che cammina per il lungomare di New York, o Efraìn Huerta che gioca a dadi con i poeti mendicanti del DF. Può anche succedere di incontrare il fantasma di Stendhal nella centrale nucleare di Civitavecchia o vedere Aloysius Bertrand nascere e morire lo stesso giorno. La prosa poetica di Roberto Bolaño in Tre, appena pubblicato da Sur nella traduzione di Ilde Carmignani, racchiude i sogni, le amarezze, i pensieri che si posano sulle cose bianche nell’autunno di Girona, nelle passeggiate oniriche nella letteratura, o nel flusso di versi che seguono i passi dei neochilenos nel viaggio nei luoghi sperduti di provincia prima che arrivi l’alba. Tre ricalca la costante sperimentazione e la contaminazione di generi tra poesia e prosa, narrazione breve e saggio, che caratterizza la ricerca di Bolaño. E se Prosa dell’autunno a Girona è un gioco continuo di meta scrittura e I Neochilenos una sorta di poema epico sporco, come lo definisce Neuman, Una passeggiata nella letteratura è lo spazio dove incontrare i grandi riferimenti di Bolaño, da George Perec a Blaise Pascal a Nicanor Parra. Scrive Tre nella precarietà di un tempo fuggevole, Bolaño, cercando di tenere a bada una malattia che lo consuma sin da giovane e che lo porterà a concepire la scrittura e la vita con l’urgenza degli ultimi momenti.  

Dedica buona parte della sua vita alla poesia ma la sua affermazione arriverà con i romanzi, da I detective selvaggi a Chiamate telefoniche a Puttane assassine. La sua rivoluzione risiede nella portata del cambiamento innescato nel panorama letterario latinoamericano proprio con  I detective selvaggi, che racchiude il mondo simbolico di riferimenti all’esistenza su cui si basa la sua scrittura. E se è vero che tra quei temi cardine su cui si basa tutta la sua poetica, solitudine e ricerca del distacco, inquietudini interiori e vagabondaggio errante tra i luoghi, si ritrovano i motivi fondamentali anche della prosa, Bolaño, come sottolinea Neuman, scrive romanzi per essere ancor più poeta. “Non ha senso scrivere poesia”, scriverà  provocatoriamente in Prosa di autunno a Girona, mentre i vecchi parlano di una nuova guerra e ritorna un sogno ricorrente nella desolazione dei luoghi di quell’autunno.  

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L’autore entra ed esce dal suo testo e, mentre immagina i suoi personaggi, vede il deserto, il vuoto, quel nulla che riempie ogni cosa e che gli permette di osservare la sconosciuta. Una solitudine profonda si nutre di sogni e disperazione, tra inquietudini e paure racchiuse in un caleidoscopio che si muove “con la serenità e la noia dei giorni”.

Ciò che si allontana può essere chiamato deserto, roccia con aspetto d’uomo, scrive Bolaño. La realtà può avere tante facce, anche essere “coniata nel vuoto”: risiede in questo la profonda differenza tra Bolaño e i suoi contemporanei, la consapevolezza che la realtà raccontata dal personaggio che appare da uno schermo bianco o la proiezione del sogno sono solo lati di un cristallo, quella che richiamerebbe l’immagine dell’esattezza o della vaghezza per Calvino. Credere di poter raccontare la realtà percependola come l’unica sarebbe illusorio perché, come scriveva Richard Linklater, anche il solo pensare ad altre direzioni le rende realtà distinte, che vivono una propria esistenza: “Ogni tuo pensiero crea la propria realtà [..] come se tutto ciò che decidi di non fare si separa dal resto e diventa una realtà a sé”.

Ogni prosatore, sostiene Bolaño, ha il dovere elementare di fare pulizia, di avvicinarsi alla lingua con occhi e orecchie ben aperti. Gioca con la parola, si muove tra il reale e il visionario, guarda alla morte con la forza pulsante della vita, si rifugia nella dimensione onirica e pone al centro i letterati dalle vite sregolate. La scrittura di Bolaño intesse trame guardando ai luoghi della sua infanzia e dell’adolescenza, al Cile del colpo di Stato e agli orrori di quel golpe, o al Messico degli anni Settanta macchiato dal sangue di centinaia di giovani vittime. Non ama le distinzioni troppo nette tra letteratura ispanica e latinoamericana: per primo sente di aver varcato da tempo quella frontiera, perché come Vila-Matas, o Marìas, o Villoro, “abitiamo tutti la stessa lingua”. E non ama neanche le categorizzazioni tra reale e fantastico perché, in fondo, le distinzioni non risiedono nel modo di raccontare un reale concreto o immaginifico, ma nel linguaggio e nella scrittura, nel “modo di guardare alle cose”. Nutre la convinzione che nello scrivere sia la storia a scegliere l’autore, per non lasciarlo più in pace. “La storia e la trama arrivano accidentalmente, rientrano nel campo del disordine – racconta ne L’ultima conversazione -. La forma invece è una scelta che si compie usando l’intelligenza, l’astuzia e il silenzio, le armi usate da Ulisse nella sua battaglia contro la morte”,.

Leggere è più importante che scrivere. Non fa che sottolinearlo nelle innumerevoli interviste a cui si presta dopo il successo improvviso dalla metà degli anni Novanta, dopo una vita dedicata alla poesia a cui guarda dal studio di Blanes dominato dal disordine e sovrastato da scatoloni di traduzioni, costantemente senza soldi (“i soldi che non avrò mai e che per esclusione fanno di me un anacoreta”), con il divorzio e una malattia epatica che sarà la sua condanna ma scandirà al tempo stesso la sua urgenza di scrivere. SURns1_Bolano_Tre_coverUna riflessione sulla scrittura a cui si apre anche quando sceglie di dedicare l’ultima parte di Tre, Una passeggiata nella letteratura, all’incontro onirico, che si mescola a ricordi personali, con alcuni dei suoi più grandi riferimenti letterari, da Virgilio a Borges a Perec, Lihn, Teiller e Parra. Bolaño è attratto da sempre anche dalla letteratura francese, da Baudelaire a Pascal nella sua visione della morte, guardando anche alla letteratura americana ottocentesca, in particolare Mark Twain che incontra anche nella sua passeggiata letteraria, senza tralasciare la poesia di Emily Dickinson e di Walt Whitman, dopo anni di letture adolescenziali incentrate quasi unicamente su Poe, come confida all’amica poetessa Carmen Bullosa.

“Avevamo perso la rivoluzione prima di farla”, constata amaramente guardando al suo tempo nelle sembianze del detective latinoamericano in giro per il mondo. Non accetta la storia ma la affronta, come fa Cesar Vallejo con la sua poesia visionaria e feroce, usando la parola come sola arma per andare oltre la soglia della denuncia, “Insomma, non ho che la mia morte, per esprimere la mia vita…” scrive ne Il monarca d’ossa, Ladolfi editore. Non resta allora che ballare con Bolaño nel sogno della morte, nel bordo del precipizio “in una piega della realtà, del possibile”.

georges_perecTutto passa per la memoria nella scrittura di Bolaño, che non è ridotta a testimonianza ma diventa facoltà visionaria. “Ma dov’era la nostra casa?”, si interroga nell’ultima riga nel congedarsi dal lettore. Forse pensa a Perec, lo immagina seduto nel tavolino Del Cafè de la Mairie, a pochi passi da place Saint-Sulpice mentre osserva i luoghi trasformarsi nei vari momenti della giornata. Annota tutto ciò che vede, Perec, nel suo Tentativo di esaurimento di un luogo parigino, Voland, piccoli particolari che rendono la città un groviglio di esistenze e di razionalità geometrica, come direbbe Calvino. Lo sguardo di Perec si posa su “quello che generalmente non si nota, quello che non si osserva, quello che non ha importanza: quello che succede quando non succede nulla, se non lo scorrere del tempo, delle persone, delle auto e delle nuvole”. Forse è lì che risiede quella patria cercata da Bolaño, in un indefinito altrove che ha come unica vera dimora la letteratura.  “Siamo rimasti a metà, padre, né cotti né crudi, persi nella grandezza di questa discarica interminabile, errando e ammazzando, sbagliando e chiedendo perdono, maniaco-depressivi nel tuo sogno, padre, il tuo sogno che non aveva limiti e che poi abbiamo sviscerato mille volte e poi altre mille, come detective latinoamericani persi in un labirinto di cristallo e fango, viaggiando sotto la pioggia, vedendo film dove c’erano vecchi che gridavano tornado! tornado!, guardando le cose per l’ultima volta, ma senza vederle, come spettri, come rane in fondo a un pozzo, padre, persi nella miseria del tuo sogno utopico, persi nella varietà delle tue voci e dei tuoi abissi, maniaco-depressivi nell’immensa sala dell’Inferno dove si cucina il tuo Umore”.

 

(Recensione uscita su Repubblica Parma, Letture di Alice Pisu. Libri, Parole e dintorni, 3 maggio 2017)

I Libri di Alice: Tre
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